dal Messaggero Veneto del 2 dicembre 2001
Volete sapere come andrà a finire? Non chiedetelo a nessuno, perché «quanto a quel giorno e a quell’ora», dice Gesù, «nessuno lo sa, neanche gli angeli del cielo e neppure il Figlio, ma solo il Padre» (Mt 24,36). Ricordate piuttosto quello che è già successo, e imparate.
Il giorno e l’ora della fine del mondo – e della nostra vita – non ci sono dati a conoscere. Se li conoscessimo, potremmo organizzarci bene, programmare quanto ancora ci rimane per i nostri affari. Brutta vita, ma pur sempre priva di sorprese. Fatto sta che la fine ci rimane ignota. «Se il padrone di casa sapesse in quale ora delle notte viene il ladro…» (v. 43).
Proprio per questo noi partiamo da dati certi, che registriamo anche nei nostri codici di identificazione, dalla carta di identità al codice fiscale. Noi calcoliamo il tempo del nostro vivere a partire dalla nascita: data certa, non dalla morte: che viene come il ladro nella notte. È ciò che inizia – se poi inizia – da quella fine ci rimane ignoto, lo possiamo solo attendere o dilazionarlo, non programmarlo. Sotto un cielo sempre più vuoto e tra queste tenebre sempre più fitte, pullulano i maghi e le streghe, i visionari religiosi, i fondamentalisti talibani, gli utopisti settari che promettono di togliere il velo al mistero del tempo. Proprio come gli “apocalittici” negli anni in cui Gesù annunciava il suo messaggio di liberazione.
Durante una sosta sul monte degli Ulivi, subito dopo la profezia sulla rovina del tempio di Gerusalemme, ai discepoli che «in disparte gli dissero: dicci quando accadranno queste cose e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo» (Mt 24,3), Gesù non risponde alla Nostradamus, con date ed eventi futuri, ma invitando a guardare a ciò che è già successo: «Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo» (v. 33). C’è una logica nella costruzione e distruzione della Città Secolare. Imparate.
Di Noè si parla nelle prime pagine della Bibbia, nel libro della Genesi, subito dopo la creazione del mondo, dell’uomo e del peccato d’origine. Il Creatore ha appena manifestato il suo stupore per la bellezza dell’opera che gli è uscita dalle mani, che deve subito ricredersi alla vista della corruzione dilagante, e ammettere lo “sbaglio”: «Vide che la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che ogni disegno concepito dal loro cuore non era altro che male. E il Signore si pentì di aver fatto l’uomo sulla terra e se ne addolorò in cuor suo» (Gen 6, 5-6). Si aprirono allora le cateratte del cielo e il diluvio inghiottì l’intera umanità, salvando il giusto Noè, con le sue bestie, per un nuovo tentativo: l’arcobaleno che, cessate le piogge distruttive, congiungerà la terra con il cielo sarà il segno dell’alleanza di Dio con gli uomini.
Ma perché tanta malvagità? Perché ogni disegno umano non era altro che male? Quale la ragione profonda che indusse il Creatore al “pentimento”?
La prima umanità, pur uscita buona, “molto buona” (cfr. Gen 1,31) dalle mani di Dio, ha trasformato il kosmos in un kaos. La creatura si è posta in luogo del Creatore, Caino si è arrogato il diritto di ammazzare il proprio fratello, l’umanità si è imposta la giustizia del più forte e al dialogo ha preferito la violenza: «I figli di Dio videro che le figlie degli uomini erano belle e ne presero per mogli quante ne vollero» (Gen 6, 2).
«Come fu ai giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e marito e non si accorsero di nulla finché non venne il diluvio e inghiottì tutti, così sarà anche alla venuta del Figlio dell’uomo» (vv. 24, 37-39).
Ci è apparsa in sogno, diventato ormai un incubo, «una statua, una statua enorme, di straordinario splendore… Aveva la testa d’oro puro, il petto e le braccia d’argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro». Ma era una torre dai piedi d’argilla. È bastato un sasso caduto dal monte per mandarla in frantumi (cfr. Dan 2, 31-35).
E il sogno ha risvegliato un mostro che l’umanità si porta dentro dal 6 agosto del ’45, quando una nuova bomba, inventata dall’ingegno umano, radeva al suolo un’intera città con le sue 70 mila vite. Negli stessi mesi i nazisti “risolvevano” la questione ebraica cremando milioni di innocenti servendosi di un’altra invenzione dell’ingegno umano, la camera a gas. La ragione rischiarata, quella che aveva cacciato gli dèi dall’Olimpo e spazzato le tenebre dei secoli bui della religione, inaugurando la nuova età finalmente liberata, per risolvere gli antagonismi non ha saputo escogitare nulla di meglio se non la distruzione e l’annientamento. Hiroshima e Auschwitz, con la loro logica distruttiva, ora incombono come minaccia che le cateratte del cielo si possano improvvisamente riaprire.
Proprio come ai tempi del patriarca Noè. Stessa violenza dilagante. Medesima arroganza di uomini che impongono il loro potere violento in nome di Allah o della civiltà cristiana. Identica umanità, incapace di riconoscere la dignità dei diversi e l’alterità del suo Creatore. E, forse, identica fine, per un nuovo principio.
don Dino Pezzetta