dal Messaggero Veneto del 26/05/2002

Nella società attuale si nota una folle rincorsa al prestigio ed all’efficientismo. Diciamocelo chiaramente: si pensa di valere per quel che si fa e non per quel che si è.
Stimiamo superiori coloro che detengono il potere, i capitali, il successo, il prestigio, mentre è mediocre chi vive nell’anonimato, e sbarca il lunario con un piccolo stipendio o una modesta pensione.
Se invece riflettessimo più più a fondo ci accorgeremmo della nostra superficialità nell’elaborare interiormente la gerarchia dei valori.

Ogni azione è grande se compiuta con distacco ed amore. Sono grandi gesti accarezzare un bimbo con tenerezza, rivolgere una parola ad un anziano da tutti dimenticato, curare l’orto per amore della natura e dei propri familiari, consolare un amico solo ed afflitto.
Come sono grandi gesti salvare la vita del prossimo, insegnare agli ignoranti, dirigere la politica di un paese, scrivere belle poesie, dipingere bei quadri, comporre musica soave, elaborare concetti saggi.

Da stolti usiamo spesso gerarchizzare i nostri gesti solo in base alla loro visibilità. Pensiamo che l’uno sia più benemerito dell’altro solo perché richiede più doti, più ingegno, dimenticando che doti e ingegno sono doni che si sviluppano sì nell’esercizio e nella costanza, ma sempre doni.
Spesso, inoltre, agiamo come se tutto dovesse dipendere da noi. Manca lo spirito di povertà, quello che si affida completamente al Signore in ogni azione.

La verità consiste nel fatto che noi non abbiamo compiuto alcuno sforzo per nascere : abbiamo preso gradualmente coscienza della nostra esistenza, anche se tuttora non ne siamo totalmente consapevoli perché ci pensiamo poco.
Continuiamo a vivere, il cuore pulsa instancabile, il pensiero vola da un’idea all’altra, i muscoli agiscono ad ogni nostra richiesta. Anche se la vita è spesso fatica, dolore, sofferenza perché non riconosciamo che tutto ci è stato dato?

A noi è richiesta solo la collaborazione nella creazione, ma guai se ci si dovesse ritenere autosufficienti, o ci si vantasse delle nostre opere credendo che tutto dipenda solo da noi. E’ un grave sbaglio che ha condotto molti uomini d’ingegno alla rovina. Si finisce con il pensare di essere indispensabili, superiori agli altri o, al contrario, dei poveri falliti. Sì, anche chi si dispera per la sua vita fallimentare ha lo stesso grado di orgoglio di chi crede di aver compiuto grandi cose da solo. E’ diverso l’esito, ma i punti vista coincidono: entrambi puntano sul risultato visibile, autogratificante.

Possiamo dedurre, allora, che la grandezza delle nostre opere non consiste solo nei loro risultati visibili, ma nell’intenzione di chi le compie.
Chi accoglie in sè lo Spirito non si preoccupa più di apparire, o di compiere gesti eclatanti, perché è consapevole che tutto è dono e vive nel perenne ringraziamento e nella riconoscenza, quindi nella vera gioia interiore.

Diceva Gesù ad una mistica:
“Non perdere la tua serenità per causa del lavoro…Bisogna semplificare, ridurre le vostre necessità… Bisogna prendere nella calma decisioni sagge e serene.
L ‘ordine consiste nel cercare in tutte le cose prima di tutto il Regno di Dio e la sua giustizia, il resto viene dato per soprappiù.
Non vi preoccupate del risultato delle vostre opere; io dò l’accrescimento e la fecondità nella misura con cui mi vengono affidate” (sr Maria della Trinità. “Colloquio interiore” p.90 n.33)
Pier Angelo Piai
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