dal Messaggero Veneto del 21/05/2002
MIRAGGIO PENSIONE
di MAURO COVACICH
Ognuno di noi è per gli altri quello che fa. Ci sono il dottore, l’ingegnere, l’operaio, la giornalista, la segretaria eccetera. Donne e uomini prima di essere quello che sono, sono quello che fanno, sono i propri mestieri.
Le attività produttive non servono ad alimentare la vita.
Al contrario, è la vita che serve a produrre lavoro e quindi ricchezza. Il sistema è così totalizzante (certo, altrimenti non sarebbe un sistema) che l’idea di incentivare i lavoratori in età pensionabile perché restino al proprio posto, lungi dal sembrare provocatoria o addirittura offensiva (soprattutto considerando che viene dall’Istituto nazionale della previdenza sociale), risulta perfettamente compatibile con le aspettative e i desideri della maggior parte delle persone occupate.
Sulle prime sembra pazzesco, ma poi osservando dal di dentro le nostre giornate, feriali o festive che siano, credo che questa pazzia risulti evidente e anche, sì, scontata. Una pazzia normale. In primo luogo, c’è la questione del riconoscimento sociale: essendo noi nient’altro che quello che facciamo, appena smettiamo di farlo non siamo più nessuno. I pensionati più tristi sono i generali, le presidi, i direttori di banca, i primari di ospedale. Prima erano determinanti, decisivi, consultati, riveriti. Dal primo giorno di pensione sono vecchi in caduta libera nelle fauci del bricolage e del giardinaggio. Ma sono tristi anche i pensionati meno in carriera, perché comunque la loro identità, la pelle in cui venivano pensati e in cui loro stessi si pensavano, è rimasta sull’appendiabiti dell’ufficio. E adesso, quando va bene, gli tocca innamorarsi del ruolo di nonni.
In secondo luogo, c’è la questione del tempo libero, dell’esistenza prima e dopo il cartellino. Durante la vita attiva il sistema prevede solo forme di evasione e motivazione personale extralavorativa finalizzate indirettamente a migliorare il rendimento professionale o comunque a non peggiorarlo.
Non è che il lavoro serve ad andare in vacanza bensì è la vacanza che serve a tornare al lavoro, ricaricati. Non è che uno mette via i soldi per fare quello che gli piace durante il week-end, uno cerca di fare il meno possibile durante il week-end, si rilassa, noleggia una videocassetta, si fa un lettino Uv, in modo tale da affrontare il lunedì riposato.
La stragrande maggioranza della gente lavora così tanto che nei rarissimi momenti in cui è costretta a non lavorare non sa come scappare dalla noia. E’ facile dire: leggi, viaggia e iscriviti a qualche associazione umanitaria. Il sistema non lascia spazio a queste sfere di interesse mentre si produce, sicché, a produzione compiuta, quasi nessuno sente il desiderio di riconsiderarle, quasi nessuno ne conosce la bellezza.
E che me ne faccio dei libri, delle gite e delle tombole con gli handicappati? Molto meglio stringere i denti e timbrare il cartellino ancora per qualche anno.
L’Inps sa che pochissimi di noi hanno la fortuna di coltivare passioni personali non vicarie al lavoro. Gli altri, una volta ottenuta la pensione, laveranno la macchina e taglieranno l’erba ogni secondo giorno, disperati. Adesso il nostro benemerito istituto, secondo un sistema diabolico che non si vergogna più di niente, offre l’opportunità di continuare a spezzarsi la schiena.
Mauro Covacich