����������� Il pacifismo e il femminismo di Caterina sono due temi di grande attualità per la Chiesa di oggi, anche se con caratteristiche e sfumature diverse da quelle del nostro tempo. Caterina ha indubbiamente lavorato, e in modo instancabile, per la pace tra il papa e i vari stati italiani. Ma si trattava, anzitutto, di un apostolato di salvezza, e non di pace come fine a se stessa ( solo se si è in pace col prossimo si può essere in pace con Dio, così pensava Caterina). Inoltre lei considerava quella guerra più grave delle altre della sua epoca, perché anche il papa vi era coinvolto, tramite la scomunica che aveva inflitto agli stati italiani.
����������� Molti si chiederanno cosa farebbe santa Caterina in questi tempi storici, dopo l’undici settembre. Quel che certamente non condividerebbe è la reciproca “scomunica” tra Americani e Fondamentalismo arabo. Ciascuno ritiene l’altro una sentina di male e di corruzione.
����������� Non mi stupirei che lei si mettesse in viaggio, come pellegrina di pace, facendo la spola tra i capi delle nazioni, animata dal fuoco dello Spirito e dal desiderio di immolarsi per fare di due popoli un popolo solo. Ma occorre ricordare che santa Caterina non era un “uomo politico”, e come donna non poteva, almeno allora, e forse anche oggi, avere mandati pubblici d’alto respiro.
����������� Ciò, però, non le impediva di diffondere idee interessanti sulla politica, attuali anche ai nostri giorni, unitamente al consiglio informale e alla preghiera d’intercessione. Per quanto riguarda un eventuale viaggio tra gli attuali integralisti arabi, occorre affidarsi a quel che lo Spirito le avrebbe suggerito. Certamente non sosterrebbe una Crociata, come ai suoi tempi, ma insisterebbe, negli opposti versanti, sul dialogo e l’abolizione delle reciproche “scomuniche”.
����������� Quanto alla questione del femminismo, si può dire che la santa senese ne fu in qualche modo iniziatrice. Nel senso, vale a dire, che il suo tempo, pur non attribuendo spazio all’apostolato delle donne, la vede impegnata in una sorta d’apostolato, seppure insolito.
����������� Caterina Benincasa è senz’altro un modello per la donna laica d’oggi, tanto che la Chiesa, e lo stesso Giovanni Paolo II, l’hanno proposta come punto di riferimento. Ciò nonostante, lei non aveva niente della femminista, come s’intende oggi. Non ha mai parlato del suo essere donna come di un problema, tranne quando desiderava di essere un uomo per poter evangelizzare, senza preclusioni, il mondo intero.
����������� Inoltre, Caterina non ha lottato per creare uno spazio per le donne nella Chiesa; non ha mai contestato la gerarchia maschile o richiesto il sacerdozio per le donne, come accade anche nella chiesa cattolica ai nostri giorni. Forse oggi avrebbe fatto queste cose? Noi non possiamo dire di sì, perché sarebbe tradire il personaggio che è vissuto non oggi, ma oltre 600 anni fa.
����������� Invece possiamo dire, con certezza, che per il suo tempo Caterina era anticonformista (l’anticonformismo dello Spirito), e se ne può ammirare il coraggio (quello che scarseggia oggi per una nuova evangelizzazione ), la disponibilità ai richiami del Padre celeste, e l’umiltà unita alla “sicurtà” nel dire le cose di Dio. In tal senso lei può essere proposta come modello per la predicazione informale (quella dei laici) e la preghiera apostolica.
����������� Soprattutto la predicazione e la preghiera per la pace che presuppone “riconciliazione e penitenza”. “Cristo fu nostra pace – si legge nella terza lettera indirizzata al preposto di Casole e a Giacomo di Manzi, di detto luogo -� e nostro tramezzatore, però che entrò in mezzo tra Dio e l’uomo e della grande guerra fece la grandissima pace”.
����������� Ed ancora sulla pace Caterina scrive a Benuccio di Piero, e a Bernardo di misser Uberto de’ Belforti da Volterra, che erano sempre in guerra con i vicini: “Dio per mezzo del Figliolo suo, e il Figliolo per mezzo del sangue, ci ha tolta la guerra e data la pace; così dico a voi, cioè che col mezzo della virtù vi converrà levare la guerra”.
����������� Predicatrice di pace, “messagger che porta l’ulivo”, Caterina scrive ancora a frate Raimondo da Capua dell’Ordine dei predicatori e a maestro Giovanni Terzo, dell’Ordine dei Frati eremiti di santo Augustino, narrando di una sua visione:”Crescendo in me il fuoco del santo desiderio, mirando, vedevasi nel costato di Cristo crocifisso entrare el popolo cristiano e infedele, e io passavo, per effetto e desiderio d’amore, per lo mezzo di loro, entrando con loro in Cristo dolce Gesù accompagnata col padre mio santo Domenico e Iohanni singolare (l’Evangelista), con tutti quanti e’ figlioli miei. Allora mi dava la croce in collo e l’ulivo in mano quasi volesse, e così diceva, che io la porgessi all’uno popolo e all’altro : io vi annunzio gaudio magno”(lettera 219).
����������� Un messaggio che, senza forzature, può essere trasmesso anche ai nostri giorni, perché i “due popoli” entrino finalmente nel costato di Cristo, affinché le loro scorie siano annullate per sempre. Una speranza di pace che santa Caterina da Siena può rendere credibile per l’Europa e per il mondo intero.
���������������������������������������������������������� �Prof. Giampaolo Thorel
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