dal Messaggero Veneto del 24/02/2002
riflessione di don Dino Pezzetta
L’odierno racconto della trasfigurazione di Gesù sul monte è riportato dai primi tre evangelisti in modo sostanzialmente identico. Matteo, però, aggiunge alcuni elementi che rendono l’episodio ancor più grandioso, maestoso, misterioso. Se nei versetti immediatamente precedenti si parla terra, terra – è proprio il caso di dirlo, perché siamo ancora in pianura – di persecuzione, passione e morte, di un cammino al seguito di Gesù con la croce sulle spalle, ora la scena si svolge «in disparte, su un alto monte», dove Gesù mostra un volto brillante come il sole, vesti splendenti come la luce. Neppure l’ombra di una croce, ma tutto è avvolto da una nube luminosa e rassicurante che fa esclamare Pietro: «Signore, è bello per noi stare qui» (v.4).
Lo stesso Pietro verso l’anno 64, o un suo stretto collaboratore che tra il 70 e l’80 scrive in suo nome, riferisce da testimone oculare l’episodio che lo ha profondamente scosso e ricorda la voce misteriosa di Dio che legittima il proprio Figlio e ordina di prestargli ascolto: «Questa voce noi l’abbiamo udita scendere dal cielo mentre eravamo con lui sull’alto monte» (2 Pt 1,18).
A detta dell’evangelista, i fatti si svolsero sei giorni dopo, da quando «Gesù cominciò a dire apertamente ai suoi discepoli che doveva andare a Gerusalemme e soffrire molto da parte degli anziani, dei sommi sacerdoti e degli scribi, e venire ucciso e risuscitare il terzo giorno» (Mt 16, 21). Nello stesso contesto si ricorda il terribile paragone che Gesù stabilisce fra un Pietro riluttante a seguirlo nella prova e il satana tentatore: «Lungi da me satana! Tu mi sei di scandalo, perché non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini» (v.23).
Dalla piatta pianura dell’Esdrelon alle alture del Tabor, dalla logica degli uomini alla logica di Dio. La trasfigurazione sul monte ha lo scopo di mostrare che la settimana non si conclude con il Venerdì di passione, ma di Domenica, in quel mattino radioso di Pasqua che inaugura i tempi nuovi. Quello stesso Gesù sofferente che l’establishment religioso di Gerusalemme condannerà a morte in nome della legge giudaica e il procuratore Pilato in nome della legge romana – e che la prima cerchia dei discepoli non si mostrerà disposta a seguire sulla via della croce – è il Figlio che il Padre riconosce e legittima come suo proprio.
L’alto monte della trasfigurazione forse non è il Tabor (poco più di 600 metri d’altezza), e nemmeno l’Hermon (con i suoi 2.800 metri e le sue nevi perenni). Più che di un punto geografico si tratta di un’esperienza, vissuta al di fuori della routine quotidiana e degli affanni della pianura, dei disegni degli uomini e delle logiche del mondo. Probabilmente si tratta di una “Pasqua anticipata”.
Qui la prima chiesa, rappresentata dal terzetto dei discepoli della prima ora (Pietro, Giacomo e Giovanni), fa esperienza di Gesù non avvolto dal buio che scende sul Calvario, ma illuminato dalla luce sfolgorante della vittoria pasquale. Al suo fianco compaiono Mosè ed Elia, il primo a significare la Legge, il secondo i Profeti, e tutti insieme il trionfo glorioso. «Non pensate che io sia venuto ad abolire la Legge (Mosè) o i Profeti (Elia); non sono venuto per abolire, ma per dare compimento (all’alleanza di Dio con gli uomini)» (Mt 5,17).
La prima chiesa, quella di Pietro, Giacomo e Giovanni, vorrebbe restare sul monte. Pietro, nella sua ingenuità, sarebbe disposto a costruire tre tende, una per ciascun personaggio glorioso. Nella sua generosità egli si dichiara pure disposto a trascorrere la notte all’addiaccio, tanto è bello e appagante vivere già nel futuro.
Ma è Gesù stesso che li tocca e li sveglia alla realtà, per invitarli a scendere dalla montagna, a imboccare quella immensa piana dell’Esdrelon che porta dritta a Gerusalemme, e salire altri due monti: quello degli Ulivi e, alla fine, il monte Calvario.
I discepoli dovranno assistere ad altre due trasfigurazioni, ma di tutt’altro segno. Durante la prima metamorfosi, quando nel Getzemani, con l’anima triste fine a morire, Gesù li pregherà di non lasciarlo solo, essi non riusciranno a rimanere svegli neppure un’ora, «perché i loro occhi si erano appesantiti» (Mc 14,40). Alla seconda trasfigurazione, sul monte Calvario, assisterà soltanto uno di loro, Giovanni, cui il Maestro affiderà la mamma ritta ai piedi della croce, e «molte donne» (Mt 27,55). Degli altri Giuda si è impiccato, Pietro lo ha rinnegato tre volte, e il gruppo si è disperso.
Sarà proprio una di quelle donne tenaci, Maria di Magdala, che di buon mattino, il giorno dopo il Sabato, mentre è ancora buio, in tutta fretta si recherà al sepolcro. E darà l’annuncio che Gesù non è più qui. Pietro, Giacomo e Giovanni apprenderanno da lei la nuova, ultima, definitiva trasfigurazione.
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