LA CULTURA EVOLUZIONE O INVOLUZIONE?

Riguardo alla cultura non credo che si possa parlare mai di involuzione, anche se risulta possibile fare una propria lettura dei fenomeni culturali e trovare in certi frangenti un moto regressivo nei confronti di ciò che l’osservatore si attenderebbe secondo i suoi più buoni auspici.
Di certo il termine cultura evoca l’immagine del coltivare” o del “coltivarsi”come formazione incessante di cui parla O.Wilde.
Tenendo conto di quello che dice G.Semerano riguardo il verbo latino”colere”-coltivare,onorare,- egli lo fa derivare dalla radice semitica
KwEL (circolare,andare attorno) ,da cui l’acc.KULLUS (ass.KA’ ULU, curare,provvedere, essere osservatore,offrire). La stessa radice KwEL sottende anche l’acc. GAWALU ( GAMALU,avere riguardo, essere ossequioso).
Nel mondo germanico Kultur viene a significare l’ insieme delle cognizioni di una società e la loro qualità,ovvero riguarda il grado di civiltà, anzi la Civiltà stessa.
Credo che O.Wilde intendesse cultura come una formazione inconscia, in quanto essa non è qualcosa che si può apprendere.

La cultura è quel che avviene e quel che si produce nell’invenzione nella quale il parlante si ritrova senza volerlo. Essa procede più che per apprendimento mnemonico per dimenticanza.
La cultura, l’invenzione, la formazione dell’inconscio stanno dove le parole precipitano, dove differiscono dividendosi da se stesse dando come effetto il sapere.

Nessun’ Epoca come la nostra ha mai avuto strumenti così sofisticati per la comunicazione culturale, anche se parlare di Epoca è un paradosso nel senso che si viene ad indicare un segmento di tempo, tentando di fermarlo in un punto.
EP – KEIN è l’atto di trattenere qui qualcosa. Ma è impossibile trattenere il tempo, dato che la ricostruzione di un’epoca del passato è il tentativo di ricostruire in atto, hic et nunc qualcosa, facendo tesoro della sola idea che noi abbiamo di passato.
La memoria, ogni memoria non è un archivio costituito dalla sedimentazione di ciascun “fatto accaduto” ma solo una sua particolare interpretazione.

Non mi sembra che gli abitanti dei nostri tempi sappiano usufruire a pieno delle inusitate possibilità che la tecnologia presenta in ogni campo del sapere. Il “quanto” prende il posto del “quale”, e l’incalzare dell’informazione per “quantità” prende il posto della “qualità”.
Non possiamo non porci la questione che ci presenta la parabola dei talenti, concernente l’investimento intellettuale, non solo finanziario, o meglio un investimento finanziario che sia intellettuale. La questione intellettuale riguarda diascuno di noi,e ciascuno di noi prima o poi si troverà a rendere conto di come l’ha espletata.

La riflessione sulla comunicazione prende le mosse con l’invenzione della democrazia,dalla nozione di “comune”CUM – MUNIS, obbligato, costretto a qualcosa perchè abitante entro le stesse mura
(moenia) contrario di “im – munem, libero da prestazioni.
Il tutto probabilmente dalla radice indoeuropea: MA,MAU,MU = misurare, distribuire, scambiare.
Si potrebbe dedurre che non si può non comunicare attraverso il simbolico, ovvero attraverso quei segni che acquistano una logica nella loro relazione, syn – ballo = mettere insieme,ricomporre. Ciò viene da una sorta di “tessera hospitalitatis”, un anello o altro contrassegno che suoleva rompersi in due parti, le quali conservate da due famiglie servivano poi sempre alle persone ad esse attinenti per comprovare l’ospitalità data o ricevuta.

Di qui l’invenzione della scrittura che ha come contesto la religione, ma anche l’economia e la politica con contratti e alleanze.
Non c’è comunicazione totale, comunicazione telepatica, nemmeno quella attraverso dei segni elementari, che sembrano inequivocabili come un semaforo.

L’immagine, attulmente, sembra usata per sviare la complessità del linguaggio verbale e invece essa ci introduce una complessità ulteriore. L’immagine televisiva di Sadam Hussein esibita come una ostensione della testa del nemico vinto è un Enunciato in quanto tale indecidibile.
La sua interpretazione si situa nell’Enunciazione: per l’occidente un sospiro di sollievo, per il fondamentalismo islamico una provvisoria sconfitta che grida vendetta.
Interpretazioni queste, ancora tagliate con l’accetta, perchè il tutto è sempre più imprevedibile e complesso. Per l’Enunciato, discorso pubblico, l’Enunciazione si situa nell’enigma, in una “logica particolare” imprevedibile nei giri e raggiri del linguaggio.

Ci sono due miti originari che ancor oggi ci dicono qualcosa sulla comunicazione e la struttura della Parola:

La torre di Babele e la Pentecoste.

Babele, Bàb – ilu, porta di Dio, sineddoche della città di Dio, un tentativo di localizzare Dio in un luogo, in una città santa.Ciò produce a detta dei redattori del Genesi una Balal,confusione.
Si tratta comunque sempre della mitologia della comunicazione totale, universale, come possibile, ma ciò viene a costituire una hybris nel rendere Dio un domestico a proprio servizio.
L’unilingua quella di un solo labbro si piega, si divide si differenzia nell'”a-lingua”, l’altra lingua,quella che concerne l’afasia strutturale, quella che viene dal balbettio,la lingua originaria, quella dell’inconscio; la lingua nella quale ciascuno si ritrova parlando, che non viene da un supposto metalinguaggio precedente, da una competenza verso una performance come vorrebbe Chomsky. La difficoltà non è toglibile dalla logica della parola, ma essa passa attraverso l’abuso linguistico,
la catacresi.
Il mito di Babele dice che non necessariamente c’è un comune, un universale, nè una condivisione nella logica della parola, ma c’è idioma, dove ciascuno segue un suo particolare itinerario.

Pentecoste (pentecosè) 50 giorni d.P. un nuvo soffio, lo Spirito, la Voce: ciascuno ascolta ed intende nella sua lingua, per via di malinteso. Non c’è comunicazione che non passi attraverso: l’Equivoco, il qui pro quo, la Menzogna, dove è impossibile travasare quello che c’è nella Mens e nemmeno quello che c’è nel pensiero nell’atto di Parola in funzione, il Malinteso, ciascuno intende a suo modo al di fuori delle intenzionalità.
Linguisti e semiologi come un tempo Saussure e oggi J.Searle hanno inteso queste cose al di fuori della psicanalisi giungendo parallellamente alle conclusioni di Freud che per caso partendo dalla clinica delle nevrosi approdò senza saperlo ad una nuova teoria linguistica.

La mitologia della sostanza –
L’irruzione della “massa” nel discorso occidentale ha condotto una operazione contraria a quella di Dante. Egli rese il Volgare opera d’arte, la massificazione ha reso l’Arte volgare, fino a ridurre l’intero sapere ad una vulgata prima giornalistica e poi televisiva. La vulgata pseudoculturale procede per luoghi comuni, sui quali tutti sembrano d’accordo senza porsi nessun ulteriore interrogativo. Qualcosa viene lasciato sotto, senza che venga messo ingioco, sub-stantia, ipo-keimenon, dei quali non ci deve essere parola, nessuna elaborazione, perchè le cose sono così, proprio così.
Attraverso questa logica si può essere sordi alle più vitali provocazioni. La sostanza è il seme dell’indifferenza. Oggi non si tratta della “dialettica del contro” ma dell’ignavia indifferente
del cittadino consumatore video dipendente, non ancora toccato nei suoi interessi personali.
Su questa via si situa anche lo psicofarmaco, una sostanza per chiudere la bocca, per togliere la parola, per togliere i pensieri, per togliere il disagio, per anestetizzarsi dalla vita.

La nozione di caso clinico oggi, non è quello ottocentesco ma un caso di parola, “klinomai” – la piega che sta nella parola, nella sua combinazione, tra la frase e la sintassi.
Esso è racconto, testo e in questo ricomposizione di dettagli.
Ogni Caso clinico è un giallo che procede senza una vera soluzione, la soluzione non è mai una. Caso…

Il Padre e la legge.

Credo che questi siano i maggiori contributi scientifici di S.Freud, funzioni che stanno scomparendo dalla scena per lasciare posto ad una idea psicotica di onnipotenza senza inibizioni, senza mancanza, attribuibile ad un orfano che rappresenta questa mancanza attraverso una contestazione nichilistica del sistema o il figlio magnifico che in asseza del padre si fa recipiente di ipertrofie bulimiche, magari con coscienze di colpa, dove gli unici movimenti sono quelli della crapula, i giramenti di testa per avere bevuto.


Giorgio Codarini, psicanalista