dal Messaggero Veneto del 4/11/02
Meglio i farmaci o la psicoterapia?
Egregio professore, confido nell’obiettività che le riconosco per avere letto tanti suoi articoli per rivolgerle una domanda che la riguarda anche personalmente, come professionista: qual è la strada da indicare a una persona depressa? I farmaci o la psicoterapia? Le chiedo questo perché ho letto il libro “Liberaci dal male oscuro”, in cui è chiaro che la depressione può essere curata soltanto con i farmaci.
Ho poi letto “Dite parole al dolore” e ho trovato il contrario: i farmaci fanno male, bisogna curarsi con la psicoterapia. Mi è infine capitata in mano una rivista (edita, a quanto pare, da una specie di setta) la quale dava addosso sia a psichiatri sia a psicoterapeuti, per non parlare di quanto asseriva a proposito degli psicofarmaci.
Chi soffre di depressione, o chi ha un parente che ne soffra, che cosa deve fare, a chi si deve rivolgere? Non le sembra, poi, che questi libri facciano più male che bene, che creino soltanto confusione? La ringrazio per la risposta che spero vorrà darmi.
Gianna Castellani, Udine
Gentile signora, ha ragione: a leggere qua e là, o a parlarne al bar tra amici, si può ricavare soltanto grande confusione, che aumenta quando s’incontrano qualche “miracolato” dai farmaci e qualche altro altrettanto miracolato dalla psicoterapia.
I quali, lo so per esperienza, saranno più che disponibili a raccontare la loro vicenda, glorificando ora l’uno ora l’altro sistema.
A mio sommesso parere, comunque, non credo ci sia il depositario del Verbo né tra gli psicoterapeuti né fra gli psichiatri. Ma come – osserverà lei –, non è uno specialista in psicoterapia? Appunto. E mi sono talmente specializzato fra studi ed esperienze “sul campo” per non essere tanto stupido e arrogante da pretendere di detenerlo io quel Verbo.
Avrei, nel contempo, anche la timida pretesa che neanche altri specialisti pretendessero di detenerlo, e così rischio di cominciare una certa polemica che continua a essere di stampo manicheo, e perciò settoriale, a volte corporativistica, spesso insulsa e pretestuosa e sempre negativa per chi sta male. Perché è con lui che psicoterapeuti, psichiatri, neurologi, medici di base e compagnia varia debbono sempre fare i conti.
Dicevo: di stampo manicheo, tutto il bene da una parte, tutto il male dall’altra. Semplificando, sarebbe corretto agire sulla “chimica dell’organismo” da un lato, scorretto e inefficace dall’altro, e viceversa, si capisce. L’uomo è fatto sì di carne, sangue, nervi e ossa, che si pesano, si misurano, che presentano le loro reazioni biologiche e via dicendo, ma è fatto anche di mente, di pensiero, di anima, la cui misura è spesso indefinibile.
È da tempo superato il dualismo cartesiano che opponeva corpo e mente come parti separate di un sistema comunque unico, vedasi alla voce “psicosomatica”, argomento che da anni mi fa sgolare con i miei studenti di Medicina.
Lei ha letto che i farmaci guariscono la depressione, poi ha letto che non la guariscono affatto, che sono pericolosi, che intossicano e danno dipendenze, che è necessario ricorrere alla psicoterapia: per forza se ne ingenera confusione.
Le do un consiglio, che certamente non è di parte, visto che sono uno strizzacervelli che non fa uso di farmaci: diffidi sempre di chi vuole psicologizzare od organicizzare il tutto. Non dico che la via giusta stia nel mezzo, affermo semplicemente che una concezione integrata dell’uomo che soffre sia comunque migliore di una assolutista, e perciò parziale.
Personalmente non sono affatto contrario, in certi casi, a un adeguato supporto farmacologico, magari iniziale e quale inevitabile tamponamento di situazioni di notevole gravità; resto comunque convinto che, aiuti chimici a parte (a volte indispensabili, lo ribadisco), serva un’adeguata psicoterapia per sciogliere i vari nodi dell’essere, andando alle cause e non rivolgendosi all’infinito ai sintomi.
Alla faccia degli stregoni del farmaco e di quelli dell’anima.
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