29° capitolo
Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò…(Mt.11,28)
Nessuno ha mai detto parole così consolanti su se stesso. Colui che si è sobbarcato i peccati di tutta l’umanità invita ognuno di noi ad andare a Lui. Ci sono diversi tipi di affaticamento e di oppressione nella vita di ogni uomo. Uno degli stati d’animo più angosciante è la consapevolezza della propria nullità. La nullità esistenziale, vuota di senso. La forza d’inerzia sembra trarci nella passività. Spesso si vorrebbe scomparire dalla scena del mondo ed anche al proprio sguardo. E’ troppo penoso sentirsi nullità, soprattutto quando si è consapevoli di non saper nemmeno amare, perché la forza gravitazionale del proprio egoismo è troppo forte.
Venite a me…
Egli dice. E’ mai possibile che un amore così infinito voglia attrarci pur conoscendo a fondo la nostra nullità ? Egli sa chi siamo più di noi stessi. Pensiamo di conoscerci, ma Egli ci conosce in maniera infinitamente più profonda di noi. Eppure ci dice di venire a Lui.
Sappiamo rivolgere il “venite a me” a coloro che ci fanno del bene perché ci fanno sentire a nostro agio. Potremmo al massimo sopportare qualche persona molesta per qualche ora (per amore del Signore). Eppure Gesù Cristo chiede a tutti di venire a Lui per l’eternità, conoscendo perfettamente la nostra superficialità, il nostro egoismo,la nostra grettezza e, peggio ancora, il nostro orgoglio. Che gusto c’è a stare(per Lui che è la Purezza) con individui così ripugnanti?
Proprio qui si intuisce l’infinito amore che Egli ha verso ogni uomo. Solo nell’aldilà ci renderemo pienamente conto di ciò, quando saranno trasparenti le nostre miserie e sarà sfolgorante la sua misericordia.
Sì, Egli ci ama veramente, e non solo a parole, ma soprattutto con i fatti. E’ per me e per tutti gli altri uomini che si è lasciato torturare e crocifiggere. Questa sua passione ci insegue in ogni momento della nostra vita e nessuno può far finta di niente. Egli ama e si lascia amare nella più incredibile discrezione.
Quando siamo carichi di sensi di colpa e non sappiamo realmente dove dirigerci, allora ci ricordiamo del suo invito e scarichiamo su di Lui il nostro fardello pesante. Immediatamente avvertiamo una leggerezza insolita, la vera pace che Egli ci ha promesso, non come quella che ci dà il mondo. Il mondo è carico di orgoglio e di superficialità. Cristo espande il profumo dell’umiltà e del senso reale dell’esistenza.
Molte volte si desidera andare da Lui ma il nostro animo si inaridisce e non trova pace. Potrebbe essere un’ottima occasione per rendersi conto del nostro egoismo. Si va a Lui per essere consolati. Ma anch’egli ha avuto un’umanità come la nostra e desidera essere consolato con i nostri atti di puro amore. Si crede di conquistare la sua predilezione elaborando raffinati pensieri sulla sua divinità e sul nostro essere. Ma chi ti dice qual è la sua volontà in quel momento? Egli può chiederci un atto di puro amore nella totale rinuncia alla nostra volontà.
La nostra stanchezza dipende spesso dal non aver capito quanto sia importante l’abbandono in Lui in qualsiasi situazione ci troviamo. Può darsi che in quel momento sia più importante donare il proprio tempo alla figlioletta sola che non ricercare consolazioni spirituali; oppure ascoltare un povero “diavolo” che racconta ripetutamente i propri affanni che mettersi a leggere un libro davvero edificante; o anche scegliere di adorare in silenzio il Creatore nella solitudine della campagna o davanti al Santissimo che disperdersi nel fragore della folla cittadina…
Il tutto dovrebbe svolgersi alla sua presenza desiderando intensamente la sua volontà che non sempre è secondo i nostri gusti. E’ proprio così…la nostra vita dovrebbe essere costellata da infiniti atti d’amore e allora verremo davvero consolati da Lui.
Ma da cosa deriva molte volte il nostro senso di noia e stanchezza? Spesso è dovuto ad una visuale troppo contingente e restrittiva del tempo. E’ una concezione che si disperde nella molteplicità in cui siamo immersi. Crediamo che il tempo sia realmente limitato: stentiamo a proiettarlo nell’eterno della resurrezione. C’è dell’ipocrisia in noi ad aderire all’ottica della risurrezione : nella pratica stentiamo a credere e diciamo : ma…forse…sarà…così dicono…chi vivrà vedrà…!
Ma è proprio immergendoci nella riflessione autentica sul tempo che molto spesso possiamo dare credibilità al concetto di Risurrezione così paradossalmente incredibile. Gran parte della nostra noia e stanchezza è dovuta al fatto che frazioniamo il tempo con eccessiva razionalità matematica: anni, giorni, ore, minuti, secondi..e ci dimentichiamo della durata interiore, che è quella più ontologicamente vicino allo Spirito. E’ quella che ci fa considerare il tempo passato come una serie di memorie volte sempre al presente, ed il futuro come delle semplici proiezioni che vengono ancora effettuate al presente.
Questo “presente” sempre attuale corrode nella nostra riflessione concreta l’opprimente razionalismo che vede il principio e la fine in ogni frazione di tempo. Quando ci fissiamo su un termine ultimo relativo al tempo cronologico non facciamo altro che generare in noi dei meccanismi d’attesa: ci alieniamo dal presente per anticipare un futuro che non è ancora presente. Sicché la mia mente si preoccupa di un qualcosa d’irreale, presunto e quindi fantastico. Si sente oppressa e tediata da contenuti astratti, ipotetici. La coscienza diventa prigioniera di una mente tiranna che toglie la serenità della visione pura di Dio. Dio ha bisogno di una coscienza libera, per potersi manifestare liberamente. Egli è già nella creazione ed in noi. Ma quando occupiamo la coscienza con preoccupazioni inutili, Egli non può manifestarsi nella sua pienezza. Non può essere limitato dalle nostre categorie spazio-temporali. Egli, eterno, è tutt’intero nell’attimo che non ha né principio, né fine, proprio perché è Lui l’Alfa e l’Omega.
Del resto la stessa nostra logica, scagliata nei più profondi abissi del pensiero umano, ci avverte che il nostro sapere e lo stesso linguaggio sono costellati di contraddizioni. Anche su ciò che si dice del tempo, che ormai (è stato appurato da numerosi filosofi) non è altro che un’astrazione della nostra mente e non ha alcuna oggettività.
Ha veramente un’inizio ed una fine il tempo? Oggettivamente le azioni iniziano e terminano. Decidiamo di intraprendere qualcosa e le nostre azioni iniziano e poi terminano. Noi le collochiamo in un tempo immaginario che ci serve per archiviare i singoli fatti nella memoria, la quale alimenta la nostra logica.
Quando cominciamo a scomporre in molteplici frazioni le unità cronologiche, ci accorgiamo che l’operazione può ripetersi all’infinito. Ogni istante è preceduto e seguito da altri. E altri ancora…e ancora altri. Può essere concettualizzato un’atomo cronologico? Ecco che intravediamo il paradosso della nostra logica scagliata all’estremo: viene sfuocato il concetto di principio e fine. In una visione “microcosmica” le unità cronologiche vengono assorbite dall’atemporalità : un tempo senza principio e senza fine non può essere denominato tale dalla nostra pura razionalità. Tende a collocarsi sul piano spaziale, diventandone la quarta dimensione (come del resto affermano gli scienziati dell’attuale secolo)
“Il regno di Dio in noi è la coscienza della propria eternità; chi ne è consapevole germoglia e cresce spontaneamente come il grano verso la mietitura. Chi matura nel regno di Dio distrugge il tempo e lo spazio e vede se stesso eterno. Seduto sulla riva del divenire vede la corrente trascinare mille e mille cose, non si getta nell’onda per salvare il ciarpame che essa trascina. Ha compreso che una cosa è il fiume del tempo e una cosa è l’uomo; l’onda che implacabile passa non potrà nuocergli. Non pensa alla brevità della vita, avendo la certezza di vivere sempre; non l’angoscia della morte, ma l’ansia di vivere la verità.” ( Giovanni Vannucci, Verso la luce, p.132, ed.Cens)
C’é un’altra deformazione della nostra mente che ha a che fare con il tempo e l’angoscia . Questa è relativa al concetto di Dio che spesso elaboriamo: pensiamo che Egli sia immenso nel senso “spaziale” del termine. Quando pensiamo alla sua immensità fissiamo le nostre metafore sugli spazi infiniti e sui tempi eterni. Puntiamo solo sul macrocosmo e tendiamo a trascurare il microcosmo. Se partiamo dal presupposto che Dio non è spazialmente circoscrivibile e temporalmente calcolabile, lo dobbiamo per forza vedere presente negli spazi più infimi e nei tempi più indefinibili.
E’ anche nell’atomo, nell’elettrone, nel quark, nel vero ed ultimo “atomo” energetico, dove ancora spazi e tempi sono infiniti ed indefiniti per ipotetiche coscienze intra-microcosmiche. Non sono state forse verificate particelle che durano miliardesimi di secondo? E perché non dovrebbero esistere infiniti altri mondi microcosmici? Dio è sicuramente ed interamente presente anche in quegli abissi. Lo spirito che c’é in me e in tutti gli esseri umani va sempre al di là del semplice fenomenico, proprio perché è il principio unificatore della realtà che è dentro e fuori di noi. E scopre che il “dentro” ed il “fuori” appartengono ancora alla nostra razionalità.
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