7° capitolo

Chi si esalta sarà umiliato, e chi si umilia sarà esaltato (18,14)

Una delle forme di infelicità più devastanti è il confronto determinato dall’orgoglio. Ognuno di noi aspira segretamente a diventare qualcuno che ha preso come modello e che viene ritenuto “grande” da tutti. Vogliamo, insomma, essere ritenuti “grandi”. Ma perché? L’ambizione ottenebra l’intelletto ed impedisce spesso di scoprire le ricchezze interiori che Dio ci ha donato. Dal momento che aspiro a diventare “qualcuno”, non sarò mai me stesso e qui cominciano tutti i guai.

Vogliamo essere grandi scrittori, filosofi,politici, attori, giocatori, piloti, artisti, critici, giornalisti, santi, chierici, musicisti, poeti, medici, scienziati, ingegneri, semplicemente per creare attorno a noi molto strepito, adunare molta gente che ci applaude e ci ammira e che ci prende come modello…Una simile aspirazione non potrà mai dare spazio alla vera interiorità. Gonfi di orgoglio, ma interiormente vuoti e desolati. Completamente immedesimati nel personaggio che immaginimo di essere e che gli altri i fanno credere di essere, la nostra vita passa continuamente da una recita all’altra, sempre su un grande palcoscenico attorniati da una vasta platea di illusi, i quali si proiettano in quello che credono noi siamo senza riconoscere le ricchezze che si celano nella loro interiorità.

Quando vogliamo essere “grandi”sclerotizziamo il nostro pensiero, perché lo limitiamo ad una idea fissa. Sviluppiamo solo parzialmente le potenzialità creative del nostro animo, perché le incanaliamo nel desidero smodato di essere qualcuno che in realtà non siamo.

Quando vogliamo essere solo noi stessi il nostroo animo riposa tranquillo, senza altro affanno. Allora non ci interessa l’ammirazione o la riprovazione degli altri. Siamo contenti di come Dio ci ha creati, dei doni che ci ha fatti e non proviamo turbamento se gli altri ci fanno intuire la nostra “mediocrità” o vogliono farci pesare i limiti che vediamo in noi.

Che cosa ha fatto l’uomo-Dio Gesù Cristo durante la vita terrena? Ha lavorato duramente nella bottega dell’artigiano Giuseppe, si è ritirato nel deserto per subire le tentazioni legate all’ambizione personale, ma le ha respinte. Si è attorniato di pescatori ignoranti, non ha mai disprezzato alcun essere vivente, ha risanato i più reietti della società e i suoi miracoli avevano solo lo scopo di testimoniare ed aumentare la fede nel nuovo Regno di umiltà. La sua vera volontà era legata a quella del Padre.

Nessun’altra ambizione: non un re terreno, o un grande politico o un famoso taumaturgo. Solo la volontà del Padre. E sappiamo quale è stata questa volontà: la passione e la morte infame su una croce. Spogliato delle vesti e di ogni dignità umana si è fatto, innocente com’era, tra i più reietti degli uomini, crocifisso tra altri due reietti.

Essere se stesso significava, per Lui, identificarsi con la volontà del Padre, con il suo disegno salvifico.

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Il dubbio e la fede