La sete d’infinito non dimostra la sua esistenza, ma ci pone sul suo cammino
Nei dintorni della casa di Elia abitava Renato, un professore che amava leggere molti libri. Si era sposato da poco e la sua giovane moglie attendeva un figlio. Ciò costituiva un’ulteriore occasione per leggere di più, dal momento che si sentiva in dovere di stare più in casa con la compagna. Leggeva soprattutto saggi ed opere filosofiche.
Il razionalismo, però, aveva preso il sopravvento sul suo cuore: Renato sosteneva che la nostra esistenza si conclude con la morte. Secondo lui non c’era alcuna prova dell’esistenza di un’anima immortale e di un’aldilà. Ma, dubitava anche di questo e spesso era inquieto.
A volte aveva strani pensieri: era quasi pentito di avere messo incinta sua moglie.
– Perché mettere al mondo un essere umano per poi renderlo infelice con i problemi e gli inquietanti interrogativi di questa vita? – pensava.
Un sabato pomeriggio passò davanti alla casa del saggio e vide Elia che stava curando amorevolmente il suo piccolo orticello. Renato rimase colpito dalla serenità del suo volto e dalla gestualità quasi sacrale con cui lavorava.
Lo salutò rallentando il passo, come per evidenziare che aveva l’intenzione di fermarsi a parlare.
– Entra, entra pure! – lo invitò il saggio, intuendo il suo desiderio.
Dopo aver parlato delle solite cose, il discorso cadde proprio sul senso della vita e Renato gli esternò molti suoi dubbi, sapendo di avere un interlocutore discreto e sagace.
– Vedi – gli disse Elia. Se non sperassi nei frutti, non curerei con attenzione il mio orticello. Non hai notato che tutto è ciclico, che in ogni essere vivente c’è un’attesa ed una maturazione?
– Sì…ma quale scopo ha tutto ciò? perché soffrire tanto se poi si finisce nel nulla? – si sfogò Renato.
– Se sei un umile ed attento osservatore, forse potrai intravedere alcune risposte. – suggerì Elia.
– Quali? – chiese scettico Renato.
– Partecipa attentamente alla gravidanza di tua moglie. Ascolta con lei l’evoluzione della vita che porta nel suo grembo…- lo esortò il saggio.
Renato se ne andò un po’ perplesso, ma fece come gli aveva suggerito Elia. Commentava spesso con sua moglie ogni più piccolo evento, osservava attentamente l’esito dell’ecografia, appoggiava la mano sul ventre della sua compagna per cercare di percepire ogni più piccolo sobbalzo del feto.
Un giorno Renato si trovò di nuovo a passare davanti ad Elia il quale gli chiese come stava procedendo la gravidanza.
Renato cominciò a descrivergli alcune sensazioni condivise con la sua compagna. Poi Elia commentò:
– Con molta fantasia prova ad immaginare, ora, quali potrebbero essere le reazioni del feto se potesse pensare come te . Probabilmente si chiederebbe che scopo hanno le sue gambe mentre sta nuotando nel tiepido liquido amniotico, oppure per qual motivo le sue manine sviluppano cinque dita ciascuna se non può usarle. Potrebbe anche chiedersi lo scopo della sua bocca se non parla e non mangia, oppure dei suoi occhi se non può usarli nel buio più completo…
Alla fine dovrà arguire che se questi organi esistono, verrà un giorno in cui potrà usarli e darsi alcune risposte.
Renato si chiedeva meditabondo cosa mai volesse spiegare Elia con simili fantasie.
Il saggio proseguì:
– Non voglio dimostrarti con questo la possibilità di una dimensione nell’aldilà. Voglio solo comunicarti alcune considerazioni legate alla tua esperienza.
E’ importante sentirsi “in fieri”, ancora in evoluzione, pellegrini dell’autorealizzazione verso la nostra pienezza.
Come vedremo il tutto? Possono due gemelli all’interno dell’utero chiedersi cosa c’è fuori? Non se lo chiedono perché il loro mondo è limitato a quello. Anche l’immaginazione è improntata sulla reale percezione della vita. Immaginare qualcosa oltre le comuni percezioni è pura fantasia che non potrà mai trovare riscontro.
Noi eravamo “feto” all’interno del caldo ventre materno, ma non ci ricordiamo le precise sensazioni che provavamo. Le abbiamo tracciate nel nostro inconscio, sono presenti e contemporaneamente mimetizzate nelle sensazioni attuali che continuamente mutano senza che ce ne accorgiamo.
Di fronte alla trascendenza noi possiamo solo balbettare. Non può esistere come la immaginiamo. E’ una realtà qualitativamente diversa da tutto ciò che percepiamo. Ma se in noi c’è questa insoddisfazione di fondo, se non siamo mai appagati dalle risposte della vita, potrebbe significare che c’è una realtà ben più completa che ci attende. Se non altro ammettilo come possibilità. Riflettici…
Renato aveva capito la lezione e da quel giorno tralasciò qualche libro per osservare di più la vita e la sua mente.
Continuò la sua ricerca, ma era molto più sereno.
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