dal Messaggero Veneto del 27/03/2002
Ancora su Turoldo un prete scomodo
Padre David Maria Turoldo frate e prete scomodo, profeta della voce tonante e dalla parola infuocata, poeta dallo stile biblico con il cuore sempre rivolto al suo Friuli (un Friuli archetipico simbolo della mamma, della Madre terra, della Vergine Maria), questo uomo alto e possente come una quercia, perennemente in cammino verso l’Infinito, verso Dio, senza recidere però le radici contorte affondate nel Friuli-Vergine, scrive parole di cui non posso che sentire la forza e la veridicità: “Cristo, abbiamo fatto di te un castello: / teologie, encicliche, lapidi / sul tuo Vangelo. / pesante monumento funebre / al tuo sepolcro vuoto”.
Turoldo non è un teologo, non è un parolaio. Turoldo sente tutta la forza del dubbio, vive con il dubbio: un dubbio che non lo conduce allo scetticismo ma alla ricerca di un ponte con l’Assoluto, un ponte che si collochi fuori dalla traiettoria del nichilismo.
Padre Davide non si chiude nel dogma, anzi vede proprio nel dogma un ostacolo alla vera fede. Dopo “Così parlò Zarathustra” e “Totem e tabù” solo un cieco può rimanere fermo nella certezza del dogma senza sentire il fiato del Nulla sul proprio collo, un alito gelido che pietrifica.
Solo la poesia può salvare la fede, la poesia è il ponte tra l’uomo-animale razionale e Dio: non saranno asettici trattati di teologia o paternalistiche prediche a mostrare la Via. L’uomo non è più la creatura divina del sesto giorno, centro del Mondo, ma un parente delle scimmie, circondato da macchine, ridotto a lavorare-concumatore, su un piccolo pianeta alla perifia del Cosmo. Quelle verità, state di pochi, al tempo di TAuroldo sono di tutti. È la poesia, nella sua valenza simbolica e sovrarazionale, ad uscire dal territorio del dubbio.
Turoldo muore con il Qohelet in mente, consapevole dalla vanità del Mondo, di quel luogo in cui il silenzio diviene assordante.
La personalità del profeta friulano è ricca e complessa, frutto di un’infanzia povera, dolce e amara, di una vita travagliata, di uno spirito inquieto, in tutto questo emerge una dicotomia profonda, sofferta ma non schizofrenica tra il Turoldo profeta roboante, attento all’immanente e alla missione storica della Chiesa, il David della fionda e della cetra e il turoldo mistico, tremante al cospetto del Nulla, silenzioso, fragile, vecchio. I versi in questione vanno visti, a mio parere, come opera di uno spirito puro e sofferente, privi di livore profetico, ma carichi di pianto spirituale, rivolti alla pietra nuda del Sepolcro.
Sono parole dure con la Chiesa e, quindi anche con se stesso, colpevole di aver edificato un castello pesante e cupo, fatto di parole, sopra il silenzio luuminoso, sublime, perturbante del Sepolcro vuoto.
Volendo azzardare, parlerei di un Turoldo contadino, profeta e mistico: nato nei campi, divenuto voce infuocata e ispirata, morto in silenzio certo che anche il male era bene, come solo i grandi mistici sanno. È con la malattia che in Turoldo, segnato nel corpo, diafano e vecchio prevale il richiamo inquietante di quello che Meister Ecklart chiama Nulla Divino, quello che tutti i mistici hanno associato a Dio (“Dio è una negazione della negazione” JHohannes Eckart sermone Unus deus pater omnium).
Solo abbandonando la pretesa menzognera, oggi più di ieri, di richiudere Dio nei limitati schemi mentali umani e, come sostenere il cardinale Nicolò da Cusa, arrivando a comprendere l’impossibilità di una gnosi del divino attraverso ragione, Dio no nsarà più un idolo ma l’Assoluto.
Crolli dunque il castello teologico e con esso le torri della superbia umana, ritorni visibile a tutti il Sepolcro vuoto di Cristo risorto. Quel Sepolcro che viene a coincidere con l’Evangelo (Sepolcro vuoto ed Evangelo sono la medesima cosa, sono la Buona novella, la promessa di vita eterna, di Resurrezione, tutto i lresto è solo una caverna e un sudario di lino per il primo e parole per il secondo).
Turoldo vive nella maniera più alta il mistero della incarnazione, vuole riportare l’uomo a Dio, ma anche Dio nell’uomo; è Cristo, il figlio dell’uomo che chiama padre Yhwh, che David Maria Turoldo cerca. È il Messia atteso da Davide e il Figlio perduto da Maria, è Dio e uomo, e Signore e fratello. Il Dio di Turoldo non è l’idolo dell’ultimo Papa conosciuto da Zarathustra, è il mistero eterno ed assoluto, incomprensibile dalla ragione, uno scandalo per la logica, unito all’uomo tramite Cristo.
Non sia la Chiesa una accolta di farisei intenti a imporre morali senza più un ponte Con Dio! Questo chiede Turoldo, Sia il sepolcro vuoto del Cristo risorto il baricentro della Chiesa.
Samuele Cecotti
liceo pedagogico Percoto di Udine
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