dal Messaggero Veneto del 17 dicembre 2001
Fede e solidarietà nel percorso poetico itinerante conclusosi a Gemona
di MARIO BRANDOLIN
Si è conclusa nel duomo di Gemona la prima parte del progetto Turoldo. Una voce dal Friuli, che è stato curato e ideato da Renato Stroili per l’Associazione Forum di Aquileia, che in queste settimane ha realizzato una serie di iniziative volte a riproporre l’attualità della figura e dell’opera di padre David Maria Turoldo a quasi dieci anni dalla sua scomparsa.
Quello di Gemona è stato l’ultimo appuntamento con la poesia del frate friulano. Miei versi dettati dalla pietre, questo il titolo della lettura, diretta da Massimo Somaglino e affidata alle voci degli attori Werner Di Donato e Saverio Indrio, alle note dell’arpa di Maria Teresa Bazzaro e del flauto di Tiziano Cantoni.
Miei versi dettati dalle pietre si compone come un significativo percorso nella scrittura di Turoldo, attraverso una scelta di versi che ne delineano la personalità poetica e la dimensione umana, entrambe contraddistinte da una continua tensione spirituale e da un’inquieta e assillante ansia di comprensione alla ricerca di un fondamento al nostro vivere.
Una poesia religiosa, come l’ha definita Gianfranco Scialino nelle breve introduzione alla serata che si era svolta alla sala Darsena di Lignano, illuminata dall’attesa e dalla fede nel Dio cristiano, più spesso turbata dalla presenza di quel grande nulla che genera il male sulla terra e profeticamente tesa alla speranza di un’umanità rigenerata nella fratellanza e nella solidarietà.
Niente di schematico, né di programmaticamente ideologico, bensì il senso di un’avventura dello spirito traspare dalle letture proposte. Che iniziano proprio in quel Friuli, dal quale Turoldo si staccò per seguire la sua vocazione sacerdotale, per diventare «emigrante della testimonianza» (ancora Scialino), ma che portò sempre nel cuore come appartenenza a quel mondo dei poveri e degli umili, gli Ultimi, cui dedicò molta parte della sua missione. E nel Friuli le radici si identificano con la figura della madre, via via assurta, lungo il calvario della miseria ma sostenuta da una fede incrollabile, a una identificazione con la madre delle madri, la Madonna. E attraverso di lei la seduzione per Dio, la scelta sacerdotale e la scrittura poetica perché «poesia – dice padre David in un suo verso – è rifare il mondo/ dopo il discorso devastante del mercadante».
Quel mondo nel quale sempre più vago e in pericolo è il concetto di uomo, sottoposto, com’è, a una brutale disumanizzazione nella corsa alla modernità, assai ben sintetizzata in quel «serpente d’acciaio» che attraversa le città alla fine di ogni giornata di festa. È il Turoldo profetico, dell’impegno civile e politico, della denuncia, della rabbia e dell’invettiva per un mondo sempre più fuori di sesto, sempre più lontano dall’armonia del creato, sempre più segnato da ingiustizie e disuguaglianze, sempre più incapace di ascoltare e di sentire la provocazione di Dio. Un senso profondo di vitale impotenza e al tempo stesso di non rinuncia alla speranza nell’intervento salvifico di Dio e di Cristo suo figlio, che si placa negli ultimi versi, quando già la malattia stava devastando il suo corpo e che si trasforma in un accorato, emozionante e sereno dialogo con Dio, riportato quasi di prepotenza al centro della sua scrittura.
Scanditi con suggestivi e mai prevaricanti interventi musicali, che spaziavano da Messenet a Bartók, da Couplet a una danza medievale che in chiusura della serata ben sintetizzava il senso di apertura alla speranza dello scrivere di Turoldo, i cinque blocchi di poesie erano letti con grande intensità dai due attori, i quali nella scansione ritmica del verso ricercavano sia la forza dei contenuti sia l’espressività della forma, la loro straordinaria musicalità e il loro valore di preghiera o di rivolta contro i tanti vilipendi dell’umano che abbondano nella nostra società opulenta.
Particolarmente toccanti i passaggi dedicati alla figura della madre e quelli in cui risuona finalmente pacata la riscoperta della morte e della sua accettazione. A ribadire, quasi ce ne fosse bisogno, che quella di padre Turoldo è una grande poesia, che parla ai cuori e alle menti, in una ricchezza di sfaccettature e sintesi di immagini e concetti che l’apparentano alla più alta poesia italiana del Novecento.
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