dal Messaggero veneto del 5/11/2001

Anche l’editoria si è attivata per le celebrazioni

di MARIO TURELLO

Si approssima il decimo anniversario della morte di padre Davide Maria Turoldo, avvenuta il 6 febbraio 1992, e il Friuli sta celebrandone la memoria con una serie di eventi che, tra dicembre e febbraio, comprenderanno convegni di studio, serate di teatro e di poesia, concerti, proiezioni, interventi nelle scuole.

Anche l’editoria si attiva, ed è di questi giorni la pubblicazione, da parte delle Edizioni Biblioteca dell’immagine di Pordenone, di un volumetto, Il mio vecchio Friuli, che raccoglie testi di Turoldo sulla sua terra, sempre amata e sempre cantata. Va detto, però, che non di un nuovo libro si tratta, ma della riedizione di quello apparso nel 1980 per La Locusta di Vicenza come Mia terra, addio.

Discutibile arbitrio, questo di mutare il titolo, che non rispetta la scelta dell’autore, inganna il lettore, confonde la bibliografia, e soprattutto edulcora inopportunamente il tono generale di testi che più che dell’idillio nostalgico hanno del tragico e del profetico: quelli dedicati al terremoto soprattutto, che oggi sembrano legittimare assai più l’addio che l’evocazione, poiché quello di Turoldo, quello che lui sperava sopravvivesse, era un Friuli povero e credente.

Ben vengano, però, le riproposte, per una migliore comprensione di una figura così complessa da essere tuttora oggetto di interpretazioni – e di passioni – controverse: tra le necessarie, a mio parere, quella di Da una casa di fango (Job), pubblicato da La Scuola nel 1951, un commento in forma di dramma al libro di Giobbe che fornisce una chiave di lettura di tutta l’opera di Turoldo, agonista di Dio anch’egli: «Io sono ritornato a Giobbe perché non posso vivere senza di lui, perché sento che il mio tempo, come ogni tempo, è quello di Giobbe; e che, se ciò non si avverte, è solo per incoscienza o illusione. Io sono ritornato a lui, perché da lui ho ricevuto l’unica soluzione possibile della mia vita».

Ma anche questo volumetto dedicato al Friuli contiene un testo capitale per la conoscenza profonda dell’uomo Turoldo, ed è quello iniziale: Io non ero un fanciullo. Il racconto, nucleo e quasi sceneggiatura del film Gli ultimi, descrive l’infanzia poverissima e le molte amarezze del piccolo Giuseppe (si sarebbe scelto, da frate, il nome di David, l’uomo della fionda e della cetra), e vi si colgono tutti i semi – emotivi, ideali, spirituali, religiosi – della sua esistenza, delle sue scelte, della ribelle fedeltà, della liberissima obbedienza, pagate sempre (come sempre ha pagato nella storia il popolo friulano, e ancora lo esortò a pagare padre David nei giorni della ricostruzione).

Ma specularmente si cerchi, in questo racconto (che penso di poter collocare intorno al Sessanta), la retroproiezione dell’animo di colui che lo scrisse maturo di studi (si laureò in filosofia alla Cattolica, nel 1945, con una tesi dal titolo Per una ontologia dell’uomo), di sacerdozio impegnato e battagliero, di radicalità e di dubbi, e ne apparirà il simbolismo profondo, la portata teologica del rapporto di equivoca intimità con lo spaventapasseri, e nella distruzione di quello il senso della raggiunta autonomia, della piena identità assunta in una sorta di via negativa e poi sempre mantenuta, per usare un motto di Turoldo, “nonostante tutto”.

E meglio si capirà il suo impegno elettivo per i poveri, e il farne pietra di paragone dell’autenticità cristiana – dalle messe della Carità nel Duomo di Milano alle battaglie per Nomadelfia, dal supporto intellettuale alla Resistenza alla missione umanitaria nei Lager, dall’avversione al collateralismo all’approvazione della teologia della liberazione – e criterio di verità della Chiesa: dell’istituzione teocratica da cui fu osteggiato come della gerarchia illuminata (Montini, Gaddi, Martini) che gli dette credito ed appoggio, delle aperture del Concilio come della sua sterilizzazione (cui rispose negli ultimi anni con l’impegno liturgico, con le traduzioni degli inni e dei salmi: e ancora, persino in questo, osteggiato. Ma tutta la sua poesia fu liturgia, preghiera, imprecazione: Davide e Salomone, Giobbe e Qohelet).

Più semplicemente intense, e toccanti, le pagine in cui Turoldo rievoca la morte della madre e la celebrazione di lei da parte del padre; un po’ di maniera, ma con accensioni poetiche e morali, quelle sulla polenta: un inno, ancora, alla povertà. Il tema dell’identità friulana fa da filo conduttore ai testi sui confini (e Turoldo ne ha varcati tanti, di confini, annunciatore del Vangelo ed esule a causa del Vangelo), sull’emigrazione e sulla devozione mariana e si fa poi urgente, accorato, nei tre sul terremoto, nei quali mi pare che il tono affermativo sia tutto incrinato dalla consapevolezza che alla rinascita materiale del Friuli non si sarebbe accompagnata quella civile, etica, religiosa, che la nostra «piccola gente biblica», sopravvissuta a tante traversie storiche, non avrebbe retto al benessere. La silloge si chiude con le parole dedicate alla mamma di Pier Paolo Pasolini in occasione del funerale del poeta assassinato: orazione che ebbe larga eco, gioiello di pietà umana e cristiana, addio a un fratello che, sì, gli assomigliava.
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Oggi in sala Aiace a Udine le riflessioni di Franco Loi, Amedeo Giacomini e Luciano Erba
Tre poeti a confronto su padre David


UDINE – Al Senso della poesia di David Maria Turoldo è dedicato il secondo appuntamento del progetto David Maria Turoldo. Una voce dal Friuli, ideato e curato dall’Associazione culturale Forum di Aquileia, in sinergia con la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, con il Comune e la Provincia di Udine, con l’Associazione Padre David Maria Turoldo, col Teatro Club Udine, il Centro espressioni cinematografiche, Cinemazero e la Cineteca del Friuli. Intanto, è visitabile a partire da questi giorni anche il sito Internet che la Regione Friuli-Venezia Giulia ha voluto articolare sul progetto Turoldo: tutti gli interessati possono collegarsi a www.regione.fvg.it, sezione In primo piano, oppure direttamente da Spettacoli ed eventi.

E, per il secondo appuntamento, stasera alle 20.45 in sala Aiace a Udine alcune delle voci più autorevoli della lirica contemporanea italiana – i poeti Franco Loi, Amedeo Giacomini e Luciano Erba, neovincitore del premio Menichini – s’intrecceranno in una conversazione che ruoterà intorno all’inesausto impegno poetico di padre Turoldo.

Il monaco-poeta friulano acquistò notorietà in Italia tra il 1948 e il 1952, allorché Bontadini pubblicava il volumetto di liriche Io non ho mani; nel 1951 uscì da Garzanti La terra non sarà distrutta; l’anno seguente Turoldo entrava nella prestigiosa collana dello Specchio di Mondadori con un secondo volume di liriche Udii una voce; nel 1952 ancora veniva incluso nell’Antologia della poesia religiosa italiana contemporanea edita da Valsecchi. Questo primo itinerario poetico si accompagna a un’intensa attività culturale di confronto e di dialogo che ha il suo centro propulsore nella cosiddetta “Corsia dei Servi”.

I temi dibattuti trovavano larga risonanza nelle persone e nei circoli tesi a un’opera di rinnovamento e impegnati in una progettualità di largo respiro. La produzione poetica degli anni della sofferenza fisica, Canti ultimi (Garzanti 1991) e Mie notti con Qohelet (Garzanti 1992), costituisce un richiamo culturale fra i più apprezzati di tutta la sua vasta produzione. In essi l’uomo si confronta e si scontra con il mistero dell’essere, della vita, della morte con una nudità radicale.

Le stesse comuni risposte della fede si oscurano e tutto sembra approdare a un deserto dove “il già detto” non serve più in nessun senso e in nessuna direzione. Ma anche qui Turoldo finisce per essere propositivo: «Sperare è più difficile che credere», diceva in un’intervista.

All’appuntamento odierno non parteciperà il poeta Andrea Zanzotto, che ha comunicato l’impossibilità a raggiungere Udine per problemi personali: Zanzotto sarà comunque protagonista del progetto Turoldo nel mese di febbraio, in occasione dell’appuntamento dedicato a Un progetto per l’uomo, in calendario il 5 febbraio 2002. Sempre stasera sarà avviato il primo Premio biennale di poesia dedicato a David Maria Turoldo, per opere già edite.

E alla poesia di Turoldo è dedicato anche il percorso a stazioni proposto per iniziativa dell’Associazione culturale Forum di Aquileia, in coproduzione con il Teatro Club Udine, su coordinamento di Angela Felice: …Miei versi dettati dalle pietre… Serate di poesia dai testi di David Maria Turoldo titolano i sei appuntamenti in cartellone dal 9 al 15 dicembre, affidati alle voci recitanti di Werner Di Donato e Saverio Indrio, su accompagnamento musicale arpa e flauto a cura dei musicisti Mariateresa Bazzaro e Tiziano Cantoni.

Un commento al repertorio poetico individuato, dall’opera di padre Turoldo, per ogni serata, sarà offerto dagli studiosi Mario Turello e Gianfranco Scialino. La regia è a cura di Massimo Somaglino.