Ogni sofferenza è il pungolo dell’autocreazione
Molte sono le domande che vorremmo porre al nostro Creatore, ma la principale è comune a tutti: perché la sofferenza? Non poteva crearci con un certo grado di perfezione, privi di ogni necessità corporale?
Altri interrogativi si affacciano alla nostra mente disorientata: ma Lui, dal quale tutto ha origine, ha faticato a creare? La teologia tradizionale ci insegna che in Lui non può esserci ombra di imperfezione. Il dolore e la fatica appartengono alle imperfezioni degli esseri ancora in evoluzione, quindi Dio non può “evolversi” perché è già perfetto in sè ed è l’origine di ogni perfezione. Da qui possiamo dedurre che ha creato l’Universo e noi senza alcuna fatica o dolore.
Anzi, durante l’atto creativo era nel più completo piacere: Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona. (Gen. 1,31) Questo versetto biblico ci permette obiettivamente di intuire che Dio ama la vita ed esulta di gioia per essa. Ed allora perché permette tanta fatica e tanto dolore? Ci è stato insegnato che la risposta è in Gesù Cristo, per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte. “Chi vede me vede il Padre”.
Si è incarnato nel Figlio e ciò che vediamo nel Figlio, è nel Padre. I Vangeli ce lo presentano come una lode vivente del Padre, al quale si sottomette fino alla passione ed alla morte in croce. Questo ci dimostra, allora, che Dio non è cinicamente staccato dalla sua creazione. Vi si “immerge” tramite il Figlio, della stessa sua natura. E lo fa per riportare la creazione allo splendore iniziale, dopo il decadimento dovuto al peccato, che è la mancanza d’amore dell’uomo. L’uomo ha voluto allontanarsi da Dio e Dio gli dà la possibilità di “ridivinizzarsi” tramite un estremo atto d’amore, quale l’incarnazione, la passione e la morte in croce.
Anche un buon padre terreno richiama vagamente l’opera divina. Il padre concepisce il figlio in un atto d’amore accompagnato dal piacere insito nello stesso atto. Poi segue la creatura durante la sua evoluzione, partecipa di persona allo sforzo che deve fare per arrivare alla maturazione…
Dio-Padre crea nella gioia e partecipa di persona allo sforzo della sua creatura che dovrà raggiungere la statura di Gesù Cristo. Non l’abbandona a se stessa: semplicemente le indica la via maestra, che è quella dell’amore, che la stessa croce sottende. In Gesù Cristo misericordioso sono celati i segreti amorosi del Padre che vengono gradualmente svelati dallo Spirito Santo.
In Lui ogni attimo della nostra vita è pienamente partecipato: l’immane sforzo della tremenda passione riassume, sintetizza e ricapitola ogni più piccola sofferenza di tutti gli uomini che sono esistiti, esistono ed esisteranno.
Non vale, allora, la pena di partecipare anche noi a questo incredibile e misterioso sforzo della Creazione?
Riflettiamo profondamente sulla nostra esistenza, destinata ad una gloria che ora non possiamo immaginare e che è rappresentata dalla Risurrezione di Gesù Cristo…
Scriveva Camus: “Se c’é un’anima, è un errore credere che ci sia data già interamente creata. Si crea qui, lungo la vita. E vivere non è altro che questo lungo e torturante parto. Quando l’anima è pronta, creata da noi e dal dolore, ecco la morte”.
“Bene e male, vita e morte, povertà e ricchezza, tutto proviene dal Signore.” (Sir.11,14) Se Dio ha permesso il male e la sofferenza, c’è un motivo!
E’ faticoso scalare un’impervia montagna. In una scalata libera si sfruttano soltanto gli appigli naturali offerti dalla parete. Il rischio della caduta è sempre presente. Le sporgenze sono a volte scomode e taglienti mentre qualsiasi sguardo al vuoto sottostante genera pericolose vertigini.
E’ difficile intravedere la cima nascosta tra dense nubi: eppure c’è e bisogna ascendere faticosamente. Una volta saliti, seduti su una roccia, si osserva con grande soddisfazione il bellissimo panorama e si gode il maestoso silenzio di quelle altezze.
Ecco una sfumata metafora della nostra vita. Si sale verso una meta non ancora visibile. La fede ci dice che c’è e che bisogna continuare l’ascesa. Per ognuno c’è un calvario, una croce, una vetta.
Ma ogni fatica è uno sforzo creatore simile a quello divino se viene illuminato da Cristo. L’esperienza di fede continua attraverso le fibre del fisico e dello spirito. In questa situazione prevale l’adattamento alla volontà di Dio…è molto difficile soffrire con coscienza, con intelligenza. C’è sempre qualcuno che protesta in noi (P.Albino Candido, Diario,)
Ogni uomo vive in un mare di sofferenze. Molte subìte, altre effetto di errori personali o collettivi, altre accettate con amore.
L’eterna domanda riguarda sempre il dolore: perché Dio lo ha permesso e come si concilia con la sua infinita bontà?
Eppure il cristianesimo ha come simbolo la croce e lo stesso Maestro ci indica che il Regno si raggiunge tramite essa. E’ possibile costruire una vera filosofia della croce? Filosofi e teologi si sono scervellati per poter dare una spiegazione accettabile alla logica umana. E invece non risulta rientrare in alcuna logica. Più la ragione vi penetra e più diventa illogica.
La domanda si fa più insistente: nella sua onniscienza ed onnipotenza, non poteva il Signore risparmiare a se stesso e a noi tanta fatica? Non poteva donarci un’intelligenza tale ed una visione della vita così completa da fare in modo che noi lo adorassimo senza entrare in un mare di dolore così spesso insopportabile? L’uomo saggio, previdente, ragionevole, questo ipotetico altro Adamo non si sarebbe lasciato corrompere dal diavolo e quindi non sarebbe decaduto.
Tutte domande che scaturiscono dalla mente isolata dal cuore. La razionalità non riesce a penetrare il mistero. Il cuore ne intuisce lo spessore.
Allora bisogna scendere al cuore. La fede, virtù teologale, ci deve condurre ad una convinzione fondamentale : Dio è bontà e misericordia infinite.
E’ necessario credere nonostante le apparenze ci facciano dubitare di ciò. Bontà significa condividere quello che si ha e, più ancora quello che si é. Dio vuole condividere con noi quello che ha e quello che é. Ciò che ha di più prezioso, oltre alla creazione, è suo Figlio.
Nell’incarnazione ce lo ha dato. Noi l’abbiamo maltrattato a causa della nostra incredulità e opacità. Ma da questa sua enorme sofferenza ci ha resi partecipi della sua natura. Condivide con noi ciò che é perché chi crede in Lui, cioè lo ama mettendo in pratica le sue parole e il suo esempio, si “divinizza”, diventa coerede di suo Figlio, quindi figlio di Dio.
Pier Angelo Piai