XI DOMENICA DOPO PENTECOSTE – Anno B
Re 18,16 b- 40 a
– Rom 11, 1-15 – Mt 21, 33-46
Che cos’è questa vigna di
cui parla Gesù? È il racconto, per figure, di ciascuno di noi: ognuno è vigna
che non risponde, non produce, che mette fuori, elimina dai propri recinti i
profeti e la parola di Dio. Per non aver fatto fiorire la nostra vigna chiediamo
ora perdono.
Dice il Profeta: Fino a quando salterete da una parte
all’altra? Perché siamo instabili
e facilmente cambiamo, tu ci perdonerai, Kyrie eleison
Paolo assicura: Dio ha forse ripudiato il suo popolo? Impossibile! Per non aver creduto l’amore disarmato e mai arreso di Dio, Kyrie
eleison
Dice Gesù: altri avranno la vigna e porteranno frutto.Per le azioni senza fecondità, i
tralci sterili, i giorni inutili, Kyrie
eleison
Omelia
Gesù amava le vigne, doveva
conoscerle molto bene e avervi lavorato; le osservava con occhi d’amore e
nascevano parabole, ben sei nei vangeli.
E ha adottato la vite come
simbolo di se stesso (io sono la vite e
voi i tralci) e al Padre ha dato nome e figura di vignaiolo (Gv 15,1).
Ma oggi, nel vangelo, una
vigna da cui si vendemmia sangue. E tradimento. Eppure come è confortante
vedere che Dio non si arrende, che non è mai a corto di meraviglie, che ricomincia dopo ogni
tradimento ad assediare di nuovo il cuore, con altri Profeti, con nuovi
servitori, con il Figlio e, infine, anche con le pietre scartate.
La
parabola è trasparente. La vigna è Israele, non solo, ma siamo noi, sono io vigna
e delusione di Dio. Che cosa dovevo fare
ancora alla mia vigna, che io non abbia fatto ? Che cosa Dio doveva fare di
più per me?
E’
bella questa immagine di un Dio appassionato, che fa per me ciò che nessuno
farà mai.
La
parabola però cammina verso un orizzonte di violenza. Mi pare di intuirne
l’origine, nelle parole dei vignaioli, insensate e brutali: “Costui è l’erede, venite, uccidiamolo e
avremo noi l’eredità!”
Ma quale manuale di diritto hanno mai letto? Si ispirano, invece, a
quella forza primordiale e brutale, originaria e stupida, che in ciascuno dice:
prendi il posto dell’altro, eliminalo e avrai il suo campo, la sua casa, la sua
donna, i suoi soldi.
C’è
una voce che grida in ciascuno: sii il più forte, il più crudele, il più furbo
e sarai tu il capo, quello che comanda e arricchisce. Uccidiamo e avremo!
Questa ubriacatura, questo essere drogati di competizione, di
potere, di possesso ecco ciò che devasta la vigna del mondo. Infatti nel
Decalogo di Mosé c’è un comandamento ripetuto due volte. Due volte perché ha
doppie radici, più profonde, più resistenti, avvinghiate al cuore. Il primo
dice: “Non desiderare la donna d’altri” e il secondo ribadisce: “Non desiderare la roba d’altri”. Non desiderare la sua casa, la sua
macchina, le sue vacanze.
Questa brama di potere e di avere ciò che l’altro ha (poco
importa che sia una terra in Iraq, una città in Siria, un posto più alto in
ufficio, una donna che ha deciso che non ce la fa più con te, o il frutto della
vigna) questa è l’origine di tutte le vendemmie di sangue della terra, di tutte
le guerre, di tanti omicidi, di tanti femminicidi che riempiono le cronache di
ogni giornale.
Nelle
vigne, ho sentito che in anticipo è già iniziata la vendemmia.
Da
me, piccola vigna, piccolo tralcio del Signore, ogni giorno vengono persone,
chiedono ascolto, conforto, un segno di bontà. Il pane per vivere e l’amore per
avere un motivo per vivere.
Ogni
giorno vendemmiatori sconosciuti vengono e cercano frutti, domandano vangelo,
giustizia, un po’ di coraggio e un raggio di luce. Che cosa trovano in noi, in
me? Vino buono o uva acerba?
Conclude la parabola: “Che
cosa farà il Padrone della vigna dopo l’uccisione del Figlio?” La soluzione proposta dai giudei è
logica, una vendetta esemplare e poi nuovi contadini, che paghino il dovuto al
padrone.
La loro idea di giustizia è riportare le cose un passo
indietro, ritornare a prima di quei delitti, mantenendo però intatta la logica
che Dio si deve pagare, l’eterna illusione dei conti in pareggio con Lui.
Gesù non è d’accordo, introduce la novità propria del
Vangelo: la storia perenne dell’amore e del tradimento tra uomo e Dio non si
conclude con un fallimento ma con una vigna nuova che è Cristo.
Perciò io vi
dico: il regno di Dio sarà dato a un popolo che ne produca i frutti». E c’è un grande conforto in
queste parole. I miei dubbi, i miei peccati, le mie sterilità non bastano a
interrompere la storia di Dio. Il mio tradimento non è in grado di fermare il
suo piano, il suo progetto avanza nonostante: la vigna darà frutto.
Dio non spreca la sua eternità in vendette.
Tra Dio e l’uomo le sconfitte servono solo a far meglio
risaltare l’amore di Dio.
La vigna, infatti, sarà data a chi saprà farla fruttificare,
è il fiorire della vita in tutte le sue forme il sogno di dio e non il tributo
da riscuotere.
Di più ancora: sogno di Dio è diventare Lui la vite di
questa nostra vigna e noi tralci sempre più fecondi.
Ciò che Dio si aspetta non è il tributo finalmente pagato,
l’uva finalmente consegnata a lui, o la pena scontata, ma una vigna che non
maturi più grappoli rossi di sangue e amari di lacrime,
bensì grappoli caldi di sole, gonfi di luce e di miele; una
storia che non sia guerra di possessi, battaglie di potere o di respingimenti,
ma vendemmia di bontà, frutto di giustizia, grappoli di onestà e, forse, perfino
acini, frammenti di Dio tra noi.
Per questo è venuto Cristo, in Lui mi innesto, di Lui mi nutro
e cresco. Avrò gli stessi sentimenti che furono in Lui, avrò grappoli d’amore.
Cristo vite io tralcio. Io e lui la stessa cosa, stessa
pianta, stessa radice, una sola linfa, Lui in me e io in Lui. Come figlio nella
madre, madre nel figlio.
Con una immagine molto bella Lanza del Vasco ha intitolato
una sua opera L’arca aveva una vigna per
vela. L’arca che salva
l’umanità, l’arca che galleggia sulle acque di questi ininterrotti diluvi, di
questi quotidiani naufragi, è sospinta da una vela che è Cristo vite e noi suoi
tralci. Avete visto tutti in questi giorni le foto di quei naufraghi, puntini
neri disperati seminati nel mare azzurro, in una lotta che non è ancora morte e
non è più vita. L’arca
aveva un vigna per vela…l’arca
per alcuni di quei puntini neri è arrivata, per molti altri no. Eppure l’arca può
ancora arrivare e far salire a bordo fratelli che sono tralci di Dio, pezzetti
di Dio che galleggiano sul mare. Siamo noi quell’arca, se non ci vergogniamo
del vangelo, se ci lasciamo sospingere da Cristo.
Noi la vela, Dio il vento. La terra e il mare non
appartengono non a chi la circonda di mura e filo spinato, e chiude i tunnel, ma
a chi ha il coraggio lucido di maturare grappoli di giustizia, di accoglienza e
di fraternità: e sono le vele che fanno avanzare l’arca della storia. L’arca
che può salvarci. O ci salveremo tutti insieme o non si salverà nessuno.
Preghiera alla Comunione
L’uomo dei campi guarda la
sua vigna
con gli occhi dell’amore.
Così tu guardi me, Signore.
E mi lavori, mi proteggi,
mi accudisci,
mi fai diventare il meglio
di ciò che posso diventare.
‘Che cosa potevo fare di
più per te?’ domandi.
Niente Signore, niente di più.
Tu hai fatto per me ciò
che nessuno ha fatto mai,
Lascia che ti ringrazi,
Signore,
per tutto il tuo lavoro,
per le tue mani su di me,
per il sole e l’acqua a
tempo debito,
per i tralci potati che
hanno portato più frutto,
per tuo Figlio, mia
radice, mia linfa,
mia vita, mio vino di
festa.
Non stancarti di questa
vigna deludente,
Tu, Signore che non sai
ripudiare.
Risali sulla mia barca,
alziamo ancora la vela dell’arca, la vela che è Cristo,
che ci sospinge sul mare
dell’umanità.
Cristo, vite vera, che matura grappoli di cielo e di miele,
di giustizia e di compassione
per noi e per il mondo,
nei secoli dei secoli.