IL TEMPO E LA COSCIENZA
Gary Gibbons, cosmologo presso l’Università di Cambridge afferma: “Noi pensiamo che il tempo sia emerso all’epoca del Big Bang, e se è emerso può anche scomparire.
Io invece sostengo che il tempo sia emerso con la coscienza dell’uomo perché non esiste oggettivamente. Noi lo interpretiamo come un passaggio di stati e lo “matematizziamo” per convenienza pratica, perché ciò ci consente l’osservazione dei fenomeni facendo riferimento ad un modello pre-costituito.
Ma non è così semplice. Ogni fenomeno è osservato dalla nostra coscienza, la quale applica una sua logica: la successione di percezioni dovuta all’evoluzione dei fenomeni che riteniamo “esterni” a noi è parallela agli stati mentali.
Quando osserviamo qualcosa facciamo una inconscia operazione mentale: cerchiamo di distinguerci il più possibile dall’oggetto osservato, e più ci differenziamo, più ci riteniamo obiettivi.
Le variazioni esterne che percepiamo determinano le corrispettive variazioni degli stati d’animo (un giorno forse scopriremo che potrebbe essere anche reciproco, senza scadere nel soggettivismo).
Da osservatori immaginiamo che il nostro centro di appercezione della realtà sia immobile ed invariabile, perché altrimenti come potremmo considerare e misurare un dinamismo esterno se anche quello interno varia continuamente? La coscienza ha un ruolo determinante.
Se proviamo a considerare il moto che noi associamo al fluire del tempo, ci accorgiamo che tutto si muove rispetto a qualcos’altro. Noi rispetto alla superficie terrestre, la terra rispetto al sole, il sole rispetto alle galassie, l’Universo rispetto al Big-Bang.
Possiamo dichiarare con certezza che esiste un punto fermo nello spazio? Il punto fermo è nella nostra coscienza proprio perché è continuamente in sé e non può “esserci” fuori di sé, altrimenti perderebbe le caratteristiche di “coscienza” la quale è legata al continuo tentativo di “soggettivazione” che essa mette in atto per esistere come tale.
Auto-coscienza e soggettivazione sono due facce della stessa medaglia.
Per pensarci come “soggetto” dobbiamo contrapporci all’oggetto in una dialettica senza fine, proprio perché ci accorgiamo che “oggettiviamo” anche ciò che immaginiamo appartenga al “soggetto” nello stesso momento in cui lo pensiamo come tale. Il soggetto puro non è in realtà “pensabile”, altrimenti cade nella dimensione oggettuale.
In pratica la coscienza di ognuno di noi tende alla trascendenza, nel senso che nega ogni forma di oggettività.
Tutto ciò che percepiamo, analizziamo e cataloghiamo è il frutto di questa dialettica, per cui affermare che il tempo inizia con il Big Bang e finisce con il Big Rip (grande strappo) potrebbe essere un no-sense se non abbiamo presente la dialettica della coscienza.
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a cura di http://mondocrea.it