DOMENICA DI  PASQUA  2015

At, 1-8a; 1Cor 15, 3-10a; Gv 20,11-18

 

Buona Pasqua, fratelli sorelle amici e voi sconosciuti
compagni di fede, a ciascuno e a tutti quelli che portate nel cuore. Noi che
celebriamo la Pasqua, siamo presi oggi dentro la potenza della risurrezione di
Cristo Gesù, sospinti da lui, trascinati in alto da lui forza ascensionale del cosmo,
nella grande migrazione verso la vita.

Pasqua è questo: di fronte a
chi decide di “amare e donare”, non c’è morte che tenga, non c’è tomba che chiuda,
non c’è macigno che non rotoli via.

 

Signore, nostra vita, donaci fiducia, Kyrie eleison

Signore, nostra risurrezione, donaci cuore Kyrie
eleison.

Signore, nostra Pasqua, donaci vita Kyrie eleison

 

La Pasqua è tornata, Pasqua è
qui, l’abbiamo sentita da un vangelo dove tutto si colora di urgenza e di
passione.

Urgenza del
seme che si apre, del masso che rotola via, e il sepolcro vuoto e risplendente
nel fresco dell’alba è come un grembo che ha partorito, come il guscio di un
seme aperto.

Passione fino alle lacrime, all’eloquenza delle lacrime.

Il vangelo di Pasqua è come un Cantico dei Cantici:
c’è il giardino, l’amata che cerca: cerco
l’amore dell’anima mia; e poi c’è la notte e l’alba, la corsa e le lacrime,
il nome pronunciato come nessuno sa fare se non colui che ti ama.

E poi quel di più: la tomba
che diviene una polla di vita.

Donna perché
piangi?
La prima parola del Risorto è
sulle lacrime.

E non per dirle: non
piangere più, smettila con il pianto. Ma per piegarsi su di lei, per
abbracciarla, per stringersi a lei, e condividere, e entrare nel suo fiume.

“Diglielo perché piangi, Maria. Digli perché tu non
temi le lacrime.

Per un motivo grande, per il più grande dei motivi:

Tu piangi per
amore. Piange chi ama. Piange molto chi ama molto”.

Le lacrime di Maddalena sono il tesoro del Risorto,
Lui le raccoglie ad una ad una nel suo cuore, nei suoi archivi eterni, come
dichiarazione d’amore.

Donna, perché
piangi?
Quando nel vangelo non è
riportato il nome proprio, sono io quello che la Parola convoca, è il nome mio
quello da scrivere al posto di “donna”, il nome dell’umanità.

Umanità,
perché?
Eccolo il Dio che prova
dolore per il dolore dell’uomo, del mondo che è un immenso pianto, che è tutto
una collina di croci.

E che si innesta sul mondo, come in botanica, come in
agricoltura, dove ogni innesto avviene per ferita, lo sa bene la sapienza
contadina. Cristo innesta la sua risurrezione nel mondo, attraverso piaghe e
ferite. E la sua e nostra vita sono ormai un fiume solo.

E’ lo stile inconfondibile di Gesù. Il Risorto
riprende a fare ciò che ha sempre fatto, l’ha fatto nell’ultima ora del
venerdì, occupandosi della paura e della speranza di un ladro giustiziato
accanto a lui (oggi sarai con me…)
lo fa nella prima ora di Pasqua, quando si occupa delle lacrime di Maria.

E trema insieme al tremante cuore della sua amica. Ma
poi innesta vita.

Gesù risorge dopo essere disceso agli inferi. E se
risorge oggi è perché oggi è sceso negli inferi della storia, nella catacombe
dei fuggiaschi, nei buchi dei dannati della terra, nei barconi che affondano.

È
disceso nelle profondità della materia e della persona, nella vittima e anche
nel carnefice, ed è qui, adesso che agisce come forza di risurrezione, come
forza di gravità celeste, come forza di attrazione verso l’alto, annuncio che i
carnefici non avranno ragione delle loro vittime in eterno.

Eppure la morte sembra
vincere. Il male del mondo mi fa dubitare, è troppo, è feroce, è pazzo: i
ragazzi del Kenia, come agnelli sgozzati a centinaia; bambini ai quali si
insegna a dare la morte con un coltello agli infedeli, mi fanno dubitare; il
martirio crescente dei cristiani sembra contestare l’esistenza stessa di un
Padre buono e provvidente;

 milioni che non hanno cibo, acqua, casa, amore; il cancro, la
corruzione, il durissimo nocciolo del cinismo e dell’apatia, mi fanno dubitare;
la terra avvelenata per denaro e che avvelena il futuro, mi fanno dubitare.

Tutto questo è certo. E tuttavia è altrettanto certo che nel mezzo
dell’oscurità comincia sempre a sbocciare qualcosa di nuovo. Dove la terra è
stata spianata, vedo spuntare un filo d’erba testardo, e poi un fiore che si
impunta a fiorire, ostinato, e poi un prato dal verde irremovibile.

 Vedo
mucchi di macerie, eppure sulle macerie torna ad apparire un germoglio di vita,
ostinata e invincibile.

Vedo che la bellezza rinasce ogni giorno nel mondo.

E questo perché? Perché il Risorto è all’opera, in
alto silenzio e con piccole cose.
Ogni
credente nella risurrezione ha la sicurezza che

“non
va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore.

Non
va perduta nessuna delle sue sincere preoccupazioni per gli altri. Non va
perduto nessun atto d’amore,

non
va perduta nessuna generosa fatica,

non
va perduta nessuna dolorosa pazienza.

Tutto
ciò circola attraverso il mondo, circola come una forza di vita”(Ev Ga 278).

Questa
è la linfa profonda che scorre nelle arterie del mondo, Dio si è innestato per
ferita, e sospinge in avanti una corrente di atti buoni, di parole buone, di
gesti puliti, che hanno sorgente e forza da Lui.

Un
autentico tesoro nascosto nel vaso di creta e di fango del mondo (2 Cor 4,7).

Il
mondo combatte per fiorire. Sono fioriti i ciliegi in questi giorni:

 “è Dio che in essi fiorisce / si espande, dilaga / e poi
torna a fiorire”
(Turoldo). Il
Risorto combatte per far fiorire il mondo; ad ogni mattino combatte per
svegliarci dal sonno del cuore.

E potranno
tagliare tutti i germogli, potranno recidere tutti i fiori ma non potranno
impedire alla primavera di ritornare. Io
lo credo.

La Pasqua non si lascia
sgomentare. Io lo credo.

La Risurrezione del Signore
non si lascia sconfiggere, non si ritira, ha già penetrato la trama nascosta di
questa storia. Io lo credo

Lo credo e sento che io sono
nato davvero il mattino di Pasqua,

sono nato quando lui si è
innestato al mio cuore.

Pasqua è il tema più arduo e
più bello di tutta la Bibbia. 

Balbettiamo, come gli evangelisti,
che per tentare di raccontarla, si fecero piccoli, non inventarono parole, ma
presero in prestito i verbi delle nostre mattine: svegliarsi e alzarsi: si svegliò e si alzò il Signore.

Ed
è così bello pensare che Pasqua, l&rrsquo;inaudito, è raccontata con i verbi semplici del
mattino, di ognuno dei nostri mattini, quando anche noi ci svegliamo e ci
alziamo. Nella nostra piccola risurrezione quotidiana.

Quel giorno, raccontato con i verbi di ogni giorno.

Pasqua
è qui, adesso. Ogni giorno, quel giorno.

Perché
la forza della
Risurrezione non riposerà
finché non abbia raggiunto l’ultimo ramo della creazione, e non abbia
rovesciato la tomba dell’ultima creatura (H. U.V. Balthasar).

Allora
questo è l’annuncio di Pasqua:
Rimane, continua, è più forte la potenza
dell’amore. Anche se non ho niente, mani inchiodate dal dolore,

rimane la potenza dell’amore. In un luogo che non
conosco, sorgente delle mie sorgenti, cielo del mio cielo, terra profonda delle
mie radici,

rimane la potenza dell’amore!”

Rimane Cristo vivo e questo mi fa dolce e fortissima compagnia:

io
appartengo a un Dio vivo.


Ermes Ronchi

La corsa al sepolcro e la voce dell’angelo: «Non è qui»
  Domenica di Pasqua
Risurrezione del Signore – Anno B

Il primo giorno della settimana, Maria di Màgdala si recò al sepolcro di mattino, quando era ancora buio, e vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». Pietro allora uscì insieme all’altro discepolo e si recarono al sepolcro. Correvano insieme tutti e due, ma l’altro discepolo corse più veloce di Pietro e giunse per primo al sepolcro. Si chinò, vide i teli posati là, ma non entrò. Giunse intanto anche Simon Pietro, che lo seguiva, ed entrò nel sepolcro e osservò i teli posati là, e il sudario – che era stato sul suo capo – non posato là con i teli, ma avvolto in un luogo a parte. Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette (…).

Una tomba, una casa, il primo sole, e la corsa di donne e uomini come una spola lucente a tessere vita. Per prima è Maria di Magdala ad uscire di casa quando è ancora notte, buio nel cielo e buio nel cuore. Non ha niente tra le mani, solo il suo amore che si ribella alla morte di Gesù: «amare è dire: tu non morirai!» (G. Marcel). Il suo amore, che intona un nuovo Cantico dei Cantici in quell’alba: «Mi alzerò…farò il giro delle strade: “avete visto l’amore dell’anima mia?”» (Cantico 3,1-3). E poi il giardino, la corsa e le lacrime, il nome pronunciato come solo chi ti ama sa fare.
Quell’uomo amato, che sapeva di cielo, che aveva spalancato per lei orizzonti infiniti, è ora chiuso in un buco nella roccia. Tutto finito. Ma allora perché si reca al sepolcro? «Perché si avvicinò alla tomba, pur essendo una donna, mentre ebbero paura gli uomini? Perché lei gli apparteneva e il suo cuore era presso di lui. Dove era lui, era anche il cuore di lei. Perciò non aveva paura» (Meister Eckhart).
E vide che la pietra era stata tolta dal sepolcro. Il sepolcro è spalancato, aperto come il guscio di un seme, vuoto e risplendente, nel fresco dell’alba. E nel giardino è primavera.
Maria di Magdala corse allora e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo.
Anche su di loro era rotolato un masso che li stava schiacciando. Il dolore a unghiate graffiava il cuore. Ma loro erano rimasti insieme, ecco la forza, il gruppo non si era dissolto: qualcosa, molto di Gesù perdurava tra loro come collante delle vite. Insieme è molto di più della somma dei singoli: tu sei argine alle mie paure e riserva d’olio per la mia lampada, io sarò soffio di vento nelle tue vele e impulso per andare: uscirono allora, e correvano insieme tutti e due…
Arrivano e vedono: manca un corpo alla contabilità della morte, manca un ucciso ai registri della violenza: il loro bilancio è in perdita.
«Non è qui» dice un angelo alle donne. Che bella questa parola: «non è qui». Lui è, ma non qui. Lui è, ma va cercato fuori, altrove, è in giro per le strade, è il vivente, è un Dio da sorprendere nella vita. È dovunque, eccetto che fra le cose morte. Matura come un germoglio di luce nella notte, come un seme di fuoco nella storia.
Vi precede in Galilea (Mt 28,7): è il primo della lunga carovana, cammina davanti, ad aprire la nostra immensa migrazione verso la vita. Davanti, a ricevere in faccia il vento, l’ingiuria, la morte, il sole, senza arretrare di un passo mai.
E coloro che, come lui, non accettano che il mondo si perpetui così com’è, coloro che vogliono cieli nuovi e nuova terra, sanno che chi vive una vita come la sua ha in dono già la sua stessa vita indistruttibile.
 
(Letture: Atti 10,34a.37-43; Salmo 117; Colossesi 3,1-4; Giovanni 20,1-9).
 
 ERMES RONCHI
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