VII dopo il Martirio  Matteo 13, 3-23

Il Signore, Vita
che risveglia ogni vita, sia sempre con voi.

Benvenuti alla Messa della Comunità. Insieme presenti
alla Presenza, aperti come una zolla di terra. Lui è il seminatore che esce a
seminare. E noi siamo questo pugno di terra, ora sterile ora feconda, ma sempre
sollecitata, risvegliata, toccata da semi di vita. Prepariamoci ad accoglierli,
cominciando con un momento di silenzio, in cui dire grazie: grazie per la vita,
per chi mi vuol bene, per tutto ciò che ho ricevuto da Dio e dagli altri…

Chiediamo aiuto ora e perdono
per tutte le sterilità, per le risposte non date, l’amore non vissuto, il
vangelo non accolto.

                   Signore, il tuo
grano è forte, più forte dei miei no. Per tutta la fecondità mancata, sommersa
da sassi e spine, durezze e aggressività, Kyrie

                   Signore, per quando
la mia vita corre il rischio di essere inutile e sterile, e presuntuosa io ti
chiedo perdono, Kyrie

                   Signore, non sono
terreno buono, ma tu non stancarti di seminare ancora. Per la tua parola non
accolta, Kyrie

 

Egli parlò loro di molte cose con
parabole.
Magia delle parabole: un
linguaggio che contiene di più di quel che dice.  Un racconto minimo, che funziona come una accensione: lo
leggi e accende idee, immagini, emozioni.

Parola
che avvia un viaggio, come suggerisce il pulpito che Gesù ha scelto: una barca,
fatta per partire e ripartire, per andare là dove non pensavi. La parabola è
così, ti aiuta a sconfinare in spazi nuovi e nuovi mari, non rinchiude Dio
dentro definizioni, ti fa capire che Lui è oltre.

Gesù
amava la vita, i campi di grano, le distese di spighe, di papaveri, di
fiordalisi, di margherite, di viti, osservava la vita e nascevano parabole. E
oggi osserva un seminatore, e nel suo gesto intuisce qualcosa di Dio. Il seminatore uscì a seminare: la
parabola non perde tempo in preamboli o analisi. Racconta semplicemente un
fatto. La fede non è una teoria, è una forza vitale, una scienza pratica, che
cambia la vita.

Ed
ecco che subito l’immagine d’un tempo antico ci riempie gli occhi della mente:
un uomo con una sacca al collo che percorre un campo arato, a passi lenti e
misurati, compiendo un gesto largo della mano, un gesto sapiente e solenne.

Ma
il quadro collima solo fin qui: il seminatore della parabola sfugge dalla
cornice abituale, perché è eccessivo, esagerato. Con il suo gesto scavalca il
buon terreno preparato per la semina e lancia manciate generose sulla strada e
sui rovi, sull’asfalto e sui cortili chiusi.

La
forza e la novità della parabola non stanno nella rassegna dei diversi tipi di
terreno, con i loro problemi di fertilità diseguale: li conosciamo bene, sono
la descrizione delle nostre ambiguità: sono io che coltivo spine e rovi nelle
mie relazioni; io che ho – quante volte! – un cuore di sasso, che conosco bene la
globalizzazione dell’indifferenza…

Chi è
questo illogico seminatore? Uno un po’ sbadato? No, èegrave;
uno che spera anche nei sassi; è un prodigo
inguaribile, imprudente e fiducioso, un sognatore che vede vita e futuro
ovunque, anche in me. Uno convinto che persino la sterpaglia si possa
trasformare in giardino. Nonostante tutto.

Il seminatore uscì a seminare, non un seminatore
qualsiasi, ma il Seminatore per
eccellenza, Colui che con il seminare si identifica, perché non fa altro che
questo: dare vita, fecondare. Seminatore:
uno dei più belli nomi di Dio. La sua gioia non è raccogliere, ma seminare; la
sua gloria non è mietere ma lanciare semi di vita in ogni stagione. Come una
perenne primavera del cosmo.

È
importante, per la fede, che spostiamo lo sguardo da noi a Dio: per quanto io
sia arido, sterile, spento, Dio continua a seminare in me, senza sosta. Contro
tutti i rovi e le spine, contro tutti i sassi e i predatori, lui vede in
ciascuno una terra capace di accogliere e di fiorire.

Ma
i problemi ci sono, e sono drammatici per la semente: Vennero gli uccelli e la mangiarono; …quando spuntò il sole fu
bruciata e seccò; …i rovi crebbero e la soffocarono. Chi semina conosce
l’insuccesso: se il seme è buono, germina; ma per quanto sia buono, se non
trova acqua, luce e protezione, la giovane vita che ne nasce morirà presto. Il
Seminatore getta il seme ma è il terreno che permette alla pianticella di
crescere. Allora io voglio farmi terra buona, terra madre, culla accogliente per il piccolo germoglio.

Fare
come fa una madre, che sa quanto tenacemente desideroso di vivere sia il seme
che porta in grembo ma anche quanto fragile e vulnerabile e bisognoso di cure,
dipendente quasi in tutto da lei.

Essere
madri della parola di Dio. Essere madri di ogni parola d’amore nel mondo. Accoglierle
dentro sé con tenerezza, custodirle e difenderle con energia, allevarle con
sapienza.

Un’altra
parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta
per uno. Chi ha orecchi, ascolti.
Una
pioggia continua di semi di Dio cade tutti i giorni sopra di noi. Semi di
Vangelo riempiono l’aria e volano leggeri. Si staccano dalle pagine della
Scrittura ma anche dalle parole degli uomini e dalle loro azioni, e da ogni
incontro vero.

Il mio Dio contadino, sa che per tre volte, come dice
la parabola, per infinite volte, come dice la mia esperienza, non rispondo, ma
poi accade che una volta almeno rispondo, e allora è il trenta, il sessanta, il
cento per uno. Ognuno di noi è un pugno di terra, ma ognuno è anche un
seminatore che cammina nel mondo gettando semi, spesso senza accorgersene. Ogni
parola, gesto che si stacca da me, se ne va per il mondo e  produrrà qualcosa. Che cosa vorrei
produrre? Tristezza o germogli di sorrisi? Paura, scoraggiamento o forza di
vivere?

  Il cristiano è uno ben
consapevole che la sua vita darà frutto, ma senza pretendere di sapere come, né
dove, né quando.  Ha la sicurezza
che non va perduta nessuna delle sue opere svolte con amore, non va perduta
nessuna delle sue sincere preoccupazioni per gli altri, “non va perduto nessun atto d’amore per Dio, non va perduta nessuna
generosa fatica, nessuna dolorosa pazienza. Tutto ciò circola attraverso il mondo come una forza di vita”.
(Evangelii Gaudium 278-279).

Mi
piace tanto questo Gesù che racconta in parabole. La parabola fa parlare la
vita. La vita è più grande dei nostri occhi: le piccole cose non sono vuote,
c’è qualcosa di Dio in loro. Anzi: ogni cosa è illuminata…

E se noi avessimo occhi per
guardare la vita, le piccole cose, il seme, la spiga, il fiore, il movimento
del cielo, il lavoro degli uomini e i loro amori, se avessimo la profondità
degli occhi di Gesù, allora anche noi in questa vita comporremmo parabole,
parleremmo di Dio con parabole e poesia, proprio come faceva Gesù.

 

Nel tempo del mio pessimismo,

 alla fine
di ogni giorno

frugavo la coscienza piena di peccati,

adesso faccio diversamente

osservo nel mio cuore tutto ciò che ho ricevuto dagli
altri,

la gente che mi ha fatto del bene,

chi mi ha dato un piccolo aiuto,

una gentilezza gratuita, un sorriso immeritato.

E per tutti loro canto le lodi della sera,

 le mie
litanie di ringraziamento.

E dopo aver fatto i conti e messo le mie cose in
ordine,

mi ci addormento sopra dolcemente,

 riunendo
nelle mani quasi vuote

la bontà di Dio e la grazia dell’uomo(Marie Noel).


p.Ermes Ronchi