Un mio amico, Maurizio Basso di Udine, possiede solo il titolo di terza media, ed è sempre stato consapevole delle sue lacune. Purtroppo il lavoro di edicolante, importante per il proprio sostentamento, non gli ha consentito un ciclo di studi superiore regolare.
Eppure Maurizio è culturalmente molto desto da quando si è messo a fare l’audidatta. Legge di tutto: filosofia, letteratura, spiritualità, teologia ecc. Ascolta spesso musica classica, scrive poesie ed ha persino pubblicato un libro autobiografico: “In intimità con il padre” presentato e commentato in modo entusiasta dallo stesso critico udinese Mario Turello.
Maurizio Basso è realmente un fenomeno. Come amico ho seguito la sua evoluzione letteraria e non avrei mai pensato di poter un giorno leggere un suo scritto strutturato in modo così particolare e geniale. La sua biblioteca abbonda dei più famosi romanzi e di innumerevoli saggi.
Maurizio, ne sono testimone come amico, legge di tutto accuratamente, sottolineando e ponendo appunti in ogni pagina. Filosofia, storia, antropologia, sociologia… è davvero interessato a tutto lo scibile umano.
I risultati ci sono, eccome! Il suo libro ne è la testimonianza più diretta che non può essere catalogato secondo schemi comuni. E’ una fluida narrazione di se stesso, un viaggio interiore alla scoperta di reconditi segreti sedimentati da lungo tempo in un inconscio ricco di sorprese e di elementi simbolici.
E’ sorprendente come Maurizio riesca a descrivere mirabilmente particolari all’apparenza insignificanti, ma determinanti per la sua intera vita. Scaturiscono osservazioni a volte stuporose, altre gravide di amarezza.
Un microcosmo che in qualche modo è il condensato dell’intera umanità con i suoi interrogativi esistenziali, le sue paure, ma anche il senso della meraviglia e dello stupore emergente dal coinvolgente ritmo poetico di molti momenti estatici.
Maurizio ci insegna che la vera cultura non è questione di possedere diplomi o lauree o altri titoli accademici. Consiste nell’umile ricerca della Verità ed è costellata più di domande ben poste che risposte esaurienti. Ci sono persone le quali, una volta raggiunta la laurea, non si aggiornano più perché
pensano di vivere di rendita e così vegetano senza alcun interesse culturale, tronfi dei propri titoli accademici…
Per Maurizio, invece, la cultura non finisce mai, anzi per lui è una continua riscoperta della ricchezza interiore.
ALTRE OPERE NOTEVOLI DI MAURIZIO BASSO:
QUADERNO INTIMO
appunti e riflessioni dell scrittore udinese Maurizio Basso:
http://mondocrea.it/quaderno-intimo/
PROFESSIONE UOMO (POESIE DI MAURIZIO BASSO)
http://mondocrea.it/itstories-101/
CON GLI OCCHI DELLA SOLITUDINE (Poesie di Maurizio Basso)
http://mondocrea.it/itstories-251/
IL SENTIERO SEGRETO
Sogno
Nego al tempo
il volto che la morte
compose nell’ultimo addio
e in sì vivida sembianza
io ti rivengo
nella stretta
del mio pianto.
Nel tuo sorriso
si ripiega l’assurdo
che mi morde
il pensiero
nell’impossibile chiaror
di una risposta.
Nel mio incredulo, un fiore
all’altrui sguardo rubato
mi porgi con grave
gesto solenne.
Ma poi, come da nebbia
rapita, ti dissolvi
al mio sguardo.
SMARRIMENTO
Correva il tempo in cui la giovinezza, chiudendo il suo cancello alle mie spalle, non parve dover dare spazio ancora ai sospiri acerbi di quelle illusioni e mostrando ormai verso loro la sua indifferenza, dopo che fu trascurato l’attimo da vivere nell’intensità del suo calore.
Quell’attimo fuggevole or s’annegava nel rimpianto di quella stagione inebriante di promesse.
Il delirio prese allor possesso di quella primavera non vissuta; quasi sì che la morte, davanti a me, tentasse la sua mossa nei miei pensieri, lungo il sentiero oscuro del mio cammino.
Qualcuno, però, s’accinse a combatterla inviando un messaggero alla mia porta sulle ali di una pietà che egli provava per me in quel momento di grande sconforto.
Un sogno volò su questo sonno; ma che fosse tale, non lo saprei davvero dire.
Ecco apparirmi una giovane donna, ferma nel suo grave portamento. Era bellissima sì che a descriverla diventava una cosa ardua.
“ Non certo per me questa è venuta”, pensai “ Eppoi… Che mai avrei a che fare con lei?”
L’insignificanza della mia persona non mi permetteva l’ardimento di posare gli occhi su di lei.
A torto, però, del mio pensiero, mi fissò intensamente sicché crebbe forte, allora, quel turbamento; le gambe sembrarono non obbedire a nessun comando per fuggire altrove.
Non potendo fare altro, mi rifugiai facendomi piccolo in me stesso.
Ella però non demordeva dall’intento che io non conoscevo, sì che aumentò la confusione nella mente.
Questa confusione crebbe ancora più quando, nel rivolgermi la parola, mi chiese di sposarla.
“ Uno scherzo…”, pensai nel mio silenzio; ma in quello sguardo vi lessi la fermezza del suo intento e ne rimasi prigioniero.
Quegli occhi sembravano indagare su quei pensieri, quasi che nulla dovesse rimaner a lei nascosto.
Tosto, allora, una gelosia profonda venne a prendere posto come se l’anima nuda fosse stata scoperta e altre paure cominciarono a prendere posto.
Queste, mi guidarono per sentieri senza sbocco, dove la mia intimità ne rimaneva impigliata, quanto i rovi nel bosco.
Mi guardò ancora, indovinando quelle mie nuove paure: “ Le ferite del cuore sembrano non dar tregua in te “, disse “ La sensibilità che t’avvolge è troppo forte per dissolvere quel passato così travagliato di sentimenti “.
Tacque per un lungo momento; poi riprese: “ Or ti sei scelta come compagna la solitudine lungo la tua strada, inondandola di malinconia quand’ella invece può avere disposizioni più nobili atte a creare dimensioni più alte nel tuo animo “.
Sul momento non risposi a quelle parole; ma poi non potei fare a meno di replicare a ciò che aveva detto: “ Sì, è vero, la solitudine m’è compagna di vita poiché mai potrà tradire ciò che in me
alberga “.
“ Troppo veleno c’è in te, per trovare pace… Quale antidoto potrà mai vincerlo? Per questo, da te sono venuta e se di sposarmi or ora ti ho chiesto, né la paura o la gelosia abbia a prendere dimora in te, che ben altro si cela nella mia richiesta “.
Alla fine, tacque ancora; in quel lungo silenzio però lo smarrimento non m’abbandonava ancora:
“ Ma dunque, chi sei? “, chiesi con gran timore, quand’ecco mi ripresi.
Rispose: “ Io sono colei preposta a cantare in desiderio di chi vuole muovere e far ragionare il cuore e la mente per diversa via, per chi ha smarrito in sé la strada. Vengo in soccorso di colui che ha smarrito il suo stupore e, per tale, ricerco nell’uomo il re che mi sposi e re è proprio quel fanciullo che gran parte di voi ha mandato in esilio. La parola è lo strumento con cui io risveglio la grammatica dei sensi, illuminando ciò che l’uomo ha in sé, spento. Ora che sei a conoscenza del mio chiedere, t’invito, se vuoi, a toglierti quei calzari che rendono pesante il passo, cancellando l’orma leggera della mente; se poi ti è gradita la mia presenza, vorrei riprendere con te il cammino che tosto hai interrotto, non avvertendo alcuno vicino a te”.
Ancora confuso, rivolsi allora la memoria a quel cancello che il tempo aveva ormai chiuso alle spalle e subito una figura, nascosta, sbucò dall’ombra.
Era la persona, mutila di una gamba, che il fanciullo vide solo di schiena andare avanti in piena solitudine.
Mal s’accompagnava ancora a quelle stampelle, sì che ogni equilibrio era precario. Lo vidi in volto e un’amara meraviglia mi colse, quand’ecco m’avvidi chi fosse, e un pianto, da dentro, mi morse.
“ Sì, quell’uomo “, mi disse allora “ sei proprio tu”.
La meraviglia, che si frammischiava alle lacrime, era ancora tanta e le sue parole altro non erano se non un brusio: “ Mal t’accompagni nel tuo cammino, tanto che, ragione e cuore son impediti nel sostenerti “.
Duro, e alquanto lungo, fu quel momento di sorpresa, tanto che pur lei, che ignoravo, fece silenzio.
Poi che mi fui ripreso tosto, continuò con tono affabile: “ Lo so, l’immagine che tu vedi, il fanciullo l’ha serbata sin dalla notte che si bagnò d’altre lacrime. Furono, queste, più amare di quanto ancora il tuo cuore non creda; ma se tu da un simile fremito sei ancora scosso, sappi che il fanciullo in te non è morto, come tu credi, ed è mio desiderio, attraverso lui, condurti laddove ragione e cuore possano ricongiungersi in virtù di quella pace che tu brami; tal pace, però, sappi, non è senza lotta. Fa uscire, dunque, da te quel tormento che la impedisce, agitando la tua mente e impedendo al tuo spirito la luce. Tu, ancor poni il lamento della tua primavera, ma il tempo ne ha oscurato la scena ormai; ormai è lontana e dal passato nulla più torna. Dunque, nella tua solitudine ancor ti nutri di questo tuo tormento? Fai male, poiché questa è una prigione per chi la vuol sentire tale. Pur abbracciandola, a voler tuo, disprezzasti la fortuna che regalava; ma ricordati che non sei solo tu a dover viverla. Ricordati che ciascuno, in sé, vive la sua solitudine ricavando da lei pure quel sostegno dolce alla memoria “.
Le sue parole mi fecero arrossire.
Avrei voluto replicare:” Quale fortuna posso aver io ricavato da lei? “, ma tacqui.
Mal avevo speso i frutti della fortuna che la solitudine m’aveva offerto, guardando la fortuna altrui, all’altrui consenso dato.
Non dando peso a quel silenzio, dove i pensieri s’aggiravano e che pur intuiva, continuò: “ Non la solitudine o la fortuna ti sono state nemiche, ma tu nemico a te stesso sei stato. Già, perché, della fortuna l’uomo è sempre pronto a lamentarsi, e serva ad ogni suo capriccio la vuole. Lei però ti ha colto in altro modo e voglio dirti come in questo tuo cammino ti abbia sorriso; a guidare la tua mente, e non solo, si pose. Prima di te, ben altri ebbero a chiedere ragione di lei; a quali scogli, infatti, va ad urtare l’uomo, annaspando poi per causa propria quando questa se ne vola altrove? Stolto, e non altro, si dimostra non guardando quanto, sia corrotto dal vizio”.
Poi, volgendo lo sguardo nella stanza illuminata fiocamente, s’avvide come io avessi gravato la solitudine di un’immensa brama di conoscere: “ Che son questi? “, soggiunse poiché vide sul tavolo quell’ammucchiare di libri.
“ Come… Non vedi? Sono libri! “, replicai.
“ Sì, vedo che sono libri e il sapere è in funzione di ciò che ognuno chiede; ma tu che chiedi mai a te stesso? Ad ammucchiar libri sopra un tavolo, non dà pace all’animo poichè, in tal modo, ognuno insegue l’altro… Che vale a leggere tanto e male, se poi quello che hai letto s’addormenta nella mente? Ogni sapere sfugge ad ogni umana conclusione ed è gia vecchio tutto quello che oggi l’uomo scopre; oggi altro non fa, se non metter mano a quello che allora fu scoperto e mai saldi sono i suoi sentieri che, ai tanti sforzi della mente, non concedono tregua e di quest’accumulo di sapere alla morte, quando giunge, assai poco importa”.
In questo fiume di parole, io fui preso come colui che cerca aiuto al suo annaspare convulso, trovando forse una illusoria salvezza alla sua disperazione.
“ Io t’ invito, se tu vuoi, a fuggire quest’errore; fuggi, dunque, che a ben altre disposizioni, desidero condurne il tuo animo, in piena libertà e leggerezza di pensiero… Esci da questo imbroglio! Fuggi pur da un simile formicaio qual è la città con il suo lucro ”.
“ Come, e dove fuggire? ”, azzardai dirle; ma lei non rispose ed io, per sfuggire all’imbarazzo del suo sguardo mi volsi verso la finestra.
Lì, sui sentieri della notte, i pensieri andavano a posare la loro orma, inseguendo con incredibile leggerezza dell’animo, lo sfavillio delle costellazioni.
“ Ascolta la notte “, m’esortò la donna “ Veglia e ascolta la sua voce, perché la notte è ben più viva di quello che tu credi! Ancor ti esorto… Fuggi da ciò che impedisce la tua serenità “, detto questo, non la udii più… Se n’era volata via? Tutto, dunque, era stata una lunga suggestione?
Mi sorprese un tuffo al cuore e sentii l’animo come da tempo non lo sentivo, e le sue parole nella mente s’aggirarono, quasi a fugare lo smarrimento.
Contemplai, fra quelle stelle, l’immenso mistero che mi sovrastava e, scoprendomi mistero a me stesso, mi lasciai sommergere da quello scorrere di fibrillazioni di istanti.
Un tutto e un nulla; fu questo il brivido che d’improvviso m’avvolse e il cielo stesso mi rapiva attraverso le sue ramificazioni, dove nel soffio di quel vento siderale, ogni stella, con la propria brillantezza, pareva raccontare la sua storia, la storia di una creazione che palpitava, che respirava, che viveva.
Oh, qual pianto segreto dell’anima m’ afferrò allora!
Era un pianto che giù giù scendeva a sommergere con le sue lacrime ogni punto arido in cui si rifugiava ogni sentimento incredulo; e come avrei potuto abbandonarmi all’indifferenza verso quello spettacolo?
Ed ecco scoprirmi come un viandante che era fuoriuscito dal nulla; un viandante che un giorno si era trovato in cammino.
Quanto avevo camminato? Quando e quanto i miei passi divennero pesanti? Quante volte questa stanchezza fu fasciata dalla luce del tramonto? Cosa potevo essere io stesso se non un punto tra infiniti punti attraversato da quel brivido?
Osservavo la notte vestita d’innocenza, mentre l’onda dei miei pensieri si riversava sul ricordo appena lasciato alle spalle di quell’ultimo tramonto; ma ecco che un pensiero attraversò fulmineo quell’incanto, quasi sorpreso: “ E’ davvero innocente la notte? “, mi chiedevo “ Certo, il sonno, che lei riversa, sembra renderla tale “, mi risposi poi, “ Esso toglie le armi e seduce ogni essere, regalando ad ognuno il suo mondo per mezzo del sogno; eppure la sovranità del silenzio fa della notte la regina delle inquietudini, a chi non vuol cedere a lei le sue armi. In lei si radunano le disposizioni che ogni animo può sentire e un brivido sembra percorrerla a squarciare quell’innocenza; nel sonno, ecco la vita e la morte vivere l’inganno nella loro sospensione. L’inganno, proprio qui, sembra vigilare attraverso l’innocenza del sonno; e nel sogno, ecco manifestarsi la malattia “.
In quell’irreale silenzio osservavo i palazzi attorno, immersi nella semioscurità delle luci artificiali che sembravano gettare su di essi una sensazione di sicurezza, forse illusoria ma pur sempre necessaria.
Lì, le finestre chiuse parevano comunicarsi, l’una all’altra, le sensazioni che custodivano; lì, in un sussurro, parevano rendere le cose senza veli, mentre ancora un brivido attraversò ancora i miei pensieri: “ Sì… “ mi dicevo “ Siamo qui, stretti come in un alveare; un brulichio di storie segrete che ronzano attorno ad un comune luogo, dove familiarità ed estraneità si fondono. Interrogativi, angosce, dolori, gioie, tutto lì, in quella sospensione…”.
Mi strinsi in me con quel mio pensiero, forse per il timore che mi stava assalendo. Oh, quanto piccolo mi sentii, allora, avvolto da quel mistero! Sentivo, in questo, il pungolo dell’esistenza; sì, la vita e la sua spina vennero a prendere coscienza in me di quel travaglio.
Fui sommerso pian piano dalla sonnolenza sì che mi ridistesi sul letto.
Quando mi risvegliai, quella donna ancora continuava a persistere fra i miei pensieri come se fosse frutto di una realtà
Quelle parole stesse, sembravano calate in una realtà; vivevano una realtà.
Ero talmente imbrigliato in quella ragnatela che non sapevo darmene ragione: “ Fuggi… “, mi aveva consigliato.
Ed ecco che quella parola ancora rintronava nella mente; ma da chi, da cosa sarei dovuto fuggire?
“ Se ti è gradita la mia presenza… “, aveva poi soggiunto; però, ormai la sua presenza si era dissolta e non potevo più udirne la voce.
Mi guardai attorno nella camera, mentre alla finestra s’affacciava la luce dell’alba.
Il velo della notte pian piano si stava alzando lasciando scendere, come rugiada, quelle parole fra i solchi dell’anima.
Da lì a poco sarebbe seguita l’irrompere dell’aurora.
Se quelle parole furono simili alla rugiada, lo scoprii gettando lo sguardo sulla scrivania, quando mi alzai.
“ Che sono questi? “, aveva chiesto vedendo quell’ammucchiar di libri.
Solo in quel momento mi resi conto della mia follia che mi aveva sostenuto nella pretestuosa vanità di immergermi nello scibile della conoscenza… La mia mente abbracciava tutto, per non stringere nulla.
Ma ecco che: “ … Io ti invito a fuggire questo errore “, aveva detto e m’accorsi quanto lei mi stava rimproverando attraverso il fanciullo.
Sì, al fanciullo ella aveva delegato il suo compito.
… …
FRA LE OMBRE DEL PASSATO
La donna del sogno, congedandosi, mi indirizzava dunque, a lui; ma ecco chiedermi se quel fanciullo fosse veramente come la memoria lo ricordi oggi.
L’abisso del tempo sembra confonderne le tracce e la distanza viene qui a rimescolare proprio quei ricordi.
Come io lo veda adesso, mi sta procurando una sensazione tale che non so spiegarmi, mentre un miscuglio di sentimenti viene a risuscitarlo.
Già, a risuscitarlo! Quella donna aveva detto “ Non è morto… “, ma era forse vero quello che diceva? O forse c’era dell’ambiguità in ciò?
“Il passato… “ diceva un filosofo,” lo si ricorda poeticamente, poiché nulla abbiamo da temere da esso, tutto è confinato nell’ombra “.
“ No, quel fanciullo non esiste più! “, mi convinco “ Forse lei si sbagliava; quello che percepisco oggi è solo l’eco di un tempo che ormai si è eclissato “.
Ma a dispetto di questo pensiero, avverto che le sue impronte sono impresse dentro di me, e un mesto sorriso mi sorprende.
Al chiudersi del cancello della fanciullezza, non mi ero curato di lui poiché il mio sguardo era diretto a quel futuro dove la mia immaginazione poteva nutrirsi d’altro; nella fretta di affrontare la nuova avventura, lo avevo relegato in quel suo cantuccio di mondo… Almeno così credevo.
Mentre pensavo a questo, ecco che lo stesso pensiero mi addenta la mente quasi a volermi giustificare: “ Non è forse che ciascuno di noi abbia rinnegato quel fanciullo in sé? “; ma ecco che la memoria par sentirsi aggredita proprio da quei ricordi che sembravano risucchiati dal tempo.
Mi chiedo se effettivamente ancora mi riconosco in lui e in quello che era il suo carattere, allora.
Certo è che, esaminando quello che oggi io sono, non posso non constatare che una certa veridicità lo venga a confermare, anche se delle differenze, nel bene e nel male, si sono attecchite o scivolate via nel tempo; è detto, infatti, che il carattere si forma definitivamente in quel periodo in cui si comincia ad affrontare la vita… Lì, in quel momento, viene sedimentato tutto ciò che è il bagaglio di quelle prime esperienze.
Ecco, così, formarsi la corazza dentro la quale il carattere viene ad affermare la propria personalità con la somma di tutto ciò che è venuto ad immagazzinare.
Soffermandomi ad esaminare quel primo processo di formazione, non posso non constatare quindi le continuità e le differenze; ciò che animava il fanciullo fu l’esuberanza, ma poi anche l’innocente sfacciataggine e l’invadenza mentre, evolvendomi, questi atteggiamenti si spensero nel tempo, ma non del tutto. Cosa mi rimane di lui, oggi? Forse solo l’ombra dei suoi sogni.
Ed ecco, per come mi trovo ad essere oggi, mi torno a chiedere: “ Era davvero questo il fanciullo a cui mi indirizzava la donna? “; un sorriso di amarezza mi coglie ancora, mentre un idillio risuona nella memoria.
E’, questo, l’invisibile filo che mi fa sentire legato a lui e su quelle note si illuminano le tracce del suo passaggio. ( 1 )
Quanto si adoperava, allora, per fugare la sua solitudine quando s’aggirava ( bussando di porta in porta ) in quel mondo adulto, egli era all’inseguimento di una carezza che sapesse riscaldarlo poiché il suo nido era freddo; salvo la mattinata, in cui frequentava la scuola materna, di pomeriggio, e fino a sera, si trovava in balia di se stesso mentre sentiva la necessità di quel calore.
Ma poi, su quel nido, una sera venne a cadere la bestemmia ed egli ne fu vittima; ne fu contaminato.
Quindi, ecco avvertire quel freddo che continua a perdurare in questo mio presente da quando poi quel mondo adulto mi rinfacciò, nell’adolescenza, quelle mancanze, ma: “E’ più facile confessare i peccati degli altri che non i propri “, mi trovo a dire “ Io mi trovo ad essere un altro me stesso! “, protesto.
Ma quella contaminazione continuò, purtroppo, a perseguitarmi per buona parte della mia formazione personale, e rinnegare il fanciullo era impossibile; ogni suo atto di allora si ripercuoteva esplodendo nel mio presente.
Il fanciullo, però, nonostante questo abisso , oggi sembra perdurare in me attraverso l’eco di quell’idillio, quasi addolcirsi a quell’invisibile carezza che sembra celare ben altro.
Già; le solitudini di allora e le solitudini di oggi paiono richiamarsi a confronto, quasi a confessare quella fragilità proprio attraverso quell’idillio: Si, quel fanciullo non era morto, benché tutto lo facesse credere; quella morte era data dall’ignoranza, e per questo il tentativo di rinnegarlo.
Si, devo confessare di essere figlio dell’ignoranza.
Torno a guardare meccanicamente quelle pile di libri sulla scrivania; per anni son venuto ad ammucchiarli, nell’illusione di poter annullare l’abisso di quell’ignoranza e nel contempo annullare del tutto la sua figura… Un volermi disancorare dall’una e dall’altro.
Non era però quella la forma di ignoranza che dovevo superare anche se, necessariamente, ne era auspicabile il superamento.
“ Che vale a leggere tanto e male “, aveva detto la donna “ … se poi quello che hai letto s’addormenta nella mente? “.
No, l’ignoranza di cui soffrivo era d’altro genere; e per combatterla, dovevo per forza fare appello al fanciullo in quanto depositario di un segreto che celava in sé, e a me così necessario ad apprenderlo.
Per fare questo, dovevo ritrovarlo, rintracciare le sue orme nascoste su quel sentiero per cui si era inoltrato, quando lo allontanai dalla memoria, mentre amaramente mi confessavo:
Fummo fanciulli un giorno
e non lo sapevamo,
guardavamo avanti a noi
la suadenza del tempo
e il suo inganno.
Giocammo pur via ancora,
ma con occhi sempre meno innocenti
e con l’assurdo
qual compagno di vita
che ci strinse
nel segno suo incomunicabile ( 2 )
Note
1) v. “ In intimità con il padre “
2 ) v. “ Professione uomo “ ( raccolta poetica )
……. …..
Mentre ancora mi lasciavo andare alle mie considerazioni, il mio sguardo cadde su un libro che si trovava proprio in cima ad una di quelle pile che ero andato a formare.
Lo apersi e lessi: “ Mi trovo assolutamente solo “; era l’inizio del diario di un padre spirituale.
Confesso che io fui refrattario a tenere un diario; avevo, per questo, una visione alquanto distorta poiché credetti di dover ogni giorno fare il sunto della giornata. Mentre può bastare un solo pensiero a riassumerne il senso.
Non ero, ancora in grado, di focalizzare la realtà attraverso una riflessione adeguata; era come osservare l’acqua corrente di un fiume, senza fare attenzione a quei minimi movimenti che ne increspano la superficie, quando ogni movimento ha una sua particolarità che difficilmente si ripete, pur nella sua linearità.
Rileggere quella frase, mi portò ad una realtà che io da sempre soffrivo: la solitudine; fu, in quel momento, l’incontro di due solitudini che casualmente si incontrarono, ed ecco…
Fu lungo quella strada che ti incontrai quel giorno. Fu un caso? Non è possibile accertarlo, né noi possiamo saperlo. Provvidenza e destino paion, all’istante, darsi una mano, a rendere tutt’uno un disegno impossibile ad essere decifrato. In tutto questo, solo una cosa pare a noi certa: è una via obbligata che ognuno di noi è costretto a percorrere in virtù di un progetto che però sfugge a qualsiasi interpretazione.
Per contro, quella stessa strada pare assumere una fisionomia incerta e difficile da praticare, sicché a volte il percorso si riduce in inerpicati sentieri dove a dura prova vengono sottoposti volontà e forza.
Ed ecco allora voler desistere dall’impresa perché la nostra debolezza pare fornirci scorciatoie in cui trovare l’illusione di dimezzare l’affanno.
Ti scorsi da lontano, ma proprio questa debolezza sembrava negare a me la capacità di accelerare l’andatura. Quel giorno, in realtà, non ero solo.
Con me c’era un compagno di ventura che ebbi modo di conoscere durante il tragitto. Un prezioso alleato, indubbiamente, con il quale era scattata quella tacita solidarietà che un viandante spera di trovare per sentire meno il peso dei momenti critici. E come potrebbe essere diverso? Siamo talmente soli che il forestiero, sulla nostra strada, ci diventa tanto familiare quando ne scopriamo l’affinità di intenti.
Già da tempo ti eri incamminato lungo quella via, solitario. Unica compagnia ti erano i pensieri, or con la loro gravità or con la loro leggerezza, come se l’uomo e il fanciullo in te si dessero il cambio.
E quello che l’uno e l’altro in te dicessero non era dato a nessuno sapere. Quel tuo fanciullo forse veniva rammentando gli echi di un’alba ormai lontana, mentre tu sentivi approssimarsi gli effetti di un tramonto; una primavera piena di speranze e un autunno gravido di pene avevano reso il tuo cuore di dolceamari sentimenti. Procedevi stanco, ma, come detto, non fu comunque facile per me raggiungerti, anzi. Non sembrava bastare, infatti, la gagliardia della mia età e l’incitamento del compagno di fare fronte alle avversità. Se ti raggiunsi, fu grazie a lui il quale, per non perderti di vista, mi espresse ad un certo punto il desiderio di volermi precedere.
Non avevo nessun diritto di trattenerlo anche se la paura di ritrovarmi da solo mi induceva a porgli ostacoli: “ Vai “, gli risposi di rimando.
Lasciarlo libero, alla fine, produsse l’effetto del desiderio e potei fare in tua compagnia un pezzo di quella strada. Egli, mediando la tua alla mia fatica, mi permise di raggiungerti. Quando però ti fui vicino, un forte imbarazzo parve voler dissipare il coraggio che fino a quel momento mi aveva sostenuto.
La timidezza avrebbe optato per altre soluzioni, ma per non sciupare una così favorevole occasione di poter dialogare con una persona nuova, mi feci forza e cominciai a parlare di me. Fui invadente e con tale invadenza ero venuto a deturpare quel silenzio che sosteneva il tuo intimo dialogo. Non so come, e di tal modo indiscreto, cominciai a darti del tu. Sì, quel tu fu un tu rubato alla tua intimità. Quando lo espressi, fu troppo tardi per rendermi conto di ciò che avevo deturpato con la mia irruenza. Purtroppo mi portavo ancora appresso il vizio di sottrarre dovunque fossi e a chiunque trovassi, un qualcosa che fosse in grado di rompere il gelo che mi impediva di scaldarmi.
Tu tacevi e ascoltavi; volevi capire chi ti stava a fianco e ne venivi valutando le parole fino a che il destino, alla fine della salita, non provvide di separaci di nuovo. Nell’accomiatarti, però, mi consegnasti la tua risposta, passandomi il testimone della tua solitudine. ( 3 )
3) v. Quaderno intimo ( fr. 320 )
Questo testimone è davanti a me, ed è proprio questo diario. Lo ricevetti, in realtà, dalle mani di colui con cui condivisi quel tragitto e subito mi misi a scorrere quelle pagine sino a che la mia attenzione cadde su una parola: PAURA.
Leggo: “ La paura ha costruito e distrutto la mia vita “. ( 4 )
Dinnanzi a queste parole, il mio pensiero si sofferma sulle immagini della mia vita: Paura; la mia esistenza è stata condita in gran parte da questo sentimento… un sentimento inoculato dagli adulti ancor quando bambino, ero assediato da altre paure. Ma mentre quest’ultime, posso dire, si sarebbero ben presto dissolte come nuvole, ecco che quella paura inoculata comincio a stanziare in ogni situazione, devastando il mio essere e, con questo, a impedire una sua maturazione.
La paura ha condizionato per buona parte il mio modo di essere autentico, tanto che mi sono ritrovato a chiedermi quando mai fossi stato autentico nei rapporti con l’altro.
Volgo lo sguardo alle tappe che fino ad oggi mi hanno condotto qui, e mi ritrovo a constatare quanto l’ansia abbia giocato un ruolo deleterio nel mio modo di rapportarmi con la realtà.
L’ansia, mi accorgevo, veniva a spegnere la mente, mi impediva di riflettere e di conseguenza ecco generarsi la paura di sbagliare, paura di non comprendere, paura di non arrivare, paura dei rapporti con gli altri.
In tutto questo, la paura veniva a creare uno stato di fibrillazione che, con il mio modo d’essere, faceva sì di rinchiudermi nei meandri di un mondo interiore alquanto caotico.
Avvertivo di aver perso qualcosa, Avevo perso la spontaneità che il fanciullo, allora, manifestava.
4 ) Diario di un pellegrino carnico ( P. Albino M. Candido )
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