dal Messaggero Veneto del 20/10/02

La lettera di Sandro Levan sulla giustificazione della caccia mi è parsa interessante, perché si pone su un piano diverso da quello di certi cacciatori, mossi da istinto ludico, o persino da certo sadismo. Levan, pur affermando di andare a caccia, rivela di avere un istinto quasi poetico, “mistico” nei confronti degli animali da preda. Egli giunge perfino a inginocchiarsi, come già faceva suo padre, dinanzi alla preda, come se intendesse chiederle perdono prima di ucciderla. Il suo, in effetti, è un atteggiamento che si richiama, forse inconsciamente, a quello d’antiche tribù che chiedevano perdono agli animali prima di organizzare battute di caccia.

I monaci tibetani chiedono perdono per gli animali che vengono uccisi. Si pensi ai riti propiziatori che, di recente, essi hanno celebrato dopo quell’enorme strage di volatili. In verità, essi ritengono che gli animali hanno un’anima che non muore con la morte del corpo, e quelli che vengono uccisi potrebbero “vendicarsi”.

Tale considerazione ci stimola ad affrontare, seppure brevemente, il tema dell’immortalità degli animali. La Chiesa cattolica è orientata a negare l’anima degli animali, e quindi anche la loro immortalità. San Tommaso d’Aquino (del XIII secolo) ha parlato di sopravvivenza, ma ha negato che abbiano un’anima immortale, perché in loro non si riscontrerebbe nessuna brama dell’esistenza perpetua (cf. Somma contro i Gentili, Torino, lib. II, cap. 82).
Ricordo che Paolo VI era molto aperto verso una possibile presenza degli animali accanto ai loro padroni, in cielo. «Se non vi saranno anche gli animali – disse una volta – noi saremo meno felici».

Del resto, nel paradiso terrestre vi erano, ancor prima dell’uomo, anche gli animali. Pertanto non sarebbe disdicevole che vi fossero anche “nei cieli nuovi e nella terra nuova”
A mio avviso, è opportuno considerare gli animali come “fratelli minori”, e quindi smetterla di torturarli come spesso si fa. Chi non è vegetariano si nutre, per sopravvivere, di carne, ma dovrebbe sentirne un certo dispiacere, e augurarsi di potersi nutrire senza cibarsi di alcun animale.

Prof. Giampaolo Thorel
Udine
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