dal Messaggero Veneto del 25/09/02 – 07/10/02 – 12/10/02 -19/10/02

Il paese dei crocifissi

I primi cristiani – stando alla testimonianza del Nuovo Testamento – non dovevano fare alcun uso di “immagini sacre”, neppure di crocifissi, eppure si assumevano l’impegno di portare sempre e concretamente Cristo Gesù nel cuore, come possiamo leggere nel seguente brano scritto dall’apostolo Paolo: «Io sono stato crocifisso con Cristo e non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me; e quella vita che ora vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio, che mi ha amato e ha dato se stesso per me» (Lettera ai Galati 2,20).

Se crocifissi, templi, quadri, statue, reliquie e cose simili servissero veramente per formare un popolo di veri cristiani, l’Italia – ricca come nessun altro di arte e manufatti “sacri” – sarebbe da secoli un Paese-modello, spiritualmente parlando; ma la realtà, quella che possiamo toccare con mano ogni giorno, ci parla di un Paese nel quale, come in pochi altri, si bestemmia e si usa ogni genere di turpiloquio, nel quale due uomini su tre comprano le prestazioni delle prostitute e l’adulterio, la convivenza, la fornicazione e la pornografia sono la prassi, il materialismo e l’ateismo (dichiarato o di fatto) dilagano, la superstizione (spesso mascherata da “religiosità cristiana”) impera, la furbizia e la corruzione sono di casa quasi ovunque, e potremmo continuare.

Oltre a cercare di essere cristiano, sono insegnante di Storia e Filosofia e, quando tratto la nascita del cristianesimo, solitamente faccio leggere agli alunni le principali fonti dello stesso, ossia brani del Nuovo Testamento (Vangeli, Atti degli Apostoli, Lettere apostoliche, Apocalisse); una volta conosciuti direttamente tali brani, i ragazzi sono sempre concordi nell’affermare che di cristiano, nel nostro Paese e dentro ciascuno di loro, c’è molta apparenza e pochissima sostanza; eppure, tutti, da quando sono nati, sono stati circondati da crocifissi. Allora, è la mancanza di conoscenza e di pratica della Parola di Dio il vero problema!
Possiamo moltiplicare crocifissi e cose simili, ma in questo modo altro non faremo che divenire sempre più ipocriti: gente che, come scriveva ancora l’apostolo Paolo, ha «l’apparenza della pietà, ma avendone rinnegato la potenza» (2ª Lettera a Timoteo 3,5), ossia l’efficacia spirituale, la capacità trasformatrice interiore. Vorrei ricordare che, nella Bibbia, il secondo dei dieci comandamenti (generalmente omesso nei catechismi cattolici) recita così: «Non ti farai scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra» (Esodo 20:4).

L’iniziativa della Moratti ha somiglianze con quella della croce della tangenziale Ovest di Udine: la si vuol far passare per la battaglia di Dio contro gli infedeli, la battaglia della nostra civiltà contro l’incredulità o l’inciviltà (o la scomoda diversità?), ma in realtà è il portato di chi, accorgendosene o meno, si arrocca sui propri simulacri per nascondere un angosciante vuoto: la mancanza del vero significato della morte e risurrezione di Cristo, una lacuna che né immagini, né padri pii, né madonne o altro potranno mai colmare. La nostra società hanno davvero bisogno di ricominciare da Cristo, ma solo dal Cristo del Vangelo.
Valerio Marchi
Udine
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Noto con interesse che sta continuando il dibattito sui crocifissi. Un lettore ha affermato che gli italiani sono «legati a filo doppio con il simbolo del crocifisso», mentre un altro (ironicamente) ha definito l’Italia il «Paese dei crocifissi». In Italia infatti i crocifissi sono dappertutto: nei luoghi di culto, negli uffici pubblici, nelle aule delle scuole, lungo le strade, sulle tangenziali, sulle cime delle montagne, appesi al collo di tanta gente o agli specchietti retrovisori delle automobili. Ma qual è il frutto di tale legame “a filo doppio”? Quali sono i risultati dell’uso intensivo di questo simbolo? Che siamo un popolo migliore di altri che tale simbolo non ce l’hanno, oppure non lo usano con tanto zelo? Direi proprio di no e vorrei essere smentito, ma i fatti sono sotto gli occhi di tutti.

Possiamo invece affermare con certezza di far parte di un popolo di grandi bestemmiatori, questo sì, di gente che ignora il Vangelo, gente che non conosce più Dio, lo ama con le parole e lo rinnega nei fatti e crede che confinarlo in qualche rito, qualche festività (tipo il Natale e la Pasqua) e qualche simulacro da trattare come oggetto di venerazione (come appunto il crocifisso), sia sufficiente per guadagnarsi – in qualche modo – il Paradiso.

Quasi nessuno, in questo dibattito sui crocifissi, si è domandato: Dio cosa ne pensa? Perché il secondo dei Suoi comandamenti recita: «non ti farai scultura alcuna né immagine alcuna delle cose che sono lassù nei cieli o quaggiù sulla terra o nelle acque sotto la terra. Non ti prostrerai davanti a loro e non le servirai» (Esodo 20,4-5)? Perché i cristiani del I secolo non adoperavano alcun simbolo “sacro” né, tanto meno, i crocifissi?

La risposta è che il cristianesimo è una religione interiore, che ambisce a entrare nell’intimo del cuore dell’uomo, tanto da farlo cambiare, diventare una persona nuova, che migliora costantemente, modellandosi sull’esempio del Maestro: Gesù Cristo. A tal proposito Paolo apostolo così sintetizza la vita spirituale del cristiano: «come Cristo è risuscitato dai morti per la gloria del Padre, così anche noi similmente camminiamo in novità di vita» (Lettera ai Romani 6,4).

Il punto, quindi, non è se mettiamo o non mettiamo i crocifissi sulle tangenziali o nelle aule scolastiche. Mettiamoli pure, se ci teniamo, ma il vero problema rimarrà sempre e comunque, e questo problema siamo noi, sono i nostri cuori, i cuori di persone che non sono mai rinate a “novità di vita”, ma si accontentano di ostentare esternamente qualcosa che dentro non riescono più a essere: veri cristiani.

C’è solo una cosa che ci può cambiare e non è il pezzo di legno appeso alla parete, ma il messaggio di Cristo, scritto una volta per tutte nel Nuovo Testamento.
Se continuiamo a non avere il tempo di leggerlo – e quindi di praticarlo – ma ci accontentiamo di qualche frammento ricevuto qua e là nel corso della nostra vita, non basteranno tutti i crocifissi del mondo a fare di noi dei cristiani, ma se ci accostiamo con umiltà e sete di capire queste parole che sono le parole del nostro Signore, allora la nostra vita potrà davvero cambiare e saremo noi, veri simboli viventi, a portare Cristo risorto nelle scuole, in ufficio, in piazza e ovunque ce ne sia l’opportunità.

Andrea Miola
Udine
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dal Messaggero Veneto del 12/10/02
Un’identità da affermare

Prendo spunto dalla lettera del signor Valerio Marchi (del 25 settembre) per dire che, se è vero che la presenza di tanti crocifissi in un luogo non garantisce la fede incrollabile delle persone che vi si trovano, è ancora più vero che il crocifisso è segno irrinunciabile del cristianesimo e simbolo delle radici della nostra civiltà. Il crocifisso è memoria dell’amore infinito di Dio per l’uomo e del sacrificio dei tanti che hanno seguito Cristo nell’amore (basti pensare all’importanza che riveste la “collina delle croci” dei martiri, per i cristiani della Lituania). Un crocifisso, anche tascabile, è stato più che prezioso per molti uomini nella disperazione e solitudine dei Lager e dei gulag del secolo scorso, come nelle persecuzioni attuali in diversi Paesi islamici e comunisti.

Visto che spesso si citano le Scritture, proprio nel Vangelo, Cristo dice a chiare lettere che chi lo riconoscerà davanti agli uomini, Lui lo riconoscerà davanti al Padre. Infatti ci è richiesta in modo inequivocabile di testimoniare l’appartenenza a Lui pubblicamente, di fronte alla società, e il crocifisso fa memoria della sua presenza. Cristo è Dio che si è fatto concretamente uomo, che c’entra con la concretezza terrena, e dunque la fede cristiana si esprime anche concretamente, nelle realtà e con le cose di ogni giorno, non è un qualcosa sospeso per aria, solo spirituale, che non ha niente a che vedere con le cose della terra. Se cominciamo a distaccare il cristianesimo dalla realtà terrena, lo faccciamo diventare un insulso spiritualismo, estraneo all’uomo.

Ci manca solo di eliminare la Chiesa, di cancellare duemila anni di cristianesimo vissuto nel quotidiano, così Cristo diventerà solo un mito, un’astrazione, e poi tutti saranno capaci di interpretare i testi sacri a loro piacimento, così ognuno potrà fare i propri comodi! Tra l’altro il Papa stesso ha fatto un appello affinché non si tolgano i crocifissi dalle aule di scuola… e forse lui ne sa qualcosa di più di tanti di noi sulla questione! Se poi, persone estranee alla nostra civiltà, pur accolte con rispetto, pretendono con arroganza che i crocifissi vengano tolti dai luoghi pubblici, allora abbiamo un motivo in più per mantenerli, perché, se “caliamo le braghe” ora, a casa nostra, cosa faremo quando le suddette persone saranno molte di più?!

Tanto perché si sappia (e non se ne imiti l’ingiustizia ma la si denunci), in diversi Paesi islamici è reato, punito duramente, anche solo leggere libri sacri cristiani in privato (in caso di conversione di un musulmano al cristianesimo c’è la pena di morte)! Oltretutto, se io vado ospite in un Paese non cristiano, non mi posso certo offendere se vedo presenti simboli di un altro credo! A questo proposito, i nostri immigrati nelle Americhe (e i friulani ne sanno qualcosa) si sono giustamente adattati alle leggi del Paese ospitante, pur mantenendo, com’è giusto, le proprie tradizioni e non hanno avuto sempre l’accoglienza che noi diamo agli immigrati! Per noi italiani ed europei c’è materia su cui riflettere per non farci del male da soli! È indispensabile dunque accogliere i bisognosi fraternamente, ma affermare consapevolmente la nostra identità.
Gaetano Mulè
Udine
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dal Messagero Veneto del 19/10/02

Un’identità da ricostruire


Essendo stato chiamato in causa, vorrei replicare alla lettera del signor Mulè pubblicata il 12 ottobre (“Un’identità da affermare”), nella quale è stato in parte deformato quanto ho scritto nella mia del 25 settembre (“Il Paese dei crocifissi”). Egli afferma che io vorrei “eliminare la Chiesa”, “cancellare duemila anni di cristianesimo vissuto nel quotidiano” e far diventare Cristo “solo un mito”: ma da dove ha desunto tutto ciò?

Io ho auspicato piuttosto la presenza di cristiani che si assumano l’impegno di portare sempre e concretamente Gesù nel cuore, e ho contestato il fatto che nel nostro Paese si tenda ad avere, riguardo al cristianesimo, molta apparenza e pochissima sostanza; e allora, perché farmi passare per uno che propone “astrazioni”? Forse che Cristo, senza la presenza di un pezzo di legno, o di una scultura, o di un edificio, non può operare? Anzi! Il Vangelo ci insegna a vederLo e a viverLo con gli occhi della fede, per non illuderci di essere in qualche modo a posto per la quantità di simulacri che ci poniamo intorno. Inoltre, ho citato il passo biblico in cui l’apostolo Paolo ci dà l’esempio di una vita vissuta “nella fede del Figlio di Dio”, per prenderlo come modello pratico: quale cancellazione del cristianesimo e della Chiesa, allora?

Piuttosto, ho indicato la possibilità di riappropriaci del vero senso e dei veri portati della Chiesa e del cristianesimo del Nuovo Testamento, anche a costo di mettere in discussione usanze secolari che, in quanto tradizioni umane, non sono Parola di Dio. Il signor Mulè ha ricordato il passo del Vangelo di Matteo in cui Gesù dice: «Chiunque Mi riconoscerà davanti agli uomini, Io pure lo riconoscerò davanti al Padre». Ma Gesù intendeva, per “testimonianza cristiana”, quella di appendere un crocifisso? No, Egli insegnava piuttosto che i discepoli devono testimoniare di Lui con la fede, l’esempio, la vita, la divulgazione del Suo messaggio: chi fa queste cose, non ha bisogno d’altro che della Parola di Dio e del proprio coraggio. Ma il Papa è a favore dei crocifissi – argomenta il Mulè – e il Papa ne sa più “di tanti di noi sulla questione”.

Certo, anche i Papi che mandavano la gente alle crociate o sul rogo coi crocifissi in mano ne sapevano di più di noi. L’abbiamo scordato? Se i Papi hanno sbagliato in passato, non può accadere altrettanto oggi?
Ma ci sono uomini – si aggiunge – che, nella sofferenza, trovano conforto in “un crocifisso, anche tascabile”. Ebbene, ce ne sono molti altri che trovano consolazione in Dio senza crocifissi di plastica o di legno, e comunque chi si dice cristiano non dovrebbe mai imporre ad altri la presenza propria o dei propri simboli (giustificati o meno che siano). Nel Nuovo Testamento, leggiamo di cristiani che portavano il Vangelo in un mondo pagano e idolatra senza crocifissi, ma con Cristo nel cuore e sulle labbra; se ne fossimo capaci, non avremmo bisogno di stabilire per legge la presenza di statuette!

Se poi il problema è quello della presenza in Italia di “persone estranee alla nostra civiltà”, di fronte alle quali non dovremmo – come ancora scrive il Mulè – “calare le braghe”, ebbene, è pura illusione credere che l’apposizione forzata di crocifissi possa preservarci e favorire la convivenza civile di nativi e stranieri nel nostro Paese, un Paese nel quale i veri momenti in cui gli italiani si “calano le braghe” sono quelli in cui bestemmiano, nominano Dio invano, parlano e si comportano in modo indecoroso, commettono adulterio, distruggono le proprie famiglie, affogano nel materialismo, ignorano Dio e la Sua Parola eccetera; e anche quando, a mio parere, cercano di affermare la propria civiltà in modo a mio avviso incivile, ossia cercando di imporla più per la paura di essere “invasi” che per amore e tramite la propria esistenza quotidiana.
Vogliamo che musulmani e altri non-cristiani siano conquistati alla fede di Gesù? Vogliamo difendere la nostra identità? Allora, dobbiamo personalmente ricominciare proprio da questa identità, ridiscuterla, riscoprire il vero senso dell’essere cristiani, vivere questo senso e farci, come diceva Gesù, “luce” per questo mondo.

Ma ciò, è evidente, implica una revisione di noi stessi, del nostro Paese e del nostro modo di essere, il che è molto più arduo rispetto al semplice atto di appendere un’effigie. Sono perfettamente d’accordo sul fatto che gli stranieri che giungono in Italia debbano rispettare la nostra cultura e le nostre leggi; ma non è perché in alcuni Paesi islamici è reato professarsi cristiani che noi, da “buoni cristiani”, dobbiamo in qualche modo rendere loro occhio per occhio (in maniera più morbida e più “civile”, certo).

Infine, oggi come oggi una classe di una qualunque scuola italiana può essere composta, per esempio, da diversi cattolici, un islamico, un induista, un testimone di Geova, un pentecostale, un ebreo, un appartenente ad altra confessione religiosa. È giusto proporre il simbolo e l’insegnamento solo della religione cattolica romana? Mi ritengo un cristiano, e personalmente vorrei convincere tutto il mondo della fede in Gesù, ma al tempo stesso credo che una civiltà sia degna solo quando, in campo religioso, non appoggia e non favorisce nessuna verità (vera o presunta che sia).

Valerio Marchi
Udine
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