Mi piace la metafora che Kierkegaard elabora per evidenziare la nostra situazione creaturale.
Un dio si innamora di una povera fanciulla e questa, vorrebbe contraccambiare, ma si sente angosciosamente inadeguata. Tale è anche la nostra condizione. Dio ama infinitamente la nostra anima e decide di iniziare il fidanzamento. Ma noi non riusciamo ad intuire l’Onnipotenza del nostro Creatore. Egli può veramente tutto, anche farsi simile a noi. Infatti l’Incarnazione racchiude questo mistero, per cui Dio, conoscendo bene la nostra povertà, diventa uno di noi per attirarci a Lui.
Ma noi ancora non lo comprendiamo. Ci sembra impossibile che Dio si abbassi fino a tanto.
La sua Onnipotenza che si manifesta nel limite spazio-temporale!
Se Egli ci tiene così tanto a noi c’è un motivo. Esso è intrinseco al dinamismo trinitario: ci vede nel suo Figlio prediletto, nel quale si è compiaciuto. Noi riflettiamo la sua immagine manifestata da Gesù Cristo durante la sua vita terrena.
Perché, allora, tante fragilità e debolezze? L’ambiente divino è anche una conquista, oltre che dono. E’ un dono conquistato attraverso diverse tappe e fasi in cui, come Giacobbe che combatte contro un uomo misterioso (Gn.32,25), noi dobbiamo cercare di superare la staticità ed il peso della materia per entrare nel Regno dei Cieli.
In effetti ci troviamo in un mare di tentazioni che ci vogliono trascinare nel fango del piacere, nella vendetta, nel potere terreno, nell’affermazione del nostro “io”. Ma l’Assoluto ci attira e ci richiama con insistenza. La lotta è spesso estenuante. Si cade, ci si riprende e si ricade all’infinito. C’è una parte di noi che è consapevole dei nostri limiti e che la vita non può risolversi in essi, perché noi siamo stati creati per l’Assoluto, il quale ci induce ad andare contro la stessa nostra natura per conquistare il Regno.
Non ci rendiamo conto di quanta misericordia Dio usa con noi, soprattutto quando dubitiamo di essa o siamo a Lui indifferenti.
Pier Angelo Piai