Carissimo Elefante

Sono un’umile formica. A te queste
brevi righe per esprimerti quello che pensavo di te giudicandoti al buio dello
sguardo terrestre. Ma prima di tutto vorrei invitarti a comprendere, come
facilmente immaginerai, tutta la fatica e le scoperte che ho fatto per vincere
la mia ritrosia, per debellare il terribile senso di inferiorità che attanagliava
la mia fantasia ogni volta che osavo pensare a te. Tant’è vero che mai finora
ho avuto il coraggio di scambiare con te una parola.

Ma ora, come vedi, lo sto facendo
almeno con queste righe e poi, appena si offre l’occasione, con una bella chiacchierata
insieme. Da poco tempo ho capito che ci possiamo fare il dono della verità solo
se dialoghiamo mettendoci alla pari. Eh, si, grande è il dono che ci si può
fare stando da pari a pari.

Tu sai meglio di me che l’arroganza, la
prepotenza, la supponenza sono malattie favorite anche dalla sovrabbondante
mole da cui è rivestito uno più dell’altro e che tende a mettere uno sopra
l’altro.

Ma
la differenza del peso, del volume, della vistosità, dell’apparenza, è un
inganno che cresce in chi insegue i valori con il metro umano delle cose.
Differenza che, se coltivata, è causa di invidie, gelosie, odio e guerre; è la
rovina dell’umanità.

Ma non regge e scompare fino a
diventare ridicola se la mettiamo al confronto con il grande valore di cui il
Creatore ha arricchito te e me. Del resto tutto ce lo ricorda abbondantemente:
Non giudicate, non soppesare secondo il metro umano, l’uomo valuta la statura
ma la grandezza tua e mia viene dall’alto.

E’ strano, ma solo ora ho preso il coraggio
di scriverti per confessare l’abbaglio che ho preso nei tuoi confronti: pensavo,
ne parlavo e ne trovavo conferme umane che tu fossi “più grande di me”. Da
questo punto di vista ti offendevo e ti facevo del male: ti gonfiavo di
presunzione e offendevo anche me stesso affliggendomi e soffocandomi di
“depressione”.

Che Dio me ne perdoni, ma vi intravvedo
anche un’offesa al Creatore a cui non concedevo la capacità di fare qualcosa di
meglio che sfuggisse al controllo del metro dell’uomo.

A dirti la verità, carissimo Elefante,
con la luce di adesso che mi invita a gettare via il metro umano, posso
concedermi la libertà di pensare non solo e non tanto che tu non sei più
“grande di me”, ma anche di farti il grande dono di rivelarti  che tu sei molto più grande di quanto tu
possa pensare di te.

E questo sublime pensiero nei tuoi
confronti mi libera dalla sudditanza dalle creature e trascina alla stessa
altezza anche la mia stima su di me e per chiunque.

La mia e tua grandezza la può misurare
l’infinita fantasia di quell’Amore che se la gode a “fare bene” tutte le cose
perché siano dono l’una all’altra. Lui ci misura per quanto, specchio del
cielo, ci proiettiamo a essere doni gli uni gli altri. Come in cielo, così in
terra. Ciao, tua formica.

      Carissima
formica, grazie! Mi hai svegliato perché mi sono messo a ridere e a  deridere la mia presunzione e ti vedo guarita
dalla tua depressione: grandi cose ha fatto in noi
l’Onnipotente. Grazie! Tuo elefante.

 

p.Andrea Panont