In ognuno di noi sin dalla nascita si insedia il desiderio di permanenza”, nel senso che vorremmo protrarre nel tempo certe situazioni, cerchiamo luoghi e rapporti interpersonali stabili , forme di sicurezza sociale ed esistenziale. Desideriamo una vita lunga, una bella casa tranquilla, tanta salute per poterci autorealizzare, soldi per diventare indipendenti, amici sui quali appoggiarci, il posto fisso, ideologie attraverso le quali costruirci una nicchia esistenziale, ecc.
Ciò è un fatto istintivo, una forma di autodifesa che però, a lungo andare, se portata all’estremo, rischia di irrigidire il nostro animo.
Se questi desideri diventano il fine ultimo della nostra esistenza, l’anima corre il grande pericolo di fossilizzarsi.
In effetti, se riflettiamo bene, nulla ci appare “permanente”, nemmeno in natura. Le stagioni si susseguono, il giorno si alterna alla notte, gli alberi e le costruzioni umane mutano il paesaggio, il nostro corpo invecchia, la nostra psiche si evolve nell’accumulare esperienze.
Nessuno stato è perfettamente uguale a quello precedente ed ogni istante è diverso da quello successivo.
Eppure continuiamo ad aggrapparci a ciò che ci sembra illusoriamente “permanente”.
Si illude chi pensa di rimanere nelle stesse condizioni di prima, così è immaturo chi non vuole crescere ed assumersi determinate responsabilità. Il processo di mutamento della realtà è intrinseco allo stato di creatività a cui è chiamata ogni persona, fatta ad immagine e somiglianza di Dio.
La creatività in sé stessa è impermanente. Le nostre esperienze quotidiane ce lo dimostrano : il lavoro ripetitivo ci può portare al logorio psico-fisico o alla depressione, i discorsi monotoni ci annoiano, vogliamo mangiare o vestirci diversamente, ecc.”
Lo stato di permanenza non appartiene alla natura più alta dell’uomo, anche se la parte animale che è in noi lo desidera.
E’ piuttosto la dimensione spirituale che anela lo stato di creatività, il quale certamente è interiore a noi : esso sa intrepretare gli eventi, sa discernere i processi evolutivi, sa ascoltare ogni fenomeno, accetta di vivere nella fragile provvisorietà, sa sperare in una redenzione personale e collettiva, sa discernere ciò che vale da ciò che invece è una patacca, apprezza la vera arte, l’armonia, la bellezza e scopre cose sempre nuove andando oltre l’immutabile apparenza.
Quando con saggio distacco sappiamo cogliere ogni novità, gioiosa o dolorosa, come elemento importante di arricchimento per la nostra evoluzione umana, allora ci proiettiamo nell’evangelico “Regno dei Cieli”, il quale è fatto per i semplici che acquisiscono saggezza nella consapevolezza che tutto ciò che è terreno è effimero e tendente alla staticità, mentre ciò che è spirituale respira la vera creatività.
Pier Angelo Piai