LA FILOSOFIA DELL’ISTANTE
La filosofia dell’istante può costituire un buon supporto per chiunque si accinge a riflettere e a contemplare il mistero dell’esistenza in rapporto alla Trascendenza per proseguire sulla via più adeguata alla ricerca della Verità.
Si tratta di scrollarsi di dosso tutti i pregiudizi sul tempo che si sono sedimentati nella nostra mente anestetizzata dall’abitudine e dalla superficialità quotidiana.
Sono convinto che questo tipo di riflessioni dovrebbero essere stimolate in noi sin da giovanissimi. Esse, in qualche modo, ci riconducono alla realtà della vita e contribuiscono all’autoconsapevolezza di chi siamo e che cosa stiamo facendo,
Innanzitutto dovremmo distinguere bene che cosa intendiamo per “tempo”, “momento”, “attimo” ed “istante”. In questo caso, pur dovendo utilizzare termini comuni del linguaggio, è importante far emergere la loro connotazione specifica più adatta a questo contesto comunicativo.
Il tempo – si dice – è la dimensione nella quale si concepisce e si misura il trascorrere degli eventi ed induce la distinzione tra passato, presente e futuro. Utilizziamo questo concetto per motivi molto pratici come è molto pratica la suddivisione del tempo in secondi, minuti, ore, giorni, settimane, mesi, anni, lustri, decenni, secoli, millenni ecc.
Per Platone Il tempo è l’immagine mobile dell’eternità.
Sant’Agostino affermava del tempo così concepito: “Se non mi chiedono cosa sia il tempo lo so, ma se me lo chiedono non lo so”
Nelle “Confessioni” afferma che il tempo è “distensione dell’animo” ed è riconducibile a una percezione propria del soggetto che, pur vivendo solo nel presente (con l’attenzione), ha coscienza del passato grazie alla memoria e del futuro in virtù dell’attesa
Kant sosteneva che il tempo , assieme allo spazio, è una “forma a priori della sensibilità”
Henri Bergson, nel suo “Saggio sui dati immediati della coscienza” osserva che il tempo della fisica non coincide con quello della coscienza. Il tempo come unità di misura dei fenomeni fisici, infatti, si risolve in una spazializzazione (come ad esempio le lancette dell’orologio) in cui ogni istante è oggettivamente rappresentato e qualitativamente identico a tutti gli altri; il tempo originario, invece, si trova nella nostra coscienza che lo conosce mediante intuizione; esso è soggettivo, e ogni istante risulta qualitativamente diverso da tutti gli altri.
Bergson è il filosofo che ha posto l’accento sul tempo interiore che lui definisce “durata” e che non è possibile quantificare scientificamente.
Noi, prescindendo dal tempo esterno misurabile, percepiamo il suo fluire con la nostra coscienza, la quale si pone sempre in una dimensione trascendentale rispetto ai singoli atomi temporali, per poter cogliere l’unità del tutto.
In effetti si diventa sempre più consapevoli che tutto ciò che è già trascorso può essere richiamato dalla memoria in un atto presente, ma non potrà mai essere rivissuto in modo identico. Il passato non torna più, ed anche se ha fissato le sue tracce nel nostro corpo, nell’ambiente che ci circonda, nella nostra stessa mente modulando la nostra visione della vita, non potrà mai essere riesumato. Concretamente sembra svanito nel nulla.
Per quanto riguarda il futuro qualsiasi coscienza che riflette ammette che esso è solo una proiezione della nostra mente. Noi estrapoliamo dalle esperienze vissute ciò che abbiamo percepito ed immaginiamo un procedere simile davanti a noi. Ma la stessa esperienza ci dice che non rivivremo mai esattamente quello che abbiamo vissuto nel passato, anche perché i nostri stati di coscienza mutano con l’esperienza stessa. Il futuro, dunque, si pone sempre innanzi a noi e quando crediamo di raggiungerlo non è più tale, per cui ci sfugge continuamente.
Come per il passato, comunque, lo immaginiamo sempre con un atto presente.
Ora si tratta di focalizzare il concetto di “presente” perché non è così scontato come a prima vista appare.
Possiamo realmente affermare che il presente nella nostra coscienza è un “momento” se con esso intendiamo una qualsiasi frazione di tempo?
Anche la frazione di tempo è suddivisibile in altre frazioni all’infinito ed al loro interno si potrebbero applicare gli stessi criteri relativi alla classica concezione del tempo suddiviso in passato-presente-futuro.
Sicché quando noi pronunciamo la parola “presente”, ci accorgiamo che essa stessa appartiene già al passato, come è relativa al futuro quando ci accingiamo a pronunciarla.
Cosa possiamo dedurre?
Aveva ragione Kant quando sosteneva che il tempo è una forma a priori della sensibilità?
Il tempo, allora, è un mero accorgimento della nostra mente per collocare le varie fasi della nostra coscienza in evoluzione e quindi non ha consistenza sostanziale.
Ma se il tempo non ha consistenza, allora non ne hanno nemmeno il passato ed il futuro. In questo contesto sorge spontaneo l’interrogativo sul concetto di “istante”, il quale è atemporale e trascendente. Se è atemporale significa che non può essere supportato dalle categorie temporali comuni e quindi esce dalla logica spazio-temporale.
In questo senso l’istante “trascende” anche le nostre categorie mentali. Esso coincide con quello che denominiamo “eternità”, dimensione non concepibile da una mente umana, ma intuibile attraverso la stessa categoria dell’istante, proprio perché l’eternità non ha come riferimento il passato, il presente od il futuro.
Noi, in un certo senso, dal momento che esistiamo, siamo già nell’eternità, ma non ancora finché ci lasciamo condizionare dalle categorie spazio-temporali della vita terrena.
Ecco perché i mistici, ad esempio, durante certi loro particolari fenomeni soprannaturali sospendono le attività spazio-temporali comuni (mangiare, bere, dormire, sottostare alla gravità, alle leggi bio-chimiche e fisiche) per dar posto ad uno stato esistenziale che a noi appare regredito: essi sono proiettati nell’eternità perché immersi nell’istante.
Questo tipo di considerazioni potrebbero costituire un piccolo lume anche per intuire la portata degli eventi relativi al cristianesimo che hanno ai nostri giorni dopo duemila anni circa dalla vita terrena di Gesù Cristo. In questo senso tutto ciò che Egli ha compiuto in parole in opere diventa attuale, se relativizziamo la dimensione spazio-temporale e consideriamo importante la filosofia dell’istante, per cui la sua nascita avviene in noi, così pure la sua passione, morte e resurrezione.
Per questo Gesù disse: “Il Regno dei Cieli è già in mezzo a voi”. Gli stessi Sacramenti annullano ogni categoria spazio-temporale, specialmente l’Eucaristia in cui Egli si fa corpo-sangue-anima e divinità che ci viene donata per la nostra progressiva divinizzazione nell’istante, come pregustazione dell’Eterno.
In questo modo si intuisce che ciascuno di noi ha già il Regno in sé se si lascia assimilare dall’Eterno.
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a cura di http://mondocrea.it
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