(su p.Davide Maria Turoldo…)
L’apertura connaturale agli interessi e al
temperamento trova un ulteriore stimolo nei contatti più o meno necessitati con
diverse nazioni e con specifici ambienti socio-culturali e socio-politici.
Libertà e giustizia sono premesse e condizioni
possibili di pace.
E la
“pace” è uno dei temi decisivi che anima la generalità degli interventi
soprattutto del periodo post-conciliare.
La pace è un orizzonte messianico: in questa
prospettiva si colora di accenti che superano le contrattualità storiche e la
loro endemica fragilità. È necessario che cambi il cuore dell’uomo, che si
sradichi ogni traccia di potenziale violenza, là dove essa nasce, dove ha la
sua prima origine.
Volere la pace è una delle imprese più difficili
perché essa non è mai definitivamente conquistata, ma deve essere rigenerata in
noi in ogni momento e da parte di ciascuno di noi senza eccezioni.
La pace è “utopia”, ma questo non significa
impossibile realizzazione; significa invece “mèta” stimolante un modo di essere
che fa crescere la storia e maturare una convivenza di pari opportunità per
tutti.
[1]
Io voglio sapere
Io voglio sapere
se l’uomo è una fiera
Ancora alle soglie della foresta:
se la ragione è una rovina
se i fatti hanno una ragione
se la ragione è ancora utile.
Io voglio sapere
se ci sono ancora gli assoluti
O se io sono sacerdote
di colpevoli illusioni,
se è vero che saremo
finalmente liberi
se saremo ancora liberi
se saremo mai liberi.
Io voglio sapere
se cantare è ancora possibile
se da ricchi canteremo ancora
se dipingere è ancora possibile
se la bellezza esisterà sempre,
se possibile sarà ancora contemplare.
Io voglio sapere
quale sarà l’intelligenza
di un abitante della futura megapoli
quale il potere spirituale di resistere
se sopravviverà ancora l’amore,
se pure è mai esistito.
Io voglio sapere
se la vita è solo meretricio
se il vostro vivere è appena una difesa
contro la vita degli altri:
se qualcuno, almeno qualcuno
crede che tutti gli uomini
sono una sola umanità.
Io voglio sapere
se l’uomo cresce
se c’è un altro avvenire
se la scienza non sia la morte
e la sua macchina non sia la nostra
bara d’acciaio.
Io voglio sapere
se esiste una forza liberatrice:
se almeno la chiesa non sia
la tomba di dio
l’ultima sconfitta dell’uomo.
Io voglio sapere
se la pace è possibile
se la giustizia è possibile
se l’Idea è più forte della forza
[2]
Un campo sterminato (a Rigoberta Menchù)
Un campo sterminato di rovine
è la memoria:
nulla che non fosse male
mi rimase estraneo.
Ma fierezza mi conforta
fino a credere che mi perdonerà.
La fedeltà mantenuta,
l’istinto, Dio, di te non tradito
l’aver mai tagliato
con le radici, mai rotto
con l’umile gente
o sceso a patti con l’Epulone, mai!
Prima ragione dei miei
amari conflitti
pur con la chiesa:
ragione
che mi rende difficile
accettare perfino
una sorte felice:
che mia madre
e la madre e il padre di Rigoberta
e l’ultimo campesino e il negro di Soweto
siano
in un paradiso dove
giustizia non sia fatta:
se anche questo
a colpa si ascrive
subito si allunghi
l’interminabile
rosario
Brani
da
David M. Turoldo. Una voce
del Friuli.
Ideazione, riflessioni e scelta dei testi a cura di Nicolino Borgo, Basaldella
2006 [pubblicazione per il centenario della banca di credito cooperativo del
Friuli centrale, 1906-2006]