Il rapporto con il Friuli in Turoldo ha diverse
articolazioni che seguono in qualche modo le stesse vicende storiche in cui la
realtà friulana è stata coinvolta.
C’è un Friuli ideale in cui pesano
reminiscenze primarie dell’infanzia e della sua fase prerazionale.
Le concrete situazioni socio-economiche misurano le
emergenze drammatiche dell’emigrazione e dell’endemica povertà in cui
vive la popolazione. Uno sguardo riflesso sul mondo dei valori e della
culturizzazione cristiana induce ad una lettura di sapida indulgenza sulle
connotazioni etiche e sulla tenuta civile della “gente” capace di contenuta
dignità solidale.
La fase dello sviluppo economico e della
conseguente rivoluzione culturale determina una reazione che ha il suo
suggello nel film “Gli ultimi”, appassionato appello ad una cultura-civiltà
minacciata da progressivo esaurimento.
Il dramma del terremoto impone una reviviscenza
più o meno legata alle motivazioni insorgenti nel contesto friulano che aspira
ad un’identità storico-culturale ed economica di riscatto.
Complessivamente il rapporto con il Friuli si
consolida in un orizzonte poetico che trasfigura costantemente la storia
ricondotta alla dimensione del “paese” e incorniciata, per i momenti più
significativi in una dimensione biblica.
[1]
Mentre il treno
e lassù restano le piante
miti e la fontana
amica, e le pietre vive
e non immemori.
Lassù resta il ricordo
della mia fuga e del mio
solitario pianto.
Mentre il treno mi trascina
verso la città;
ma io serberò a lungo le parole
delle insensate cose.
Appena un racconto (a Riedo Puppo)
Ultima voce del profeta era
un uomo dei campi
alto e ossuto
del mio Friuli.
Ad ogni settimana santa
intonava con voce
immensa e chiara
l’«incipit lamentatio»
nella chiesa muta
esterrefatta e pronta
all’amore o al pianto.
E finiva con gli occhi alti
sul crocifisso dell’altare:
così il profeta parlava
ancora.
E poi silenzio!
Da quando lo trovarono
nella stalla addormentato
per sempre.
Da allora nessuno più canta
«Ierusalem Ierusalem»
[2]
O mia terra
Ancora rondini saettano
di sotto i tetti e lungo il fiume.
Un mare di verde è il bosco;
cantano fanciulle
e vanno per i campi
a festa d’amore.
Tutta d’oro è la vigna sul colle,
il vento scuote dolcemente il grano
e profumo spande
da ferire ogni senso.
[3]
Salmodia della povera gente (a mio fratello
Lino)
()
E la pioggia batteva sul tetto
batteva con migliaia di mani
batteva con dita di vetro
spiava dalle crepe del vecchio solaio.
Nelle lunghe notti d’inverno
il vento lacerava i vetri di cartone
alle finestre come un bandito.
E il freddo ti gonfiava le mani
uguali a rose rosse di sangue.
Ma quelle di babbo e mamma
ormai erano pianure
solcate da fiumi neri di fango,
da carriaggi impraticabili
alle nostre dita di fanciulli:
ancora le vedo aperte e vuote
sulle ginocchia, la sera
e noi ci perdevamo in esse
fiori in cortili deserti.
Brani
da
David M. Turoldo. Una voce
del Friuli.
Ideazione, riflessioni e scelta dei testi a cura di Nicolino Borgo, Basaldella
2006 [pubblicazione per il centenario della banca di credito cooperativo del
Friuli centrale, 1906-2006]