10 Dicembre 2013

UN NIDO TRA NOSTALGIA E SOFFERENZA



Il rapporto con il Friuli in Turoldo ha diverse
articolazioni che seguono in qualche modo le stesse vicende storiche in cui la
realtà friulana è stata coinvolta.


C’è un Friuli ideale in cui pesano
reminiscenze primarie dell’infanzia e della sua fase prerazionale.

Le concrete situazioni socio-economiche misurano le
emergenze drammatiche dell’emigrazione e dell’endemica povertà in cui
vive la popolazione. Uno sguardo riflesso sul mondo dei valori e della
culturizzazione cristiana induce ad una lettura di sapida indulgenza sulle
connotazioni etiche e sulla tenuta civile della “gente” capace di contenuta
dignità solidale.


La fase dello sviluppo economico e della
conseguente rivoluzione culturale determina una reazione che ha il suo
suggello nel film “Gli ultimi”, appassionato appello ad una cultura-civiltà
minacciata da progressivo esaurimento.


Il dramma del terremoto impone una reviviscenza
più o meno legata alle motivazioni insorgenti nel contesto friulano che aspira
ad un’identità storico-culturale ed economica di riscatto.


Complessivamente il rapporto con il Friuli si
consolida in un orizzonte poetico che trasfigura costantemente la storia
ricondotta alla dimensione del “paese” e incorniciata, per i momenti più
significativi in una dimensione biblica.

 

[1]

Mentre il treno

 

e lassù restano le piante

miti e la fontana

amica, e le pietre vive

e non immemori.

Lassù resta il ricordo

della mia fuga e del mio

solitario pianto.

Mentre il treno mi trascina

verso la città;

ma io serberò a lungo le parole

delle insensate cose.

 

Appena un racconto (a Riedo Puppo)

 

Ultima voce del profeta era

un uomo dei campi

alto e ossuto

del mio Friuli.

 

Ad ogni settimana santa

intonava con voce

immensa e chiara

l’«incipit lamentatio»

nella chiesa muta

esterrefatta e pronta

all’amore o al pianto.

 

E finiva con gli occhi alti

sul crocifisso dell’altare:

così il profeta parlava

ancora.

 

E poi silenzio!

Da quando lo trovarono

nella stalla addormentato

per sempre.

 

Da allora nessuno più canta

«Ierusalem Ierusalem»

 

 

[2]

O mia terra


Ancora rondini saettano

di sotto i tetti e lungo il fiume.

Un mare di verde è il bosco;

cantano fanciulle

e vanno per i campi

a festa d’amore.

Tutta d’oro è la vigna sul colle,

il vento scuote dolcemente il grano

e profumo spande

da ferire ogni senso.

 

[3]

Salmodia della povera gente (a mio fratello
Lino)

 

()

E la pioggia batteva sul tetto

batteva con migliaia di mani

batteva con dita di vetro

spiava dalle crepe del vecchio solaio.

 

Nelle lunghe notti d’inverno

il vento lacerava i vetri di cartone

alle finestre come un bandito.

E il freddo ti gonfiava le mani

uguali a rose rosse di sangue.

Ma quelle di babbo e mamma

ormai erano pianure

solcate da fiumi neri di fango,

da carriaggi impraticabili

alle nostre dita di fanciulli:

ancora le vedo aperte e vuote

sulle ginocchia, la sera

e noi ci perdevamo in esse

fiori in cortili deserti.

Brani
da


David M. Turoldo. Una voce
del Friuli
.
Ideazione, riflessioni e scelta dei testi a cura di Nicolino Borgo, Basaldella
2006 [pubblicazione per il centenario della banca di credito cooperativo del
Friuli centrale, 1906-2006]