“Tanto è ver che
nel verno è caro il verde

che
sol si stima il ben quando si perde”.


Questi sono versi d’un canto che ho imparato in
seminario grazie al nostro maestro di musica. E’ un canto a cinque voci che si
rincorrono, si uniscono, si armonizzano e si snodano senza tregua, senza un
respiro. I versi vengono ripetuti in mille modi e con altrettante sfumature. Mi
sembrava che l’autore volesse a tutti i costi fissarceli nella memoria e
dircene tutta l’importanza.

Ed è quanto
deve aver imparato per esperienza propria anche Serafino, un personaggio dei
racconti di Dino Buzzati.


A sua moglie
aveva  ripetutamente detto, a
bassissima voce, l’aveva supplicata di star zita. Il registratore stava
registrando  dalla radio. Le
ripeteva di non far nessun rumore. Stava registrando Re Arturo di Purcel, un pezzo musicale tra i più belli che si
possano ascoltare.

Ma lei
“dispettosa, menefreghista, carogna” su e giù con i tacchi secchi per il solo
gusto di farlo imbestialire; non solo, ma poi si schiariva la voce, poi tossiva
(apposta), ridacchiava da sola, accendeva il fiammifero in modo da ottenere il
massimo rumore; e poi ancora a passi risentiti su e giù proterva. E intanto Purcel, Mozart, Bach, Palestrina, i
puri, i divini cantavano inutilmente. Così non era più possibile durare con lei
“miserabile, pulce, pidocchio, angustia della vita”.

E adesso, lei
non c’è più, se n’è andata, lo ha lasciato, ha preferito lasciarlo. Lui non sa
nemmeno dove sia andata a finire.

 

A questo punto Purcel,
Mozart, Bach, Palestrina suonano, suonano, ma non hanno più senso, anzi agli orecchi di Serafino risultano
“stupidissimi, maledetti, nauseabondi”.


Ora lui se ne sta
appiccicato al registratore ad ascoltare quel ticchettìo su e giù, quei tacchi,
quelle risatine, quel raschio in gola, la tosse. Questa sì che gli pare musica
divina. Ascolta. Sotto la luce della lampada, seduto, ascolta. Pietrificato
sulla vecchia sfondata poltrona. Egli ascolta, immobile, quei rumori, quei
versi, quella tosse, quei suoni adorati, supremi. Che non esistono più.

Anche se
l’autore non lo dice, io sono certo che i due sono ancora tornati a vivere
insieme. Sulla base solida dell’esperienza fatta hanno senza dubbio rifondato
la loro famiglia, hanno ricostruito la casa sulla roccia.

Hanno imparato
che se l’ami, ogni rumore diventa musica; ma se non l’ami, ogni musica è rumore
assordante.


S.Teresa di Lisieux aveva,
vicina in chiesa, una consorella che con la corona provocava un continuo
tintinnio. Teresa la amava così bene da “trasformare” quel rumore in una musica
deliziosa e celeste.


Anche per i nostri due
protagonisti l’amore reciproco d’ora in poi trasformerà in musica divina ogni
loro limite.

p.Andrea Panont