da: http://www.dweb.repubblica.it/archivio_d/1997/05/13/rubriche/psicologia/170pia50170.html
Il piacere dell’onestà
S’impara in famiglia e rafforza l’autostima. Banco di prova, la quotidianità
di Emma Chiaia
Timbrare il biglietto dell’autobus, anche se è domenica e non ci sono controllori.
Dare indietro il resto in eccesso, consegnato da una cassiera distratta.
Studiare anche la parte poco importante dell’esame, che il professore non chiede mai.
Non salvarsi dall’imbarazzo con una bugia…
Sono tante le situazioni della vita che mettono alla prova il nostro senso dell’onestà. E allora ognuno di noi, che magari un attimo prima aveva condannato la ruberia di un politico o la truffa di un faccendiere, è costretto a interrogarsi. Come si può capire se si resisterebbe a una forte tentazione? E ancora, da dove viene il senso dell’onestà: si può impararlo o svilupparlo?
“L’onestà non è certo una qualità innata, né si può parlare di una predisposizione biologica”, spiega Franco Baldini, psicoterapeuta e direttore dell’Istituto di Terapia razionale emotiva di Verona. Se siamo più o meno affidabili, dunque, lo dobbiamo ad altro: è un sentimento appreso con l’educazione. “Il primo luogo dove si impara l’onestà è la famiglia. Viene trasmessa dai genitori quando insegnano al bambino a socializzare in modo corretto con i coetanei.
Ma, soprattutto, è instillata nel momento in cui sono essi stessi onesti e non raccontano al figlio bugie inutili. Cos&igigrave; creano i presupposti per chiedere anche a lui un comportamento limpido e coerente”, dice Paolo Fuligni, psicoterapeuta livornese. “Quella che si forma in questo modo è la vera onestà, un sentimento consapevole, destinato a durare tutta la vita. Nulla a che vedere con quell’insieme di dogmi moralistici e perbenisti che spesso poi inducono alla trasgressione, anche violenta, durante l’adolescenza”.
Ma pure la scuola, le amicizie, i messaggi culturali che arrivano dai media hanno la loro influenza, non sempre positiva. “Soprattutto i media hanno un atteggiamento ambiguo: condannano esplicitamente la disonestà, ma implicitamente valorizzano la cultura dei “furbi””, sottolinea Fuligni. Ma è disonestà una piccola cosa come non pagare il biglietto dell’autobus? “Dipende.
Una persona consapevole è capace di valutare le conseguenze dei suoi gesti e paga regolarmente la tariffa in cambio del servizio. Senza sciocchi eccessi, però: se è notte, piove e non ha il biglietto, prenderà ugualmente il mezzo pubblico, magari ripromettendosi di non girare più sfornito”, precisa Baldini.
“Chi fa propri certi valori nelle piccole cose, traduce poi lo stesso atteggiamento in questioni più importanti, nelle storie affettive, nel lavoro. E alla fine godrà di maggiore autostima”.
Ma se l’onestà rafforza l’autostima, è anche vero che, viceversa, la fiducia in sé rende più facile adottare comportamenti irreprensibili. “Si è cioè onesti per orgoglio”, conclude Fuligni, “perché si sa di essere in grado di raggiungere i propri scopi senza barare.
È la persona più fragile, magari frustrata, stretta in un imbuto sociale che fa intravedere possibilità modeste, anche se induce bisogni e aspettative elevate, a essere più a rischio”.