DOMENICA DI PASQUA 2013 Anno C
At, 1-8a; 1Cor 15, 3-10a; Gv 20,11-18
Buona Pasqua, fratelli e sorelle, a voi e a quanti
amate. Noi che celebriamo la Pasqua, oggi siamo presi dentro la potenza della
risurrezione di Cristo Gesù, sospinti da lui, forza ascensionale del cosmo, nel
grande pellegrinaggio verso la vita.
Il Signore è Risorto proprio
per dirci che, di fronte a chi decide di “amare”, non c’è morte che tenga, non
c’è tomba che chiuda, non c’è macigno sepolcrale che non rotoli via.
Signore, nostra vita Kyrie eleison
Signore, nostra risurrezione Kyrie eleison.
Signore, nostra Pasqua Kyrie eleison
OMELIA
La Pasqua è tornata, Pasqua è
qui, l’abbiamo sentita dal vangelo dove tutto si colora di urgenza e di
passione.
Urgenza del
seme che si apre, del masso che rotola via, e il sepolcro vuoto e risplendente
nel fresco dell’alba è come un grembo che ha partorito, come il guscio di un
seme aperto.
Passione che
è il patire e l’appassionarsi di Gesù per l’uomo, il patire e l’appassionarsi
di Maria di Magdala per il suo amato e Maestro. La Maddalena non si rassegna all’evidenza della morte. Amare è dire: tu non morirai (G.
Marcel).
Cerca colui che le ha
regalato un’esperienza felice di libertà e guarigione, cerca il suo tesoro
perduto. Non si lascia consolare facilmente. I segni della speranza – la tomba
aperta, il corpo che manca – non le parlano. Anzi aumentano il dolore: neppure
più un corpo su cui piangere. Persino agli angeli rimane indifferente.
E cerca ovunque il corpo
dell’amato, interroga tutti quelli che incontra (donna, chi cerchi?). Non cerca
per fede, cerca per amore. Non perché crede o spera qualcosa, ma perché ha
conservato tutto l’amore di cui era capace.
Come le altre donne che si
recano al sepolcro all’alba, per amore, solo per amore, le mani cariche di
aromi, a prendersi cura del corpo di Gesù, con tutto quello che hanno, come
solo le donne sanno.
Ed ecco che quello che era un
semplice atto d’amore si muta in un evento, in un avvenimento che cambia la
vita.
Colei che cerca con tanta
passione si accorge di essere cercata. L’amante si accorge di essere amata: Maria! E tutto esplode: Rabbunì, amore mio!
Ma prima, abbiamo potuto accompagnare passo passo il
disvelarsi della fede, abbiamo sentito la prima parola del Risorto, umile,
commovente, che incanta ancora: “Donna, perché piangi?” Il Dio della
vita si interessa delle lacrime. Il Risorto vi si cela dentro, non sfolgora,
non abbaglia, nella sua voce trema un dolore: non piangere, amica mia. E’ lo
stile inconfondibile di Gesù.
Il Risorto, l’uomo degli incontri, ricomincia gli
incontri con il suo modo unico: il suo primo sguardo non cerca mai il peccato
di una persona, ma si posa sempre sulla povertà e sulla sofferenza.
Gesù prova dolore per il dolore dell’uomo e se ne
prende cura. Ha passione per la passione dei suoi piccoli, per questa urgenza
di lacrime da asciugare: ‘fa piaga nel
suo cuore la somma del dolore del mondo…’ (Ungaretti).
Nell’ultima ora del venerdì, sulla Croce si era
occupato del dolore e dell’angoscia di un ladro, nella prima ora della Pasqua
si occupa del dolore e dell’amore di Maria. Trema insieme al tremante cuore
della sua amica, dimentico di sé. E’ davvero Lui, non ti puoi sbagliare!
La prima cosa che gli occhi nuovi del Risorto vedono è
la più antica faccia della storia, un volto in pianto. Il mondo è ancora un
immenso pianto, lo vediamo attorno a noi, dentro di noi, ma è il mondo è anche
un immenso parto, dove Dio presiede ad ogni nascita, ad ogni rinascita.
Nel giorno della sofferenza, della malattia, del
dramma, posso allora pensare, credere che, per la forza delle lacrime che fanno
piaga nel cielo, una mano si staccherà dalla croce e si poserà sulla mia
fronte; una mano forata staccherà la mia dalla croce, e si bagnerà di queste
lacrime.
È poca cosa? Ma se io sono preso dentro Dio, in Lui
compreso, allora sono preso dentro la potenza della risurrezione, allora Gesù è
il paradigma dei nostri destini. E saprò che Dio salva, non dalla sofferenza,
ma nella sofferenza, non dalla croce, ma nella croce, non dalle lacrime ma nelle
lacrime.
«Quando l’ombra della luce, che è la sofferenza, scende sulla vostra anima,
quando voi soffrite, non ribellatevi, non dite “Dio perché lo hai
fatto”, non andate a chieder conto a Dio del perché tutto questo vi
succede, ma pensate: “Ecco, Dio sta accanto a me, adesso! … e mi chiede
scusa di quello che è successo…!» (Tonino Bello).
Eppure il male del mondo mi
fa dubitare, è troppo: il cancro, la corruzione, il disprezzo dell’altro mi
fanno dubitare; le guerre, i naufragi nel nostro mare, morire di freddo tra
l’Africa e l’Europa, la crisi che sembra infinita, la finanza padrona, la
politica impotente mi fanno dubitare che la Pasqua sia davvero la forza
vincente.
Ma poi guardo meglio e vedo
immense energie di bene nel mondo, vedo donne e uomini che danno la vita ai
figli e la custodiscono con immenso amore; vedo giovani che danno la loro forza
a chi è debole, anziani sapienti creatori di giustizia e di bellezza, vedo
gente onesta perfino nelle piccole cose, vedo occhi di luce e sorrisi più belli
di quanto la vita non lo permetta. Questi uomini e queste donne sono nati il
mattino di Pasqua, hanno dentro il seme di Pasqua.
E’ pieno di echi del Cantico
dei Cantici il Vangelo di oggi: ci sono l’amata e l’amato, il giardino, la
notte e l’alba, la ricerca di Colui che è perduto, c’è la corsa, le lacrime, il
nome pronunciato come nessuno sa fare se non chi ti ama.
Maria si sente chiamare per
nome. Tutti ti chiamano, ma chi ti vuole bene ti chiama in modo diverso da
tutti gli altri, e “senti che il tuo nome è al sicuro nella sua voce, nella sua
bocca”. Maria si volta e lo riconosce. L’Assente è il Risorto, e ci chiama
ognuno per nome. E io mi sento al sicuro nella sua voce.
Il racconto del vangelo oggi
più che una descrizione di eventi sembra raccontare un itinerario di fede: di
quando sento il vuoto dell’assenza, lo strappo di un Dio che mi manca, che non
sento, che non c’è più; eppure, come nelle donne dell’alba, permane un
desiderio che non è ancora fede, ma un misterioso fascino che non mi lascia, una
seduzione che fa presa ancora; e da qui una ricerca che non si placa, passi
nella notte e nell’alba, domande lanciate come bottiglie nel mare, e risposte
che non parlano. Finché poi lo stupore del mio nome sulle sue labbra.
Maria vorrebbe afferrarlo e non
lasciarlo andare. Ma Gesù le chiede altro:
“Non mi trattenere, dice, devo andare!” da questo
giardino al cosmo intero, da queste tue lacrime a tutte le lacrime. Non mi
trattenere, il Risorgente è in viaggio oltre le parole, oltre le idee,
oltre le forme e i riti, oltre le chiese. Oltre la morte. La Risurrezione di
Cristo Signore del cosmo non riposerà finché non sia spezzata la pietra che
chiude l’ultimo cuore e le sue forze non arrivino all’ultimo ramo della
creazione.
Le chiede di andare ad annunciare ciò che ha visto e
udito, e una donna diventa l’apostola degli apostoli. Colei che era l’ultima
agli occhi di tutti diventa la prima ad annunciare la storia nuova.
Lo possiamo fare anche noi, possiamo sperimentare e
annunciare che di
fronte a chi decide di “amare”, non c’è morte che tenga, non c’è tomba che
chiuda, non c’è macigno sepolcrale che non rotoli via.
Allora
anche nel cuore del dolore, in quelle strade che sembravano senza uscita,
dentro la solitudine e l’abbandono questo è l’annuncio di Pasqua:
“ Rimane,
continua, è più forte la potenza dell’amore.
Anche se non ho niente, svuotato dalla tristezza,
mani inchiodate dal dolore,
rimane la potenza dell’amore.
In un luogo che non conosco, sorgente delle mie
sorgenti,
cielo del mio cielo, terra profonda delle mie radici,
rimane la potenza dell’amore!”
Rimane Cristo vivo e questo mi fa dolce e fortissima
compagnia:
io non
appartengo a un Dio da piangere, a un Dio compianto,
io appartengo
a un Dio vivo.
E in me come in lui
ogni
ferita può diventare feritoia,
ogni piaga una fessura di luce.