IV
di quaresima 2013 Gv 9,1-41
Siamo tutti mendicanti di
luce. Anzi al dire di Paolo siamo figli
della luce: la luce ci fa da madre; siamo figli del giorno, la nostra vita è come un albeggiare continuo,
siamo sempre nell’alba di noi stessi. Siamo creature, termine bellissimo, che
deriva non dal passato ma dal futuro, come fossimo nascituri, coloro che ogni
giorno vengono dati alla luce. Siamo creature che non finiscono mai di essere
creati. Figli sempre, perché nessuno mai è giunto alla pienezza della sua
crescita.
Di essere creati ora
chiediamo, e di essere perdonati, con il rito dell’acqua che fa nascere la
vita, e rende puri e fecondi.
Preghiera: Discenda Cristo come luce tra le ombre, come acqua feconda su terra
arida, abbia misericordia di noi che cadiamo facilmente, venga come guarigione
di ciò che fa soffrire, sciolga ogni ferita e ogni dolore, perdoni i nostri
peccati e ci conduca alla vita eterna.
OMELIA.
Gesù
stende un petalo di fango sugli occhi di un mendicante che ci rappresenta
tutti. E li accende. Su quegli occhi, una carezza di luce che diventa una
ventata di libertà.
Chi
non vede deve appoggiarsi ad altri, a muri, a un bastone, ai genitori. Chi vede
cammina sicuro, senza dipendere da altri, libero. Come il cieco di oggi che
guarito diventa forte, non ha più paura, tiene testa agli intellettuali, bada
ai fatti concreti e non alle parole. Libero!
Gesù schiude gli occhi agli uomini perché vuole che ciascuno veda e
osservi con il suo proprio sguardo, rifletta e cammini con le sue gambe, senza
dipendere da altri. Chi è cieco deve appoggiarsi a qualcuno, chi vede bene vive
con libertà, con responsabilità.
Gesù costruisce, in tutto il
vangelo creature che devono vivere bene, uomini originali e creativi, come vediamo
diventare l’uomo cieco dalla nascita: non vede più attraverso gli occhi di
altri, ma va diritto alle cose con il suo sguardo originale; non siederà più a
terra dipendendo dalla benevolenza fortuita casuale degli altri, ma in piedi
con la faccia nel sole, eretto e libero. Creativo di sé e del suo futuro.
Il cieco diventa davvero, le
parole bellissime di Paolo, “figlio della luce, figlio del giorno”. La luce gli
fa da madre, lo partorisce a una esistenza in cui fioriscono coraggio e
meraviglia.
Gesù
incontra un mendicante cieco, un naufrago della vita, un relitto. E si ferma,
si china su di lui. Il cieco non lo ha chiamato, non lo ha fermato, non ha
chiesto nulla. Ma Gesù lo ha visto.
Ha
occhi che sono l’opposto di quelli del cieco. Ha occhi che vedono in
profondità, occhi come dice il vangelo di
lucerna, che là dove si posano non solo vedono ma depositano, irradiano
luce come fa una lucerna accesa. Questo di Gesù è l’unico sguardo
autenticamente umano. Perché?
Il grande teologo J. B. Metz lo spiega
così: “Nel vangelo il primo sguardo di
Gesù non si posa mai sul peccato, ma sempre sulla sofferenza della persona”
(J. B. Metz). Umano perché fa emergere l’uomo e non le sue colpe. Ma il suo
futuro.
Gesù
vede e si china per sua scelta, non perché invocato; si china prima ancora che
il grido salga alle labbra, prima ancora della fede, perché Dio guarda il
cuore, vede che ha fame e offre il suo pane di luce.
Anche
su di me Dio si china, e il suo sguardo acceso cerca non le mie colpe, ma le
mie lacrime e avvolge la mia impotenza con la sua benevolenza.
La
parte centrale del Vangelo è tutta un agitarsi di parole, tutti ad attaccare o
a difendersi, a parlare senza sosta e senza gioia, a spiegare, a ironizzare, a
minacciare, a insultare.
Gesù non ci sta. Scompare, si sottrae, lui non respira quest’aria
sbagliata. Lui guarisce e lascia libero.
Ma in questo conflitto tra
l’ideologia fredda dei farisei e la vita nuova e potente del cieco, nello
scontro tra i funzionari delle regole e il portatore di una eccezione più viva
di tutte le regole, mi colpisce una parola.
Il
termine che ricorre più spesso negli argomenti dei farisei è “peccato”: “Sappiamo che sei peccatore; sei nato tutto
nei peccati; se uno è peccatore non può fare queste cose” . Anche i
discepoli avevano chiesto da subito: “Chi
ha peccato? Lui o i suoi genitori?”.
Il
peccato è innalzato a teoria che spiega il mondo, che interpreta l’uomo e Dio.
Il perno attorno cui ruota la storia, tutto si muove.
Gesù
non ci sta: “Né lui ha peccato, né i suoi
genitori”. Si allontana subito, immediatamente, con la prima parola, da
questa visione e mostra come ci renda ciechi su Dio e sugli uomini.
Molta
religione è rimasta prigioniera dentro questa ottica farisaica, e immagina la
vita come un lunghissimo processo dentro l’aula di un tribunale. Quante volte ho
sentito dire: Cosa ho fatto di male per
meritarmi questa disgrazia? Perché Dio mi ha castigato?
Tante persone vivono come in
un ergastolo interiore. Schiacciate da sensi di colpa a causa di errori
passati, e abortiscono l’immagine divina che preme in loro per crescere e
venire alla luce.
Gesù non ci sta, apre le
porte delle nostre prigioni, smonta i patiboli su cui spesso trasciniamo noi
stessi e gli altri. Sa bene che solo uomini e donne liberati e perdonati
possono dare libertà e perdono.
Gesù
capovolge la vecchia mentalità, non parlerà di peccato se non per dire che è
perdonato, cancellato. Per assicurare che Dio non spreca la sua eternità in
castighi, non spreca la sua onnipotenza in vendette.
E incarna
un volto di Dio che non può essere immiserito sul nostro moralismo. Il vangelo
non è moralista. È lieta notizia per il pover’uomo che io sono e che ha fame di
cielo e di amore.
Dio
non è moralista, perché il peccato non rivela Dio e non spiega l’uomo. Non possiamo
immiserire il vangelo sull’asse peccato-perdono.
Il
Gesù del Vangelo è compassione, futuro, approccio ardente, mano viva che tocca
il cuore e lo apre, che tocca gli occhi e porta luce, tocca e fa nascere, amore
che fa ripartire la vita. Ben più del perdono è venuto a portare Gesù: è venuto
a portare se stesso!
Esiste
una religione, esistono ministri di Dio, funzionari
delle regole e analfabeti del cuore, che mettono Dio contro l’uomo ed è il
peggio che possa capitare alla nostra fede. Dicono: “Gloria di Dio è il
precetto osservato!”
E
invece no, gloria di Dio è l’uomo vivente, è un cieco dato alla luce. E il suo
lucente sguardo dà lode a Dio più di tutti i sabati!
Ed
è una dura lezione: i farisei mostrano che si può credere in Dio senza essere
buoni; che si può essere ministri di Dio e non avere pietà; è possibile
‘operare’ in nome di Dio e andare contro Dio.
Simone
Weil ha una stupenda intuizione quando scrive: “Mettere la verità prima della persona è l’essenza della bestemmia”.
Io profano il nome di Dio se metto la mia verità sopra o contro la vita di un
uomo. Insulto Dio, lo bestemmio se ricopro di teorie religiose il dolore.
Dell’uomo, dell’ultimo uomo, di un mendicante cieco. Il Signore ci doni i suoi
occhi profondi, quella luce che invoco su me e su voi conl’antica benedizione
armena: Signore, metti luce nei miei pensieri,
luce nelle mie parole,
luce nel mio cuore.
Preghiera
Signore Gesù, luce amante,
Tu, luce discreta,
necessaria,
dimenticata, amabile,
Tu che fai vedere i volti,
che tocchi ma resti mistero,
Tu luce che fai comprendere
e splendi nelle azioni
buone,
Signore, fa’ che io veda!
Ho occhi e non vedo,
orecchie e non ascolto,
ho mani e non so
accarezzare.
Tu, luce del mio notturno
deserto interiore,
tu, bastone cui appoggio la
mia fatica,
stella accesa sulla valle
oscura,
Tu che rendi luminoso il
giorno
e illimpidisci il cuore,
guariscimi,
donami occhi profondi come i
tuoi.
Metti
luce nei miei pensieri,
luce
nelle mie parole,
luce
nel mio cuore. Amen.