EPIFANIA DEL SIGNORE 2013
Mt 2, 1-12
Epifania, festa dei lontani, festa dei cercatori di
Dio. A Natale è Dio che cerca l’uomo, all’Epifania è l’uomo che cerca Dio.
Anche noi, cercatori mai arresi, domandiamo il dono di saper alzare gli occhi,
come raccomanda Isaia, la forza per rimetterci in cammino dopo ogni errore,
come insegnano i Magi.
Signore Gesù, stella delle nostre notti, per tutta la notte che
perdura nei pensieri, nelle parole, nel cuore, Kyrie eleison
Signore Gesù, stella del mattino, che sorgi nel cuore di chi
che ti cerca senza arrendersi, Kyrie eleison
Signore Gesù, sole che vieni a illuminare chi giace
nelle tenebre, per quando non sappiamo rialzarci e rimetterci in cammino, Kyrie
eleison
Matteo
con la parabola dei Magi, così ricca di colori e di sorprese, ci racconta la
cronaca dell’anima eterna dell’uomo che cerca.
È
la festa dei cercatori di Dio, dei primi pellegrini dell’Assoluto.
Festa di speranza: C’è un Dio dei cammini, dei cieli
aperti, delle dune infinite, dell’immensità, un Dio che ti da spazi aperti e ti
fa respirare. Che sta in una casa e non nel tempio. In Betlemme la piccola, non
in Gerusalemme la grande.
Speranza per tutti: l’annuncio arriva non solo ai
pastori e ai poveri, ma anche agli intellettuali, ai sapienti, ai colti, se
hanno occhi e cuore.
Speranza che Erode può opporsi alla verità,
rallentarne la diffusione, ma mai bloccarla, essa vincerà, anche se è debole
come un bambino.
Un
giorno di speranza e di contrapposizioni:
da
un lato un’umile casa e dall’altro una reggia arrogante;
la
grande città murata, e gli spazi aperti dei viaggiatori;
i
Magi, ben vivi perché cercano, gli scribi spenti, perché non si muovono;
un
bambino inerme e un re che lo vuole uccidere;
gioia
grande e grandi paure.
Tutt’altro
che una storia sentimentale, è una vicenda drammatica, che si conclude con la
fuga dei magi verso Oriente, di una famigliola verso l’Egitto, una strage
d’innocenti. In cui si riflette il dramma di milioni e milioni di profughi
terrorizzati in cerca di una terra d’asilo.
Proviamo a percorrere
anche noi il cammino dei magi come una cronaca dell’anima.
Il primo passo lo indica Isaia nella prima lettura: “Alza il capo e guarda”. La vita è
alzarsi, uscire da sé, guardare in alto, inseguire un sogno, cercare un
pertugio di cielo e poi da lassù guardarsi, interpretare la nostra vita a
partire dall’alto: terra senza cielo è
solo argilla, terra con cielo è giardino. Il primo passo: aprire le
finestre di casa ai grandi venti della storia. E alle stelle.
Il secondo passo è camminare. Vediamo i
Magi sempre in viaggio, arrivare e ripartire per un’altra strada. Dicono a noi
di non smettere mai di cercare strade
nuove per il futuro buono del nostro mondo, per evitare gli Erodi della storia
e del cuore.
Per trovare Cristo: trovarlo vuol dire non smettere
più di cercarlo.
Viaggiando con l’intelligenza e con il cuore, non
tanto di libro in libro, come scribi spenti, ma di persona in persona: siamo noi,
siete voi, chi ci aspetta a casa, noi la più bella epifania di Dio. Che in
ognuno di questi volti ha lasciato cadere un frammento di cometa, un brillio
d’infinito.
Il terzo passo è cercare insieme. La
tradizione parla di tre Magi, ma il vangelo dice ‘alcuni’: sono una piccola
comunità, un piccolo gruppo dove la fede di ciascuno sostiene quella degli
altri: camminano insieme, attenti
alle stelle e attenti l’uno all’altro.
Sanno fissare il cielo e gli occhi delle persone.
Il quarto passo è non temere gli errori.
Il cammino dei magi è pieno di sbagli: arrivano a Gerusalemme anziché a
Betlemme; parlano del bambino con l’uccisore di bambini; perdono la stella,
cercano un re e trovano un bimbo in braccio a sua madre. Eppure non si
arrendono ai loro sbagli. Il nostro dramma, non è tanto sbagliare, lo facciamo
come i santi del vangelo, ma arrenderci ai nostri sbagli.
Possiamo cadere 7 volte, ma rialzarci 8 volte. E
continuare a interrogare, ma non come scribi che sanno e non fanno, perché non sentono. Altro è sapere, altro è sentire.
Interrogare invece come bambini. Con uno sguardo semplice e affettuoso. Che non
teme gli alti e i bassi della vita, perché ha la mano nella mano del padre.
Infine, quinto momento, adorare e donare. Il dono più prezioso che i Magi
portano non è oro o mirra, ma il loro stesso viaggio lungo quasi due anni. Il
dono è il loro desiderio capace di attraversare deserti e città.
Dio desidera che abbiamo
desiderio di Lui. Dio ha sete della nostra sete di Lui. Il regalo più grande che possiamo fare
a Dio è la nostra sete di Lui. Senza la paura di Erode, senza l’indifferenza
degli scribi, con la sete dei magi.
P. Turoldo canta: “Magi, voi siete i santi più nostri!” Nostri perché
all’inizio sono lontani dal Signore, come lo siamo noi; perché mostrano che si
può arrivare a Lui per mille strade, non ce n’è una sola; ognuno ha la sua strada,
anche chi non legge la Bibbia.
Sono i santi più nostri per il loro
misterioso strabismo: camminano con i piedi per terra e con gli occhi nel
cielo, mostrando che si avanza davvero solo quando si decide non in nome delle
paure, ma seguendo il cuore; non in nome delle difficoltà, ma portati dal
desiderio e dal futuro.
“Entrati
nella casa videro il Bambino e sua Madre e prostratosi lo adorarono”.
Adorare un bambino. C’è qui una lezione misteriosa: non adorano un Crocifisso,
non un uomo risorto, non un grande saggio dalle parole di luce, un giovane
vigoroso, semplicemente un bambino in braccio a sua madre.
Nel mondo, nella storia la cosa più vicina a Dio è
la carne di Gesù, ora bambino. Non solo Dio è come noi, non solo è con
noi, ma è piccolo fra noi. Non si può
amare la divinità di Cristo se non amando prima la sua umanità.
Ma oggi vorrei riscattare le
parole di Erode “Informatevi con cura del
Bambino e quando lo avrete trovato fatemelo sapere perché venga anch’io ad
adorarlo!”. A ucciderlo! Erode inchiodato al suo trono, diventa uccisore di
sogni ancora in fasce. Erode è dentro di noi, è quel cinismo, quel disprezzo,
quelle paure che in noi distruggono i sogni del cuore.
Vorrei riscattare queste parole dalla loro profezia di morte e
ripeterle all’amico, al teologo, all’artista, al poeta, allo scienziato,
all’uomo della strada, a ciascuno di voi: hai trovato il Bambino? Un Bambino che ha al suo comando stelle per
tutti i cieli e su tutte le terre (A. Casati).
Ti prego, cerca ancora,
accuratamente, nei libri, nell’arte, nella storia, nel cuore delle cose, cerca
nel Vangelo, nella stella e nella parola, cerca nelle persone e in fondo alla
speranza, cerca ancora con cura, fissando gli abissi del cielo e gli abissi del
cuore, e poi fammelo sapere perché venga anch’io ad adorarlo.
E voi fratelli, dovreste
dire e ripetere a noi preti: informatevi sempre più accuratamente, cercate di
conoscere sempre meglio quel Bambino, fatecelo sentire vivo e vero, fatecelo
sentire vicino, così che anche noi lo possiamo trovare e vedere e sentire. Aiutateci
a trovarlo e verremo, con i nostri piccoli doni, con tutta la fierezza
dell’amore, con i nostri sogni salvati dagli Erodi della storia e del cuore.
Preghiera alla comunione
Oro
incenso e mirra portano i Magi,
non
fiori, giocattoli o dolciumi,
l’oro
della nostra obbedienza,
l’incenso
della nostra adorazione,
la
mirra delle angosce, delle delusioni.
Il
prezioso, il sublime e l’austero,
il
nobile, il divino e il tragico,
in quel Bambino c’è tutto questo.
E
io Signore, io che vengo da lontano,
per
strade accidentate
quale
dono posso offrirti?
Il
tesoro che ti dono è la mia vita, Signore,
e
che sia semplice e dritta come un flauto
perché
tu la possa riempire con la tua musica.
La
mia vita, Signore,
perchè
sia argilla tenera fra le tue mani
e
tu possa darle la forma che vorrai.
La
mia vita, Signore,
perché
sia un seme libero nel vento
e
tu possa seminarlo dove vorrai,
e
possa fiorire per i fratelli e per te.