II DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE  anno B

Isaia 56,3-7; Ef 2,11-22; Luca 14,15-24

 

Benvenuti alla messa della comunità. ‘In principio il dono’, assicura il
Vangelo con la Parabola dell’invito a una grande cena. Noi che abbiamo
accolto l’invito, che siamo qui attorno a una Mensa, di pane di luci di fiori
di parole buone, che è l’altare, ringraziamo e domandiamo il dono di un cuore
che sa cambiare, accogliente e poi donatore.

Dice il Signore: Tutto è pronto, venite! Per tutti gli inviti di Dio che abbiamo rifiutato, per
il disinteresse verso le cose dell’interiorità, Kyrie eleison

Dice il Signore: cerca nelle piazze, nelle strade,
lungo le siepi!
Noi siamo così, talvolta mendicanti, talvolta sazi; spesso
indifferenti e poi di colpo affamati, perciò Kyrie eleison

 Dice
l’apostolo: Cristo ha abbattuto il muro di separazione, l’inimicizia.
Per noi che distinguiamo, separiamo, escludiamo, innalziamo
muri nella chiesa e nella società, Kyrie eleison

 

OMELIA

 

Vorrei
iniziare la nostra ricerca sul messaggio di questa parabola partendo non
dall’inizio, ma dal fondo, dalle ultime parole dove è espressa la motivazione
di questa cena, la grande motivazione detta così: ‘perché la mia casa sia piena’. Disse al servo: esci per le strade e le siepi e costringili ad entrare perché questa
casa si riempia.

Dio sogna una casa piena, piena
di volti in festa.

Il
suo problema non è la gioia di essere obbedito o l’offesa di essere rifiutato,
ma siamo noi, fuori della festa o dentro la festa.

Il
signore della grande cena vive come suo il fallimento degli invitati. Ma
una sconfitta non lo abbatte, a un secondo risultato insufficiente, non si
arrende ancora. Ha fantasia e rilancia: “Andate fino in fondo alle strade”.
Neanche Dio può stare solo, scriveva p. Turoldo
. La grande cena non ha
altro motivo che la nostalgia di un abbraccio grande come le mura di casa. Di
una casa a sua volta calda come un cuore.

C’è rimasto ancora posto, dice il servo. Nessuno gliel’ha detto, lui l’ha
capito da solo che il problema non è un signore che si sente offeso, ma il
desiderio di offrire pane e vita, e che nessuno si senta escluso e che nessuno
vada perduto. E poi c’è questa sofferenza perché il dono non è desiderabile,
non interessa a nessuno. Eppure è a favore dell’uomo.

Mi
domando: Come fare anche noi per rendere il cristianesimo desiderabile? Molti
lo hanno lasciato perché non appariva umanizzante. Aiutare a credere passa per
la capacità di proporre un annuncio a favore dell’uomo. Come la cena del
vangelo.

Esci per le strade e lungo le siepi…e
costringili ad entrare.
Lascia la
città, vai nelle campagne, in cerca dei più marginali, dentro quella perdutezza
del vivere che ci colpisce…Non si arrende, non permette ai suoi servi di
arrendersi, e rilancia la sua azione una prima, una seconda, una terza volta.
Mi piace questo Signore.

Al
servo aveva già dato un ordine analogo: esci
subito, subito notate l’amore ha sempre fretta, rastrella la città e conduci qui poveri ciechi, storpi, zoppi. I
mendicanti, quelli che da soli non ce la fanno, che cercano un aiuto cui
appoggiarsi, che non hanno nulla da restituire.

Questi
vengono, ma non bastano a riempire il vuoto di Dio. Allora, dice, vai fuori dalla città, da quelli che non
aspettano e non chiedono più niente, lungo le strade e le siepi, sorprendili, e
obbligali a entrare. Non certo con la forza o con la violazione, ma con la
bellezza della proposta. È noto quanto si sia abusato lungo i secoli di questa
frase: obbligali ad entrare. Costringili, non per costrizione ma per seduzione
di un annuncio che è favore dell’uomo.

Risaliamo
la parabola e arriviamo all’inizio: un
uomo diede una grande cena e fece molti inviti. Grande cena, molti inviti,
mi colpisce il suo sognare in grande. È commovente questo signore, per lui la
cena è grande, per lui gli inviti
sono molti.

Il primo messaggio della
parabola, è il volto di Dio: la nobiltà, la generosità, l’anima grande, il suo
bisogno di dare, in gratuità totale, il suo essere a favore.

E
il servo ad avvisare: venite è tutto
pronto. Le scuse accampate dagli invitati sono più o meno valide, ma non sono
il vero problema. Il fatto è che i primi invitati sono pieni, completi, sazi: non
lasciano neppure uno spiraglio aperto al venire di Dio. Sono sufficienti a se
stessi. Non hanno bisogno d’altro.

Benedetto
rifiuto però, perché permette l’esplodere di un moltiplicarsi di inviti, uno
slancio verso i confini, l’abbattimento di barriere ed esclusioni, l’abbraccio
che non esclude nessuno.

  E qui è contenuto il
secondo messaggio della parabola: Gesù ha sperimentato che il suo annuncio,  la sua offerta non è neppure presa in
considerazione da sacerdoti, scribi, farisei; loro hanno Mosè, la legge e i
profeti, non sentono bisogno d’altro. Gesù allora si rivolgerà a pescatori, a
pubblicani, a donne; e questi a loro volta, si slanciano oltre Israele, verso i
pagani, che nella parabola sono rappresentati da quelli fuori della città,
quelli lungo le siepi.

Il
destinatario della parabola sono io: ho mantenuto aperta una feritoia per la
proposta del vangelo? La fede è questo: una fessura aperta per il venire di Dio
in me.

Io ho i miei campi, le mie
cose, la mia famiglia – e non c’è colpa in questo, sono tutte cose buone,
sacrosante – ma ho solo il mio piccolo mondo privato? E le piazze, le strade,
le siepi del mondo? Mi importa qualcosa della casa grande che è il mondo?

Dio ti tira fuori, ti manda
fuori. Con un messaggio: nessuno deve essere escluso da un progetto che è tutto
e solo a favore dell’uomo.

Grande la prima lettura di
Isaia, dove anche le categorie più escluse, quelle della massima  perdutezza, vengono incluse. Non dica l’eunuco, ecco io sono un albero
secco. Perché dice il Signore: agli eunuchi io concederò, dentro la mia casa,
un nome più glorioso che figli e figlie. E lo straniero non dica: io sono
escluso. Io lo condurrò sul mio monte santo e la mia casa sarà casa di
preghiera per tutti i popoli.

L’amore cristiano è un amore
sempre meno selettivo, che non vuole escludere nessuno. Né eunuchi né stranieri
né immigrati né dubbiosi né perduti…

La misura dell’accoglienza è
la misura di Cristo, che non ha mai mandato via nessuno, che, dice Paolo nella
seconda lettura, ha abbattuto il muro di
separazione, cioè l’inimicizia che ci divideva. Se io escludo qualcuno dalla
comunione, se alzo muri, in realtà io escludo me stesso dalla comunione con
Cristo.

Quelli
che hanno accolto l’invito di Cristo dove li trovi? Tra coloro che non si
chiudono nel loro privato, tra coloro che sognano in grande, che abitano la
terra come un’unica casa di tutti, tra quelli che riprendono ad abbattere i
muri che altri rialzano, instancabili come il loro Signore. Coloro che rendono
più affettuosa la vita.

Questo Dio è così bello! Un
Dio che non si scoraggia quando trova un ostacolo, che insiste quando il suo
sogno è rifiutato, che anziché rimpicciolire le attese le allarga. Parla a noi
che ci arrendiamo così facilmente davanti alle difficoltà, che ripieghiamo le
bandiere della speranza di fronte alle prime resistenze. Dio no! Lui apre,
allarga, gioca al rilancio, va più lontano; e dai molti invitati passa a tutti
invitati: “Andate per la città e fuori le mura, e tutti quelli che
troverete, chiamateli alla festa!”

Lo pensiamo spesso come un
Re che ci chiama a servire e invece è Lui che ci serve.

Lo prendiamo come un
legislatore che emana editti da osservare e invece emana inviti.

Lo pensiamo come uno che
pretende e invece è il grande che non prende niente e dona tutto.

Noi pensiamo che Dio stia
bene soltanto con i buoni e invece sta bene anche in compagnia di gente poco
raccomandabile. Come noi.

Lo pensiamo come un Dio
onnipotente e lo scopriamo vulnerabile davanti alla libertà dell’uomo.

Questo
è il mio Dio, il mio Dio desiderabile, il solo che io
servirò perché è il solo che si è fatto mio servitore.

 

Alla comunione:

Dice il Signore: vengo a cena da
te

Vengo a piedi nudi

Vengo per toglierti la paura

E riaprirti allo stupore.

 

Vengo a cena da te

Per ricordarti che hai avuto più
volte

Una seconda possibilità

Che quando ami sei anche fragile.

 

Vengo a cena da te

Per spezzare il pane

E ricordarti che la vita

Va aumentata e condivisa e
consumata

 

Vengo a cena da te

Per aprire la strada alle parole

E portare il tocco di Dio

Che salva la tenerezza del
vivere.