I DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DI
SAN GIOVANNI – ANNO B
Is 29, 13-21 – Eb 12, 18-25 –Gv 3,25-36
Inizia
oggi la serie delle domeniche dopo il martirio dell’ultimo dei profeti, un
tempo che ci condurrà fino alla terza domenica di ottobre, festa della
Dedicazione del nostro Duomo. Sembra che la liturgia ci aiuti, attraverso il
Battista, a fare memoria viva del nostro ultimo grande maestro e profeta, il
cardinal Martini. Che ci ha avvicinato al Signore Gesù, che ha aperto squarci
di cielo, che con noi è stato mendicante di luce, che ha indicato sempre oltre
sé verso la Parola di Dio, che è stato soglia aperta sul mistero, aperta
sull&rsqursquo;uomo. Chiediamo perdono se abbiamo dissipato, sperperato i nostri profeti e i segni dello Spirito.
Dice il Profeta:
Questo popolo mi onora con le labbra. Per quando la nostra preghiera si riduce a formule stanche, a gesti
pomposi, a un dire senza gioia e senza convinzione: Kyrie eleison
Questo popolo si
avvicina a me solo con la sua bocca! Per quando ti prego senza cuore, solo per paura o per ottenere qualcosa:
Kyrie eleison
Questo popolo ha il
cuore lontano da me. Per il mio
cuore lontano, per quando mi isolo e mi separo da Te, dagli altri, dalla mia
coscienza: Kyrie eleison
Omelia
Giovanni campeggia nel Vangelo di oggi. Giovanni che
danzava nel ventre di sua madre al solo udire la voce di Maria, ucciso per la
danza di una ragazza crudele; Giovanni voce possente come il sole del deserto, ucciso
nel buio delle segrete di Erode.
Alcuni discepoli vengono,
dice il Vangelo, “dove lui ancora battezza”, allarmati e irritati perché
considerano Gesù come un rivale. “Ecco, Tu l’hai favorito! Gli hai mandato dietro la gente, e ora quello
– notate come ne parlano in tono dispregiativo, senza mai nominarlo – ora
quello ti fa concorrenza sleale!”
Le gelosie, le meschinità di
sempre: non si chiedono se quelli che vanno da Gesù hanno fatto dei passi
avanti nella vita dello spirito, no, ma se aderiscono a quel gruppo, mentre il
nostro si assottiglia; se quello non
lo nominano neppure, se quello fa più discepoli di Giovanni, ha più attrattiva.
Idolatria dell’appartenenza, del gruppo, del numero.
Giovanni offre un’altra
grande lezione, valida per la chiesa di oggi: che cosa ci interessa? che appaia
e si parli della chiesa o che si parli di Gesù, che appaia un Altro? Poniamo
Lui come l’assoluto o le nostre istituzioni? La bellezza di chi si fa da parte,
la bellezza di una chiesa che non occupa spazi ma apre visioni.
Il Battista l’ha capito bene
e lo esprime con parole nuove e inusuali. Abbandona le immagini a lui così care
di fuoco, di pula sollevata al vento, di radici tagliate con cui scuoteva le
coscienze, e parla di Gesù come dello sposo: “l’amico dello sposo – e
parla di se stesso – esulta di gioia alla voce dello sposo”. L’asceta
del deserto sa adesso parlare di amore, sa gustarne le sfumature felici: La mia gioia adesso è piena.
Questo versetto che abbiamo
proclamato insieme all’Alleluja, è il centro del brano di oggi. L’ultimo dei
Profeti, l’amico, indica la porta di ingresso al mistero di Gesù. L’oggetto
della fede cristiana non è una dottrina, non una morale, non una ascesi, è
una persona che rivela in sé l’amore incredibile di Dio.
Giovanni fa qui una
professione di fede di una profondità grandiosa, e lo fa con parole di tutti i
giorni, quelle dell’amicizia, della gioia, di sposo e sposa; fede, scandalosa e
gioiosa: perché nella Bibbia il nome di sposo è attribuito a Dio solo. Isaia
proclama: “Il tuo sposo sarà il tuo Creatore” e Osea: “Ti farò mia
sposa per sempre, nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e
nell’amore!”
Per
capire meglio ci fermiamo a questo oracolo dolce e potente di Osea . Il Signore
gli aveva ordinato: “Prenditi come moglie una prostituta”. E Osea aveva compiuto questo gesto strano,
illogico e simbolico voluto da Dio. Ma poi la moglie era tornata a prostituirsi
come prima del matrimonio. E il profeta, bocca di Dio, ritorna a parlare a
questa donna amata e traditrice con parole incredibili: “Io tornerò a
parlare al suo cuore, la farò mia sposa per sempre, nell’amore, nella fedeltà”.
La
vicenda di Osea con la sua donna è simbolo della vicenda di Dio con il suo
popolo: quelle parole sono rivolte a me, a ciascuno di noi, da un Dio che non
si arrende ai miei tradimenti, che mi considera sempre, nonostante tutte le
infedeltà, meritevole d’amore, un Dio che mi desidera. Capace di amare
l’inamabile.
I
Profeti con l’immagine dello sposo dicono: tu sei il desiderio di Dio. Dio
desidera te, nonostante la tua
storia di slealtà e di inganni, di te Dio non è stanco.
Ti
farò mia sposa per sempre, nella benevolenza e nell’amore . Grande cosa la benevolenza, ma a Dio non basta, e
aggiunge: mia sposa nella giustizia e nel diritto. Non solo per il
perdono, non soltanto per la misericordia, tu sei sposa con un diritto intatto,
con una giustizia rispettata. Che nessuno possa umiliarti, mia sposa, dicendo
che è soltanto per condiscendenza del cuore grande di Dio. No, tu hai diritto
intatto, tu hai giustizia integra e innocenza. Non una prostituta perdonata è
la tua anima, ma una ragazza giovane e amabile, una vergine di nuovo innocente.
E il peccato non ha più né casa né memoria. Dio crea un cuore nuovo. Lo crea
come il vasaio di Isaia della II lettura, plasmando e modellando. E noi argilla
tenera nelle sue mani, non indurita o irrigidita, ma tenera creta che sa
prendere forma, la forma che Dio vorrà, lui che modella e rimodella la nostra
vita riversando amore.
Sulla
linea dei profeti antichi anche Giovanni, il più grande fra i nati da donna,
non propone più un concetto penitenziale dell’esistenza ma un concetto nuziale.
Vivere è amare ed essere amati. Dio è autorizzato a proporsi a noi per questo,
perché conforta e rafforza e fa gioire la vita.
Potessimo,
allora, anche noi passare dal concetto penitenziale della vita, da un rapporto
con Dio basato su divieti e mortificazioni e doveri, ad un concetto nuziale
dell’incontro con Lui, sotto il segno dell’esultanza, della gratitudine, della
lode. Da Dio come dovere a Dio come desiderio.
E
c’è una alternativa su cui vegliare sempre, quella che anche Giovanni ha
patito: se la mia fede sia figlia di una serie di negazioni, di una serie di no,
di complessi di colpa, di diffidenza verso il mondo e la vita, o se invece la
mia fede sia figlia di un cuore nuovo, di vino nuovo che è amore per la vita e
le creature, sia incremento di umano, accrescimento di umanità. Se abbia la
forza dell’ascolto o la forza del rifiuto. Alternativa antica quanto Adamo. Che
il nostro pastore Carlo Maria Martini ha sciolto creando attorno a sé sempre
dialogo e mai rifiuto. Con la forza dell’ascolto e non dell’esclusione.
La
grande novità entrata nella nostra storia è lo Sposo: il Signore si presenta
non come Messia conduttore di eserciti, ma come sposo. Come Lui siamo chiamati
non a conquistare il mondo ma ad amarlo.
E
se vivere è amare, anche Dio vive perché ama. L’amato è la vita di colui che lo
ama. La sposa è vita per lo sposo. Allora diciamolo, un po’ tremando, anche noi
siamo vita per Dio. Tu sei la mia vita, canteremo. È la nostra dichiarazione di
fede, ma dentro vi suona come un sussurro dall’alto che mi raggiunge e mi fa
tremare il cuore. Dio dice a me e a te, a ciascuno: tu sei la mia vita.
È questo amore impossibile che rende
l’innocenza, che rende vergine la vita.
PREGHIERA ALLA COMUNIONE
Sei in me, Signore,
lieve come un’ala,
forte come un abbraccio.
Sei in me, venuto non a
sistemare le cose ma ad amarle.
Venuto non a cambiare il
mio vestito ma a cambiarmi il cuore.
Venuto a proporre non ad
imporre,
a risvegliare non a condannare.
Tu che ami l’innocenza e
la ridoni,
Tu che fai vergine di
nuovo la mia vita.
Tu vieni come uno sposo
e io preferivo, ma per gli
altri, un giudice potente;
Tu vieni come un
innamorato
e io preferivo uno che
mettesse a posto gli arroganti.
Dico: Signore, il mondo
ha problemi, bisogna risolverli
e Tu vieni come un
abbraccio.
Ti prego, donami un po’
della fede di Giovanni, l’amico,
di Giovanni la voce,
solo un granello di senapa di quella fede
perché mi senta chiamato
non a conquistare il mondo
ma ad amarlo, anch’io
sposo
di tutto ciò che vive.