In un paese a pochi chilometri da quello di Elia, risiedeva Adriano, un ricco proprietario terriero che passava il suo tempo a cercare l’occasione giusta per comprare a buon prezzo altri appezzamenti di terreno e case. Aveva un ottimo fiuto per gli affari. Quando non riusciva negli affari si rattristava, ma poi riprendeva ad accumulare il più possibile.
Per questo trascurava la moglie ed i suoi tre figli, ai quali dava il necessario per vivere, ma non l’attenzione e l’affetto. I famigliari si lamentavano per questo suo avido comportamento, ma le cose non cambiavano mai.
Decisero, allora di recarsi da Elia per ricevere un consiglio. Elia li ascoltò. Poi, congedandoli, disse loro: “Datemi del tempo per riflettere su quello che posso realmente fare per voi”.
Dopo qualche giorno decise di invitare Adriano a bere un caffé a casa propria.
Adriano, nonostante ritenesse l’invito una stravaganza del vecchio ed una perdita di tempo per i suoi affari, accettò la proposta perché sapeva bene che il saggio aveva anche certe importanti conoscenze che potevano fargli comodo.
Arrivato il giorno prestabilito si recò da Elia, il quale lo accolse garbatamente e lo fece accomodare su una modesta sedia del suo salottino. “Come vanno le cose?” – Chiese Elia.
“Gli affari abbastanza bene. Finalmente posso dire di essermi realizzato” – rispose Adriano. “Ma percepisco che ancora non sei del tutto soddisfatto” – osservò Elia.
“Beh.. ho in mente altri affari, che se mi vanno in porto, potrò stare più tranquillo” – disse Adriano.
“Ne sei sicuro?” – chiese Elia.
Adriano cominciò a temere interiormente. Quella domanda lo inquietava perché sospettava che il saggio fosse anche un po’ veggente. “Ho il fiuto per gli affari” – ribadì Adriano pensieroso.
“Vieni a vedere una cosa” – disse Elia con espressione del viso e tono di voce rassicuranti.
Lo portò presso il suo porcile, diede del cibo al maiale dicendo: “Diventa sempre più grasso. Ma farà la fine di tutti gli altri”.
Poi lo portò in cantina ed indicando i salami appesi gli disse: “Ecco dove è finito il suo predecessore!”
Adriano era un po’ imbarazzato e si chiedeva che cosa significasse realmente quel comportamento. Riprese Elia: “Quell’animale ha pensato solo a mangiare, ed ora è a sua volta mangiato. Ma l’uomo non vive di solo pane.
Ognuno di noi ha iniziato a vivere con il concepimento ed era minuscolo nel ventre materno. Poi c’è stata una crescita proporzionalmente enorme fino alla dimensione fetale. Dopo la nascita la crescita è continuata fino all’età adulta e con la vecchiaia il corpo muta e un po’ si ridimensiona. Secondo te da dove provengono tutti gli atomi che formano il nostro corpo?” “Da quello che mangiamo, beviamo e respiriamo – rispose Adriano.
“Possiamo considerarli completamente nostri?” – Chiese Elia
Adriano, dopo un momento di esitazione, rispose: “Dal momento che entrano a far parte del nostro corpo, direi di sì”
Elia osservò: “Le prospettive sono due: o ci mettiamo dalla parte dell’avere o da quella dell’essere.
La prospettiva dell’avere parte dall’espansione del proprio “io”, il quale si proietta su tutto ciò che pensa di accumulare in senso materiale. Colui che pensa in questo modo crede di “possedere” non solo il proprio corpo, ma tutto ciò che lo circonda e che dichiara “sua proprietà”. Non si rende conto però che alla fine è “posseduto” dalle cose. È chiaro che più cose si vuol possedere e più si è schiavi di esse, perché richiedono tempo e generano preoccupazioni, in modo tale che il vero “io interiore” non è libero come dovrebbe.
Colui, invece che si orienta dalla parte dell’essere, è consapevole che nulla è veramente suo: il corpo è in continua evoluzione perché prende in prestito dall’ambiente gli elementi necessari alla sua sopravvivenza. Quando si nasce si eredita il DNA dai genitori, si cresce grazie a loro e si impara una lingua che noi non abbiamo inventato, ma che è già pronta.
Chi ragiona dalla parte dell’essere è consapevole che quello che comunemente si ritiene “nostra proprietà” è semplicemente un “prestito”, proprio perché dovrà utilizzarlo per arricchire la propria interiorità con distacco. Infatti dovremo lasciare tutto con la nostra morte, persino il corpo terreno. I nostri atomi verranni dispersi per rientrare nel ciclo naturale terreno che continua il suo instancabile interscambio con l’ambiente. Nessuna entità terrena possiede “qualcosa”, semplicemente perché col tempo non dura. E di ognuno di noi rimarrà solo lo spirito immortale, il quale è di una natura inversa ed è ricco nella misura in cui abbiamo dato ciò che ci è stato prestato.
Chi invece vuole espandere il proprio io nel possesso, restringe la propria anima e ne blocca l’evoluzione. Semplicemente perché l’anima viene posseduta ed imprigionata da ciò che uno crede di possedere”
Adriano ascoltò con interesse le sue parole. Non aveva alcun argomento da contrapporgli.
Tornò a casa molto pensieroso, ma da quella volta in poi cambiarono molte cose nel suo atteggiamento e cominciò a dedicare più tempo ai suoi famigliari.