testo di Tarcisio Venuti

LA CHIESETTA DI SANT’ELENA A RUBIGNACCO DI CIVIDALE

di Tarcisio Venuti

Le origini

I dintorni di Cividale sono caratterizzati dalle superbe colline che si distendono dai sobborghi cittadini fino ad incontrare la pianura determinata dal Natisone. Il territorio è in gran parte vestito di vigneti che producono rinomati vini. Cividale oppidum celtico, prima di assurgere a forum romano, doveva essere circondato da fiorenti fattorie agricole, per cui spettava essere un importante centro commerciale.
Della preistoria non conosciamo granchè: non sappiamo chi abitasse la regione prima dei Carni, incolati nel V secolo a.C.
Il Friuli era una terra di passaggio e di commerci, quindi abitata anche prima dell’epoca celtica, come confermano le indagini e i reperti archeologici che continuamente si accrescono con nuovi rinvenimenti(1). L’arrivo dei romani e la centuriazione del territorio produssero dei miglioramenti nella condizione agricola e nei contatti sociali. Cominciarono a nascere e a prendere forma quei centri fondiari che con il loro suffisso in ano denunciano la loro lontana origine prediale e ricordano il nome dell’antico colono latino. Nei pressi di Cividale si trovano diverse località che rientrano in questo contesto. Accanto a queste, altri centri moderni con terminazione celtica in icco o in acco richiamano nomi di antichi indigeni romanizzati: Bottenicco da Butinius o Bultinius, Dernazacco da Terentius, Rubignacco da Rubinius. Sono talora semplici indicazioni toponomastiche, spesso, sufficienti per illuminarci sulla profonda trasformazione sociale avvenuta nel nostro comprensorio(2). Per cui, sia la toponomastica come l’archeologia risultano scienze affidabili per una corretta conoscenza del territorio.
Molti sono, naturalmente, i nomi di luoghi che ci attestano l’insediamento dei Carni (o Gallo-Carni), popolazione di ceppo celtico, la cui presenza è del resto ampiamente documentata dalle fonti letterarie(3). Si tratta di toponimi prediali, in cui il nome del proprietario è quasi sempre di origine latina (raramente carnico), mentre il suffisso è di norma celtico(4).
Il prof. Frau ci propone la scheda: Rubignacco, Cividale, già frazione ora via urbana, a.1172 in Rubiniaco, ecc (Corgnali), a.1192 de Rubignaco (di Prampero, p.166): toponimo prediale in
-acu da Rubenius (Pellegrini, Osservazioni, p.103) (5).
Il prof. Desinan osserva che Rubignacco deriva da Rubinius (6).
Il di Prampero ci fornisce un indice toponomastico della località Rubignacco: Rubignacum, Rubingacum, Ruvignacum, Rivignacum, Rovignacum-friulano = Ruvignàs, Rubignà = Rubignacco di Cividale. 1192-Ecclesiam de Rubignacco (Collezione BINI, IV.); 1211-in Rubinaco (Museo Civitatensia); 1243-in Rovignaso ( Monastero S.M.in Valle, II, 217); 1273-Bultinicus de Ruvingaco (id.275); 1275-Raclisius filius olim Johannis de Ruvingnaco (Thesaurus Ecc. Aquil., 169); 1276-de Ruvignacho (id.168); 1284-Johannes de Rubingaco (Mon.S.M.V. 170); 1289-in Rubignacho (id.,237); Zuannutus de Ruvygnaco (id.II, 237); 1295, 3 novembre-in Rubignaco in contrata noyatoran (sic) (Perg.Puppi); 1300-de Ruvignaco (Thesaurus Ecc. Aquil. 166, 167); Dietrusius de Rivignaco (Thes. Ecc. Aquil. 999) .”(7).
Il di Manzano ricorda sotto l’anno 1276 un Certo Zuannutto del fu Giovanni di Ruvignaco che confessò di avere a retto e legale feudo dalla chiesa di Aquileia un manso in villa de Puziolo, uno in quella di Mereto, e la decina di un manso in quest’ultima; mezzo un monte situato tra Prestento e Ronchis vicino a Lavoreto (dal Thesaurus ecc. Aquil. p.97). Sotto l’anno 1300 compare Zuanuto di Ruvignaco che riconobbe di aver in feudo Aquileiese l Manso in Meleret (il testo dice Meleryt); mezzo manso in Fiumicello, ed una braida in Ruvignaco (Thesaurus cit. p. 97). Nel settembre 1300 Dietrico di Rubignaco muore in battaglia nelle schiere patriarcali contro il da Camino sul Livenza ( Cronaca di Giuliano canonico, nell’Appendice de Rubeis, p. 29). Poi nel 1309 i Signori di Zuccola osteggiando i Cividalesi abbruciano la villa di Rubignaco e quella di Togliano ( Cronaca di Giuliano cit.) (8).
Per le fonti archeologiche si trascrivono alcune schede inerenti gli scavi e i sondaggi eseguiti in Rubignaco e dintorni e pubblicati del prof. Amelio Tagliaferri.
“Rubignaco: Tombe. Luogo già scavato da Michele Della Torre (1817-26) su terreno mappale 2571, ad uso oratorio-vitato (proprietà Comune di Rubignacco).Non fornisce precisazioni, ma solo 6 linee lungo la strada e sotto la chiesa corrispondenti a singole tombe o a una necropoli nel suo complesso (9). Fornace di Rubignacco: Tombe. Luogho già scavato da Michele Della Torre (1817-26) su terreno mappale 2549, ad uso oratorio-vitato, entro fondo detto ‘fornace’ ( proprietà G.B. Carli e fratello Antonio).
Non fornisce spiegazioni ma solo 6 linee lungo la strada, corrispondenti a singole tombe o/a una necropoli complessivamente (10). Rubignacco: Fornace. Luogo già scavato da Michele della torre (1820) nel cortile dei nobili fratelli de Portis, ove credette di aver individuato ‘vestige di essere fatta una fornace’. Non fornisce altre precisazioni (11). Rubignacco: insediamento 1983. Su terreno arrativo si rinvennero macerie romane corrispondenti ad un insediamento imprecisato (12).
Colombara di Rubignacco: insediamento 1820. Luogo già scavato da Michele della torre su terreni mappali nn. 2603, 2608, 2609, ad uso cortili ed orti di case (proprietà fratelli Carli). Si misero allo scoperto diversi muri (nei cortili) e oggetti diversi senza muri (negli orti), non che un mattone marcato L. DFV (gli oggetti disegnati appaiono di tipo ‘rinascimentale’). Un altro mattone marcato L. OB proviene forse da questo insediamento (M.N.C., n. 1037) (13).

La leggenda

Un’antica tradizione narra che S. Marco Evangelista, discepolo di S. Pietro, per suo ordine da Roma sarebbe giunto non solo in Aquileia, ma si sarebbe spinto fino a Cividale, l’antica Forum Iulii, e con la sua predicazione avrebbe convertito al Cristianesimo gli abitanti inducendoli ad abbattere le statue degli dei pagani per adorare il Cristo. A ricordo di ciò sarebbe stata innalzata la chiesetta di S. Marco in Rubignacco. Alcuni moderni critici farebbero derivare Rubignacco dal patrizio romano Rubenius Aecus, col suo praedium Rubeniacum. È certo che la sua origine è assai remota e che da tempi antichissimi esisteva qui una chiesa dedicata a S. Marco. Altri come lo Sturolo asseriscono che “questa denominazione, secondo tutti gli scrittori di Cividale deriva dal dio Rubrigo, che presiedeva a quella rubigine, che viene alle spiche del grano, detta in lingua friulana chiavuroncli (cjarvoncli,ma più propriamente ruzin dal forment = ruggine del frumento: Puccinia Graminis Pers.), nella qual villa era a’ tempi della romana superstizione un tempio o bosco sacrato a questa deità. Come si raccoglie dalla sottoscritta lapide trovata nel muro d’un vecchio forno in detta villa dal Nobil Homo Signor Ottaviano Manini, padrone di un gran parte d’essa villa, come egli stesso si protestò col nostro scrittore Locatello, e la fece murare sotto il portico della sua abitazione in quelle pertinenze, ed esiste ancora colà colla di lui sottopostavi iscrizione: DEO RUBI/ GO SACRUM, sotto poi NE RUBIGINOSA ESSENT/HOSPITIA OCTAVIANUS/MANINUS IUCUMDITATIBUS/ET AMICIS DICAVIT. Il lucidario poetico poi, a pagg. 90 e 230, mette altra deità presidente a dette spiche col nome di Nundino (nundinum = mercato, fiera)” (14).

Il Cristianesimo

Il Cristianesimo, com’è noto, precedette nella sua espansione con estrema cautela e con duttilità di adattamenti per imporsi, modellandosi fin dove era possibile sulle forme precedenti e piegandone le forme esteriori, anche qui gradualmente, ai nuovi concetti spirituali. E la liturgia operò in tal senso, in modo da non urtare violentemente le abitudini radicate fra le popolazioni, e più cautamente nei riguardi delle rustiche, naturalmente conservatrici, che in quelle urbane (15). A proposito della religione legata a Beleno (dio celtico), il Leicht ritiene non improbabile la presenza di un tempietto a questa divinità nella località che, appena a sud di Cividale presso il paese di Rualis, è chiamata San Bellino; in ricordo dell’antico culto si sarebbe in questo caso trasmesso nella tradizione e nella voce cristiana (16). E a Cividale c’era la chiesa di S. Maria di Loreto e dei santi Bilino e Quirino. E fuori dell’area cittadina abbiamo notizia dell’esistenza di una piccola basilica paleocristiana nella collina di S. Pantaleone, ricordata per importanti ritrovamenti di epoca romana (17). Sappiamo che parecchi Fani del paganesimo, dislocati nei dintorni di Forum Iulii, erano stati trasformati in sacelli cristiani.
L’accostamento dei Longobardi verso la chiesa di Roma fu determinato dal passaggio di costoro dall’arienesimo al cattolicesimo, anche se questo passaggio fu molto sofferto dalle fare longobarde friulane. In questo tempo nel compresorio cividalese, ci fu un fiorire di cenobi e monasterioli: S. Pantaleone in Rualis, S. Giovanni d’Antro nelle valli del Natisone, la “cella S. Martini” situata a Cividale sul luogo dove nel secolo XIII sorse il monastero benedettino della Cella, S. Giovanni Battista di Firmano, S. Maria in Zuccola a Cividale (18). Con l’occupazione franca nel 776, termina la funzione del ducato longobardo del Friuli; mentre con l’ascesa di Paolino II a Patriarca, la vita religiosa assume nuovi orientamenti. La vitalità di S. Paolino trova riscontri nella organizzazione liturgica e nell’attività missionaria verso gli Slavi (19). La stessa chiesa di S. Marco in Rubignacco, in antico cella romita, sorse sopra una necropoli romana (20).

Gli Arimanni

Rubignacco fu sede di arimanni longobardi, agricoltori che avevano scelto per le loro adunanze una boscosa collinetta solitaria, o piccolo castelliere circondato da un corso d’acqua. La località dipendeva dalla Gastaldia di Cividale con l’obbligo della vaita alla porta di S. Silvestro. Nel 1176 il patriarca aveva in Rubignacco i “magistri lignaminis” (21).
Ma chi erano gli arimanni?
“La classe più antica di liberi proprietari che risale certo al tempo dell’invasione longobarda è quella degli arimanni. Essi vivevano raccolti in alcuni punti del paese, particolarmente intorno ai castelli dove trovavano la loro difesa. Sottostavano a certi oneri pubblici, come quello di rispondere alla chiamata delle armi, di intervenire alle annuali adunanze giudiziarie presiedute dai conti e di eseguire i loro ordini. Dovevano prestare al conte frodo, albergaria e placito ed inoltre uno speciale tributo chiamato appunto arimannia. In compenso avevano diritto di tenere un loro placito, di scegliersi giurati, di mettersi boscaioli, porcari, pastori sui boschi e sui pascoli che costituivano le loro arimannie. Quando il feudalesimo invase e soggiogò gli ordinamenti pubblici, le arimannie, cioè le prestazioni da loro dovute, furono date in feudo allo stesso modo che le decime le quali gravavano su altri territori; per questo e per i soprusi di cui furono oggetto, la condizione degli arimanni ebbe a decadere sempre più, sì da ridursi quasi a quella degli altri coltivatori. Gli arimanni erano liberi sì, ma di una libertà limitata che vietava loro di uscire dalla loro condizione e di alienare le loro terre ad altri che ad eguali” (22). Il Paschini aggiunge: “Un’arimannia a Gagliano, presso Cividale, è ricordata in un documento di Mainardo conte di Gorizia che la possedeva, redatto il 24 maggio 1255. Un’altra a Premariacco apparteneva il 5 febbraio 1223 alla prepositura di Cividale (23). Il Thesaurus (p. 90, n. 148) accenna ad un “Armania in Galarias” nel 1274.
Si ha memoria, secondo il Leicht, d’oltre trenta arimannie in Friuli. Nel secolo XIII l’istituto dell’arimannia sta ormai in piena decadenza a tal punto che alcuni studiosi giunsero a sospettare che gli arimanni non fossero originariamente liberi ma servi. A Premariacco, per esempio, nel 1223 li vediamo trasformati quasi in coloni, in quanto si obbligavano a pagare l’arimannia coi prodotti del suolo (24).
Anche per Rubignacco esiste una nota al riguardo degli arimanni quivi allogati, come riferisce il di Manzano desumendo quanto scritto dal Nicoletti. “1251-Birbisio di Corrado di Portis venne lodato da Pertoldo patriarca per aver scritto un’opera intitolata: La Nobile Arimannia (questa voce barbara, e pare longobarda, significa certa specie di giurisdizione, oppure la difesa dei giurisdicenti fatta dagli affittajoli nelle occorrenze) (25) ;per la quale Barbisio era tenuto ad avere particolar protezione all’amena villetta di Rovignaco, riscuotendo dagli Armanni, od abitatori di quella, le pene (multe) de’ delitti, secondo i patti poco prima conchiusi con Tommasino suo fratello”(26).

I luoghi delle adunanze

Il Grion c’informa in merito: “Non poche memorie restano in Friuli de’ luoghi ove sedevano i tribunali o banche, i giudizi de’ Franchi e Longobardi. Da Carraria a Ciala, nei pressi di Cividale, stendesi lo prone di Malbergia (Malbearia, Maliaria), pei prati del quale furono legalizzate addi 7 maggio 1408 le confinazioni tra le ville di Vado, Rualis, Galliano, Carraria, Madriolo (27); la strada che da Carraria passa per la valle di Fornalis è detta del Lof, come è detta della Lova la via di città che conduce all’Ortale, e del Lof la processione che da Montina muove a Prestento, alla Corte Vecchia.
E Malbiarge ricorre anche in scritture per la collina su cui sta la cappella di S. Elena, plaga malintesa oggidì per Malisarie (Malaria); e lo Sturolo (III, 581) favoleggia non di suo capo, ma per leggende antiche, che Geltrude vedova di Liutprando re longobardo venne qui a dare autonomia a Cividale, a donare ‘Malvaria presso la strada di S. Maria del Monte’. È lecito perciò vedere nell’arco a ripiani, cui forma corda il torrente Lesa presso il ponte di Carraria, un campo mallo, un runnimede (1337 in Medariulo prope Metanam), un prato della legge (law? donde lof, lova; o dalla insegna della lupa?) (28), un campo giuridiziario dei tempi Franchi e fors’anco dei Longobardi; come altresì nel colle a scaglioni col prato sottostante tra la accennata cappella di S. Elena e la fornace Paciani-Gabrici e l’acquetta Ripudio. . .” (29). Ed è ancora lo storico Paolo Canciani ad offrirci una interpretazione analoga al riguardo della voce Meleretum proponendo: “Mal enim et Mael comitia, et Herd, Hird, Hired aream, et proprie aream clausam, seu curtem significare, ex optimis linguarum Germanicarum, atque Septentrionalium Glossographis edoceor; ut Meleretum, sive Meleredum jure verti possit area clausa, seu curtis ad celebranda comitia”. Secondo il Glossario Germanico, Mereto=Malherd significa: Mal, Mael (mallo), cioè solenne adunanza di popoli (comitia) e Herd, Hird, Hired col significato di focolare, area, piazzale, propriamente nell’accezione di area chiusa, serrata, seu curtis ad celebranda comitia, cioè luogo difeso in cui si svolgono le adunanze (30).

Le chiese

A Cividale e nei territori circostanti la cura delle anime era sotto la giurisdizione del capitolo il quale vi deputava i curati a cominciare naturalmente dalle cappelle delle città. Dipendevano da quel capitolo nel 1192 le parrocchie di Volzana, Plezzo, S.Vito (presso Idria), S.Pietro di Alzida, Ipplis, Gagliano, Orsaria, Premariacco, Ziracco, Faedis, Remanzacco, Moimacco, Togliano, Prestento, Torreano, Rubignacco ed altre in città e fuori (31).
Quindi la chiesa parrocchiale di Rubignacco, dedicata a S.Marco Evangelista è antichissima, come sopra accennato è nominata per la prima volta nella bolla di papa Celestino III nell’anno 1192:’…Ecclesiam de Rubignacco et alias in Civitatem vel extra’. Si accenna ad altre chiese e chiesette in città e fuori città (32). Ci sono, pertanto, buone ragioni per ritenere che lo sviluppo degli edifici chiesiastici nel comprensorio cividalese, possa risalire alla venuta dei patriarchi in città, che inizia con Callisto nel 735 (33).
Altro contributo per codesta chiesa è riportato dallo Sturolo: “Parrocchiale di S.Marco di Rubignacco esistente fin dal 1296, appare da questa nota cavata dall’Ozio Forojuliense, Tomo 20 Necrologia Varia, così: 1296. Dedicatio Ecclesiae S.Marci de Rubignaco, quae Ecclesia habet indulgentiam maximam, prout continetur in eodem Privilegio. E’ veramente il giorno del santo colà v’è fin oggi grande concorso di Popolo”(34). Anche il Grion ricalca quanto già espresso dal Guerra e dallo Sturolo: “Alla cura di S.Silvestro (di Cividale) pertiene la chiesa di S.Marco di Rubignacco, ricordata per la sua dedicazione nel 1296; le apparteneva il sacello di S. Mauro (S.Moro),mentovato nel 1251 ora in rovina appiè del Fortino. Sopra la collinetta di Malbergia di Rubignacco, la curazia di S.Silvestro ha ancora la chiesetta di S.Elena, donde partivano i Provveditori cittadini per la processione solenne alla Madonna di Castello del Monte; chiesetta consacrata nel 1296” (35). Le nuove consacrazioni per le chiese di S. Marco e di S.Elena di Rubignacco, possono essere la conseguenza di riatti eseguiti a seguito di un tremendo sisma avvenuto nel 1279. “Nel giorno 25 gennaio 1279 si udì terremoto in Friuli, che guastò anche il tempio di Aquileia come riporta Jacopo Valvasone ne’ li successi della Patria del Friuli. Anche il Palladio pone questo terremoto sotto la data segnata (1279)” (36). Anche il Catapan di Cavalicco riporta la notizia di codesto terremoto alquanto distruttivo avvenuto nel 1279: “Narducius de Cabalicco recepit ab Ecclesia S.Leopardi de dicto loco, scilicet a cameraio ser Bernardo libras 90,dando pro pignore 5 campos aratorios. Constat manu Ser Federico notarii Utini in 1279. Et hoc fecit ut reparet ruinam factam a terremotu in suis aedibus funditus destructis”. I danni evidentemente furono vistosi alle costruzioni abitative comprese le chiese; per quest’ultime, dopo le ricostruzioni e i riatti seguirono le riconsacrazioni (37).
La villa di Rubignacco si era costituita in comune rustico al sorgere dello stato patriarcale per il buon governo della comunità. I capifamiglia si riunivano in assemblea, detta Vicinia o Vicinanza, per deliberare atti amministrativi che vertevano sui bisogni inerenti il territorio comunale. Gli agenti elettivi di tale organo erano il Degano (il Podestà venina eletto dal giurisdicente), i Giurati e il Cameraro (per l’amministrazione delle chiese), rimanevano in carica un anno. La vicinia si riuniva al tocco della campana nell’atrio della chiesa o nella chiesa stessa, oppure sotto il tiglio o nella Domus Comunis. Il 5 febbraio 1408, nell’uditorio (portico o atrio) della chiesa di S. Marco di Rubignacco si raccoglie la vicinia della villa sotto la presidenza di Giacomo Capitano (capo degli arimanni?) della detta villa per trattare l’acquisto di beni stabili per il Comune di detta Villa (38). Altra chiesetta, oggidì inesistente, è ricordata in Rubignacco nel secolo XVI. Il 19 marzo 1577, Ottaviano Manin diede principio ad un Oratorio con campanile in Rubignacco. Sulla porta fece scolpire le parole Domus Orationis (39). Questo Oratorio il 3 ottobre 1599 fu visitato dal canonico Missio, il quale verbalizzò: ” Visitai l’oratorio intitolato ai S.ti Osualdo et Justina, situato nel luoco del Sig. Ottaviano Manino nel distretto della Villa di Rovignas, fabricato in solo suo, et ha le sue muraglie l’anno 1577. La licenza di dir messa come appar per lettera del quondam (fu) R.mo Paulo Bisanzio Vescovo di Cattaro suffraganeo et Vicario di Aquileia sotto il dì 3 ottobrio per me letta e veduta. Nel qual Oratorio per lui fabricato ritrovai l’Altare non consacrato, con mensa decente, mantili netti e non lacerati, candelieri d’ottone, antipendio, et cossini d’oro. L’ Ancona di pittura di bona mano con i Santi titolari, in mezzo de’ quali la B.Vergine, carte di secrete, Crocifisseto et pedestale commodo, sopra la mensa ritrovai l’altarolo di grandezza ordinaria. Nella qual chiesiola, over oratorio vi sono molti voti d’Argento, di cera, camisie et altre cose, che fedeli sogliono offerire in chiesa di devotione… Ritrovandosi presente l’antedetto Sigr Ottaviano disse ex se io ho fabricato questo oratorio per mia devotione et per mia commodità di haver Messa, come fu concessa gratiosamente da Mons. Rev.mo suffraganeo dell’ll.mo Mons.Patriarca, con pensiero anco di lasciar esso oratorio, che si possi officiare comodamente dopo la mia morte, il quale godo per benignità di Mons. Il.mo Francesco Barbaro Patriarca presente. Udito li comisi che dovesse far le cose ordinate di sopra. Rispose son contentissimo” (40). Il 30 luglio 1613 si registrano in Curia le indulgenze per la chiesa di S.Osvaldo concesse il 13 dello stesso mese (41). Ancora in data 30 aprile 1812, i Manin avevano casa dominicale in Rudignacco, in rovina, con Oratorio a S.Giustina e S.Osvaldo con mansioneria che viene trasportata nell’Oratorio di S.Andrea Apostolo in Passariano (Villa Manin) (42). Nella visita pastorale del 1735, 13 maggio, si verbalizza che “Fu visitata la Chiesiolla del Nob: H.Manini situata in Rupignaco, sogetta alla Veneranda Chiesa di S.Silvestro di questa Città, dedicata alla B.Vergine della Neve” (43). E nella visita del 3 maggio 1763, riferentesi alla Parrocchia di S.Silvestro di Cividale, il visitatore annotò: “Visitai la Chiesa dell’Ecc.ma Casa Manin situata in Rubignacco. Visitai l’altare della B. Vergine della Neve che è portatile” (44).

La chiesa di S.Elena in campo
Sopra un colle distante un km circa dalla chiesa di S.Marco di Rubignacco, si erge la chiesa campestre di S.Elena Imperatrice. Sant’Elena: “bellissima e graziosa locandiera di Trepano. Costanzo Cloro ne se invaghì, la sposò, n’ebbe Costantino il Grande, indi la ripudiò. Ma il figlio, incoronato Imperatore, le diede il titolo di Augusta, e la fece arbitra del suo tesoro privato. Essa, però, non se ne valse che in sollievo dei poveri, ed in vantaggio della Chiesa, di cui aveva abbracciato le dottrine, rinnegando il Paganesimo. Nel 326, visitò Gerusalemme, per erigervi chiese. E però, fece abbattere statue e templi di Giove innalzati da Adriano sul Calvario. Vuole la leggenda che, nel praticare degli scavi su questo monte sacro, vi rinvenisse la Croce con gli strumenti della passione di Gesù Cristo. Dei molti pezzi della Croce trovata, due li mandò al figlio Costantino, e gli altri li depose nella Chiesa del Santo Sepolcro, di cui gettò le fondamenta. Morì il 17 agosto del 327” (45). Si può affermare con sufficiente credibilità che diverse chiese erette in Friuli sotto i titoli di S.Croce e di S.Elena risalgono al tempo delle Crociate (46). Nome dato alle spediazioni fatte dai Cristiani per liberare il Santo Sepolcro, e per riconquistare la Palestina sui Saraceni. Furono così chiamate per la Croce rossa, portata sul petto dai combattenti. Dal 1096 al 1270, si contano 8 Crociate (47).
E’ possibile che i sacelli di tali titoli siano stati istoriati con scene della Passione e dell’Invenzione della Croce, oppure con opere scultoree come fa pensare il paliotto d’altare della chiesa di S. Croce di Palmada, località distrutta per lasciar posto all’attuale Palmanova (48).
La chiesa di S. Elena di Rubignacco dipendeva ecclesiasticamente dalla parrocchia cittadina di S. Silvestro. In antico era un romitorio, come del resto anche la chiesa di S. Marco e tanti altri sacelli dislocati nei pressi della città ducale. Al principio del secolo XIII, e prima ancora , era costume dedicarsi a Dio negli eremi. E’ ricordata esplicitamente in occasione della sua consacrazione nel 1296, e forse nell’occasione si costruì il piccolo eremo (49). Dobbiamo evidenziare l’esito del tremendo sisma del 1348, che distrusse la basilica di Aquileia, e produsse ingentissimi danni in tutta la regione: da Venezia a Villacco (50). A causa del sisma la chiesetta di S. Elena fu gravemente danneggiata e nel riatto successivo fu istoriata e riconsacrata: gli affreschi rinvenuti recentemente ne sono la conferma. In un documento notarile datato 4 maggio 1503 viene citato in loco Sancta Lena (Elena) (51).
La chiesetta dovette essere restaurata anche dopo i sussulti sismici del 1511.
Mercoledì 26 marzo 1511, verso le 15.40 pomeridiane ci fu un grande terremoto in Friuli, il quale conquassò case in Cividale ed in altri luoghi della Patria, rovinando nella detta città la torre di S. Francesco ed il campanile del Monastero Maggiore con la morte di più di 15 persone. Anche il castello di Udine rovinò (52). Sembrerebbe che i restauri della chiesa di S. Elena, in questo frangente, siano stati solleciti, perché da contratto datato 30 aprile 1511 (quindi subito dopo il terremoto) Antonio Tironeo, cioé Antonino Simone de’Tironi, bergamasco, scolpì un’ancona per la chiesa di S. Elena di Rubignacco, con la statua della B. Vergine tra i santi Rocco e Sebastiano (53). La peste imperversava proprio in questo tempo ed i santi Rocco e Sebastiano ne erano i protettori. In una nicchia della parete destra interna della chiesa, stava una statua lignea raffigurante la vergine mitrata col Bambino incoronato, di tipo lauretano, dagli esperti attribuita al 1500 avanzato e dal Marchetti al secolo XVII(54). Dell’opera d’intaglio del Tironi, attivo a Udine dal 1500 al 1528 non c’è traccia alcuna (55).
Il visitatore capitolare in Planis di Cividale, mons. Gerolamo Presolvino, fondatore della chiesa di S.Gerolamo di Azzano nel 1640 (56), il 26 aprile 1623 ispezionò la chiesa di S.Elena di Rubignacco, e vi trovò un solo altare ornato cum Icona vetusta, e ordinò di fare una icona decente (57). Ovviamente questa Icona vetusta non è altro che l’ancona scolpita da Antonio Tironi. La conferma che l’ordine impartito da mons. Presolvino nella visita del 1623 “di fare una icona decente”, era stato eseguito, si riscontra nel verbale di visita del 12 maggio 1735. Il testo annota: “fu visitata la chiesa di S.Elena sopra Rubignacco filiale di S.Silvestro della città la cui dedicazione si fa l’ultima domenica di Agosto; è questa con un solo altare dedicato a detta Santa (Elena),in mezzo all’altare è una statua della B.Vergine, alla destra colle colonete divisa la Santa, et alla sinistra S.Orsola (protettrice delle campagne), il tutto in legno dorato, et bene”(59). Di questo trittico, realizzato verso la seconda metà del secolo XVII, al presente è rimasta solamente la statua della Madonna, di tipo lauretano già descritta. Ricorda le Madonne votive del Burgenland (Austria) e del Kranj (Slovenia), tipiche del tardo Seicento. È ritenuta di scuola friulana, ora ospitata nel Museo Diocesano di arte sacra di Udine. La statua di S.Elena, invece, fu distrutta come imposto nella visita pastorale del 6 dicembre 1911: “Si ordina di distruggere la vecchia statua di S.Elena che trovasi esposta sul banco (ma mensa dell’altare ligneo del secolo XVII) della sacristia”(60).
Non sappiamo l’evoluzione architettonica di codesto edificio chiesiastico, né la consistenza dei vari riatti subiti a causa di terremoti, di guerre e invasioni, ma sicuramente nel secolo XVIII codesta chiesa cambiò radicalmente stile, diventando baroccheggiante. Nel 1763 fu presa delibera di allargare ed alquanto dilatare la cappella di S.Elena. Nel 1766 i lavori erano conclusi, perché nell’anno seguente 1767 si saldano le fatture dei lavori eseguiti: della fabbrica del coro, dell’alzamento della chiesa, del coperto, cornice, soffitto, salizo, cardatura. Fu pure pagato il tagliapietra M.o Giuseppe Devoto di Borgo di Ponte di Cividale, autore dello scalino intorno all’altare. Il tutto alla data del 13 agosto 1767 (61).
Lo Sturolo a proposito scriveva nel 1776:”Questa veneranda chiesa da alcuni anni è abbellita di mobili e fornimenti per le molte e spesse elemosine de’ fedeli a quella gloriosa Santa che nelle quasi annuali siccità processionalmente viene portata con gran concorso delle ville territoriali alla B.V. del Monte” (62).

La chiesetta di Sant’Elena 2° parte