dal Messaggero Veneto del 14/10/02

La scoperta effettuata sabato da un’équipe dell’università di Pisa e resa nota ieri. Tra le ossa anche quelle di un bimbo

I resti contenuti nell’urna conservata nella cripta della basilica sono di altre tre persone

Non sono le spoglie di San Paolino quelle contenute dall’urna reliquiaria che si conserva nella cripta del Duomo cividalese. Le ossa che vi riposano da secoli, e che nel loro insieme compongono uno scheletro intero, appartengono in realtà a tre persone diverse, e nessuno di loro risulta essere il grande patriarca di Aquileia.

La clamorosa scoperta è stata resa nota ieri mattina, in conclusione del convegno internazionale che ha riunito nella città ducale – negli ultimi quattro giorni – una trentina di professori universitari per discutere sulla figura del letterato e santo e sul contributo fornito dall’Italia all’Europa carolingia. Gli studi sui presunti resti di Paolino erano stati avviati nel mese di gennaio, in concomitanza con l’inizio delle celebrazioni per il milleduecentesimo anniversario della morte del patriarca. È, quella appena conclusasi, la quinta ricognizione sulle spoglie in oggetto, che furono trovate nel 1716 – in un rozzo sarcofago in pietra contraddistinto da una decorazione esterna molto particolare – a seguito della demolizione di un altare del duomo. Il contenuto dell’urna fu esaminato una prima volta nel 1734, quindi nel 1808 (all’epoca, tuttavia, si trattò di una riapertura non ufficiale), poi nel 1901, nel 1906 e infine nel 1988.

Confrontando i singoli verbali stilati in occasione di ogni esame, gli studiosi che hanno effettuato l’indagine nel corso del 2002 hanno avuto modo di constatare, anzitutto, come l’elenco delle ossa rinvenute nel sarcofago nel 1734 fosse molto più lungo di quello redatto nelle circostanze successive. Un elemento preziosissimo per l’analisi – e inatteso -, poi, è giunto nelle mani degli esperti appena sabato, alla vigilia della presentazione dei risultati: «Il sacrestano – ha raccontato Licia Usai, dell’Università di Pisa – ci ha consegnato una scatola di cartone, avvolta in un drappo rosso legato in modo grossolano con un nastro azzurro: dentro vi era una serie di ossa, che abbiamo immediatamente provveduto a raffrontare con quelle attribuite a San Paolino.

A proposito di queste ultime, va specificato che l’osso mascellare e il mandibolare si sono subito rivelati appartenenti a due diversi individui. Vi erano due ossa zigomatiche, inoltre, che non potevano che essere attribuite a una terza persona: avevamo pensato, inizialmente, si trattasse di una donna, in virtù della morfologia molto gracile, ma la comparazione con le ossa ritrovate nella cassa di cartone – le zigomatiche combaciano perfettamente con determinati resti contenuti al suo interno – ha chiarito ogni cosa. Si tratta delle spoglie di un bambino». Nel reliquiario, insomma, sono confluite parti del corpo di almeno tre individui.

Uno, battezzato «A» – di cui rimangono la mandibola, lo sterno, l’osso dell’anca sinistra e il femore sinistro -, era un maschio, di età compresa fra il 45 e i 50 anni e alto all’incirca un metro e sessanta centimetri; aveva una struttura ossea mediamente robusta, che presenta tracce di artrosi degenerativa al ginocchio e segni di un trauma sul femore. L’altro («B») era anch’esso di sesso maschile, fra i 20 e i 30 anni, 1 metro e 65 di statura. Ce ne restano porzioni del calvario, l’osso mascellare, il femore sinistro, la tibia e la fibula sinistre. I due zigomatici, come detto, sono invece attribuibili a un bambino («C»).

Il reliquiario ospita ulteriori ossa, che pare non siano compatibili né con il primo, né con il secondo individuo, ma che sono tutte di adulto: una clavicola, un omero sinistro, un osso sacro e frammenti.

Conclusioni: né il bambino, né il giovane, potevano essere Paolino, che morì fra i 50 e i 60 anni. Avrebbe potuto esserlo il primo individuo, «A», ma a far cadere l’ipotesi è stata la datazione al carbonio 14 del femore: appartenne a un uomo vissuto fra il 110 e il 330 d.C., mentre il Santo morì nell’802.

Tutto questo apre nuovi problemi e nuove, affascinanti prospettive. I resti di «A» potrebbero appartenere a San Donato o compagni, martiri proprio nel periodo evidenziato dalla datazione al C14? Bisognerebbe eseguire l’esame del Dna sul cranio attribuito a San Donato e confrontarlo con quello del femore. Il suggestivo studio, dunque, è ancora agli inizi.

Lucia Aviani
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dal Messaggero Veneto del 15/10/02
Lo storico: ora si apre un affascinante mistero


Il cavalier Sergio Sandrino è un cividalese doc, da sempre appassionato studioso di storia e arte locali, attento indagatore di tutto ciò che appartiene alla tradizione della città. «Si spalanca un mistero dopo questa rivelazione sulle reliquie di San Paolino – osserva –, di cui sono venuto a conoscenza leggendo gli articoli sui giornali. Per essere state collocate in quel posto, all’interno di un altare, ed esservi rimaste per secoli, venerate come quelle di un santo, quelle ossa devono essere senz’altro appartenute a qualche personalità alta, che si è distinta nella società del tempo».

«Se le hanno collocate in quell’urna, devono avere avuto un buon motivo» rincara lo studioso, che aggiunge: «La parola cripta significa “deposito del santo”, è lì che si sono sempre collocate le reliquie, sotto l’altare maggiore che si eleva fondato sulla spiritualità del santo. Il duomo di Cividale è stato edificato in diversi momenti, ma la cripta deve esserne la parte più antica. E anche quei resti umani, pur appartenenti a individui diversi come le indagini hanno ora dimostrato, sono lì senz’altro da molti secoli».

Quanto al luogo in cui l’urna è conservata, Sergio Sandrino ricorda di aver fin da bambino frequentato saltuariamente la cripta: «Laggiù si sono da sempre celebrate soltanto funzioni ristrette, qualche rosario e qualche messa. Ricordo che da bambino quell’urna trasparente e illuminata contenente le ossa umane mi incuteva una certa impressione». Ora anche Sandrino attende gli ulteriori sviluppi di una vicenda affascinante, che apre scenari nuovi nella già ricca storia cividalese.
V.F.
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Franco Fornasaro: la sua importanza è legata a ciò che ha scritto e al suo operato nell’Europa del tempo
San Paolino, ora si cercherà la tomba
L’arciprete di Cividale monsignor Genero: non cambierà nulla nella devozione al santo aquileiese

di VIOLETTA FELETIG

«Nulla cambierà nel culto di San Paolino a Cividale. Culto che non è mai stato legato sue reliquie e che si fonda piuttosto sull’opera e gli scritti del santo, in una continuità che attraversa i secoli». Non è affatto sorpreso monsignor Guido Genero, arciprete di Cividale, dopo l’annuncio che i resti conservati da tempo immemorabile nella cripta del duomo non appartengono al patriarca di Aquileia ma a tre individui diversi, nessuno dei quali corrisponde alle caratteristiche del santo. Nel milleduecentesimo anniversario della morte di Paolino, il convegno che aveva lo scopo di indagare la figura del grande aquileiese ha riservato dunque una sorpresa agli studiosi convenuti a Cividale e a quanti si interessano di storia locale, ma l’annuncio non sembra destinato a creare rivoluzioni nella devozione popolare.

«Paolino non è un santo al quale si siano attribuiti molti miracoli – spiega il dottor Franco Fornasaro, studioso cividalese – la sua grandezza è legata a ciò che ha scritto e a come si è collocato nel ruolo di mediatore tra storie ed etnie differenti, e di tutto questo ci sono le tracce, i documenti. Probabilmente qualche sensazione di dubbio su quei resti – continua Fornasaro – c’era già in passato. Ma non è questo che conta. Conta la grande stagione della chiesa di Aquileia, che rafforza la sua immagine, e conta tutto ciò che lui ci ha lasciato, i suoi scritti a cominciare da quell’“Ubi caritas”, cantato in tutte le chiese del mondo durante la lavanda dei piedi del Giovedì Santo».

Quanto alla devozione popolare anche secondo il dottor Fornasaro non ne risulterà sminuita: «Quelle ossa dentro un’urna sono venerate da molti secoli e rimangono un patrimonio della nostra chiesa. C’è poi il versante scientifico, che ci impone di essere ricercatori i più attenti possibile – aggiunge lo studioso –.

Questo aspetto ci dice che una delle persone i cui resti sono custoditi nell’urna si pone in epoca paleocristiana, essi appartengono dunque a una figura inseribile in un antico contesto della chiesa cividalese, che non può non essere coeva della città romana». Il dottor Fornasaro non nasconde che potrebbe anche trattarsi di un martire, un’ipotesi suggestiva che invita all’approfondimento.

«A distanza di milleduecento anni tutto può essere scoperto – sono ancora parole di monsignor Guido Genero –, anche cose clamorose, ma nel caso di San Paolino non mi pare si tratti di risultati eclatanti. Già cento anni fa, nel precedente convegno dedicato al santo, si era intuito che le reliquie non fossero riferibili a un solo individuo». L’arciprete ricorda anche che in duomo sono custoditi oltre un centinaio di reliquiari, un patrimonio – se così si può definire – che si presterebbe a ulteriori indagini.

La prospettiva che invece potrebbe aprirsi adesso, sempre che si possano trovare le risorse necessarie, è quella di una ricerca della tomba del santo. «Per San Paolino non è stato fatto un sarcofago, ma presumibilmente una tomba nella terra. Già nell’’800 il conte della Torre Valsassina aveva iniziato le ricerche, ora bisogna tornare a scavare. Nella cripta resta un lacerto dell’epigrafe che gli fu dedicata, è l’unica testimoninza sicura ma non sappiamo dove sia stata trovata.

Si apre dunque un campo di ricerca nuovo, vasto e di grande interesse».
Anche Fornasaro vedrebbe con favore un avvio delle ricerche: «Ho la segreta speranza che si possa un giorno non lontano andare a indagare nei sotterranei delle chiese cividalesi – spiega lo studioso – e chissà che prima del prossimo centenario della morte di San Paolino non sia possibile dare notizia dell’avvenuto ritrovamento».
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Il comitato promotore: un esempio per i giovani d’Europa

Anche Bruno Cesca, componente del comitato promotore del convegno su Paolino Patriarca, non esita a porre l’accento sui meriti del santo, staccando la figura storica, il suo operato e i valori di cui si è fatto interprete da quello che oggi può rimanere delle sue spoglie: «Non è quello che resta del suo corpo a fare di San Paolino una figura basilare nella storia dell’Europa, una figura che all’estero oggi è molto più nota e studiata che in Italia».

L’interesse per San Paolino dunque va ben oltre un reliquiario, per quanto grande possa essere la venerazione che lo ha circondato nel corso dei secoli. E anche sulla possibilità di scoprirne il luogo di sepoltura Cesca sembra più scettico: «Non so se sia possibile individuare la tomba del patriarca, certamente si deve pensare a un riordino e un approfondimento della grande quantità di reperti conservati a Cividale, dove c’è ancora un enorme campo d’indagine da sviluppare».

Il comitato promotore ha anche allo studio, assieme all’Università di Pisa, che ha eseguito le indagini sulle ossa ritenute di San Paolino, un progetto che punti alla determinazione di standard europei scientifico-culturali in materia di ricerca antropologica documentaria.
E infine va anche ricordato che la ricerca messa in piedi in questo periodo si aggancia a un’altra iniziativa tutta cividalese, quella Carta di Cividale che vuole costituire un’indicazione morale, una traccia imprescindibile per la Carta dei giovani d’Europa partendo proprio dai principi indicati e propugnati da
San Paolino dodici secoli fa.

V.Fel.
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