ANTICHI SIGNORI DI VILLALTA
N.N. di Villalta
Eufemia 1210Enrico + 1198Randolfo
Ricarda + 1258Enrico + 1250Rodolfo
monaca in Cividale
Lodovico + 1251Enrico + 1281Rantolfo +1255
da questi i Villalta eddal quale i Villalta
attuali di Caporiaccodi Guspergo
sp. Fiordibella
AdelegtaRavennaGiovanni Matteo Rivignana
1282 + 1345
CuniondaRivignanaBartolomeoGioFrancescoChiaraZuanaAgostinaMattiussa
+ 1360
OdoricoTolbertoMattiussoGiovanniPietro
+ 1329+ 1372a) sp. 1347 Nida+ 1395(naturale)
di Villalta
b) Caterina di
SavorgnanDomenico
Mattiusso
+ 1405
Molte sono le vicende o i fatti degni di nota, che caratterizzarono la vita dei Signori di Villalta. Quanto ci interessa sono gli avvenimenti che permettono una maggior comprensione dell’attività dei Signori.
Il prospetto genealogico, in cui certi nomi si ripetono, non dovrebbe meravigliare, perché nel medioevo era consuetudine che il figlio primogenito portasse il nome del padre o del nonno. Questa usanza perdura ancora oggi in certe zone della regione ed anche del resto d’Italia.
Enrico di Villalta, figlio di Enrico, deceduto nel 1198, venne creato, nel febbraio del 1205, cavaliere nella Basilica di Aquileia.
Era domenica 15 settembre 1219, nel palazzo del Consiglio di Treviso, città nemica del Patriarca, alla presenza di Ezzelino da Romano III, del conte Rambaldo di Collalto, dell’avvocato Guido, conte di Gorizia, sempre sollecito a contrastare il potere del Patriarca, di Guercio Tempesta e di alcuni consoli, si presentarono i fratelli militi Ardrico e Warnerio di Polcenigo, i fratelli Bernardo e Leonardo da Solimbergo, Corrado ed Enrico di Castellerio, Enrico di Villalta con altri Vassalli del Patriarcato di Aquileia. Tutti questi, con giuramento di fedeltà, si dichiararono cittadini di Treviso e consegnarono a Visconte dei Visconti, podestà di Treviso, i loro castelli con il simbolo del vessillo. Enrico di Villalta assoggettò a questa città i suoi due castelli di Villalta e di Urusbergo.
Un tale atto dimostra come i Signori di Villalta fossero già possessori del castello di Urusbergo ancora prima della morte di Enrico avvenuta nel 1198.
La lega con i Signori di Treviso era una vera ribellione contro il Patriarca Pertoldo di Andechs dei duchi di Merania.
In questa difficile situazione, il Patriarca invocò l’intervento del Papa Onorio III. Gli interventi del Pontefice non ebbero effetti sui componenti della Lega di Treviso, perciò scoppiò la guerra che ebbe alterne vicende con incendi e distruzioni sia nelle zone del Friuli che in quelle del Veneto. La Santa Sede, per porre fine ad una situazione così incresciosa, delegò, per un’equa soluzione della controversia e per l’applicazione delle diverse scomuniche il superiore di Santa Maria Nova, Birisino di Santa Croce e Filippo, Canonico di San Marco di Venezia.
Seguirono la tregua ed una composizione delle diverse vertenze. Come conseguenza, il 5 maggio 1221, a Caporiacco, presso la Chiesa di San Lorenzo martire, il Patriarca accettò l’atto di sottomissione dei sette castellani ribelli; fra questi c’era anche Enrico di Villalta-Urusbergo, e il 20 maggio 1221, nel Duomo di Treviso, in cui era convenuta tutta la città, i sopra nominati giudici con grande solennità tolsero l’interdetto sulla città di Treviso.
Con l’atto di sottomissione, si instaurò un nuovo clima di rapporti tra lo stesso Patriarca e le comunità e i feudatari, che permise alla Badessa delle Madri Benedettine del monastero di Santa Maria in Valle di Cividale, madre Gisla, di stabilire nel 1225 alcuni contratti con i Signori di Villalta-Urusbergo per la libertà dei coloni di Sanguarzo.
I fratelli, Enrico e Rodolfo, figli di Enrico, morto nel 1198, Signori di Villalta-Urusbergo, dopo l’accordo stipulato con la Badessa delle Benedettine, per un periodo furono impiegati quali consulenti o testimoni, oppure incaricati di dirimere dei contenziosi nell’ambito dell’amministrazione patriarcale.
L’ultimo giorno di febbraio 1235, Enrico, padre di Lodovico e di Rantolfo, consegnò, per la somma di 20 marche di denari aquileiesi, all’avvocato della Chiesa, conte di Gorizia, i diritti acquisiti sulla villa di Prepotto.
Il 2 luglio 1239, come si rileva dal diploma Joppi, Enrico di Villalta e il figlio Lodovico erano presenti in Cividale all’arbitrato del conte di Gorizia, Mainardo, nelle questioni per l’elezione del podestà e nella procedura criminale fra il Patriarca di Aquileia e il Comune di Capodistria.
Il 5 novembre 1243, in Villalta, nel castello di Enrico, in presenza dei suoi figli, Lodovico e Rantolfo, e di Leonardo, detto il Piccolo, di Volrico, gastaldo di Enrico di Villalta, il Medico Giovanni, soprannominato Sbrul, vende per 17 marche e mezza di denari aquileiesi ad Andrea Tirello una casa in Cividale in contrada di Santa Maria e ne viene investito da Enrico di Villalta1.
Dal necrologio del Capitolo di Cividale si apprende che la moglie di Enrico di Villalta, Bivignana, morì nell’anno 1249 e non molto tempo dopo, il 21 gennaio 1250, morì anche Enrico di Villalta senior. Lodovico e Rantolfo finirono i loro giorni poco dopo il decesso del padre. Infatti, come si può notare dal necrologio del Capitolo di Cividale, Lodovico, che ebbe come moglie Cunigonda, morì nel 1251 lasciando numerosi figli. Da costui discende il ramo dei Signori di Villalta e quello degli attuali Signori di Caporiacco. Il fratello Rantolfo morì il 16 novembre 1255.
Dal fratello superstite, Enrico, discesero i Signori di Villalta di Urusbergo o Guspergo.
Il Nicoletti riferisce che Enrico di Villalta-Guspergo, ottimo cittadino, era considerato dal Patriarca uomo di grande onorabilità e autorità. Nel 1267 venne investito dal Patriarca Gregorio di Montelongo di un maso, piccolo podere o fondo destinato ad assicurare la sopravvivenza di una famiglia, situato nella villa di Buia, retto a feudo di abitazione1.
Nel medesimo anno, 1267, Enrico di Villalta-Guspergo propose al Patriarca di far risolvere con la mediazione della Curia alcuni dubbi sui diritti dei nuovi militi2. Questa emanò una sentenza in cui stabiliva che nessuno, se non appartenente al ceto dei cavalieri, poteva essere investito di un feudo3.
Il 4 luglio 1270, secondo quanto riferisce il Nicoletti, un’orrenda grandinata, accompagnata da folgori, danneggiò gravemente il Friuli e in particolare il territorio cividalese compresa la zona di Sanguarzo. La grossezza dei chicchi della grandine fu tale da riuscire a sradicare alberi, uccidere animali ed anche parecchie persone. Un tale danno ebbe come conseguenza una grave carestia.
Altri gravi danni si verificarono nella zona per le torrenziali piogge dei primi giorni di settembre, culminate poi in un nubifragio l’11 settembre 1276.
Il fiume Natisone crebbe tanto smisuratamente da tracimare nella zona di Borgo Brossana, demolendo un muro pubblico, delle case, dei mulini e allagando il cimitero.
Il Nicoletti annota che Enrico di Villalta, persona assai stimata sia nell’ambito ecclesiale sia in quello civile, morì nell’anno 1280 e venne sepolto nella chiesa del convento di Villalta, fatto edificare per i Frati Minori da Enrico il Vecchio. Invece, secondo il necrologio del Capitolo di Cividale, Enrico morì il 24 luglio 1281.
Questi abitava da tempo in Urusbergo o Guspergo con la sua famiglia. Sposò Fiordibella ed ebbe i figli Matteo, Giovanni, Adalgata, Ravenna e Rivignana.
Matteo, dopo la morte del padre Enrico, assunse la patria potestà anche per il fratello Giovanni. L’8 ottobre 1284, il nobile Matteo investì per il fratello Giovanni un certo Pietro, figlio di Beltrame di Taizano (Sanguarzo) di alcune case in Taizano1.
Grande gioia si ebbe l’11 marzo 1285, giorno in cui furono pubblicati in Cividale gli accordi di pace tra la repubblica di Venezia e il Patriarca. Tale atto non solo fu esposto nelle ville del Friuli, ma anche festeggiato solennemente.
Il conte di Gorizia, nei campi sottostanti al castello di Urusbergo dei Signori di Villalta, nella zona detta Sinirufelt, fece tenere per otto giorni tornei a cui parteciparono il vescovo di Frisinga, di Concordia, di Feltre e Belluno, Girardo da Camino, i conti liberi di Prata e Porcia, i nobili di Villalta, di Castello, di Prampero e Cucagna, i nobili della città di Cividale, di Udine, di Gemona2.
Il patrimonio lasciato dal padre Enrico di Villalta-Urusbergo era assai rilevante. A proposito, il Patriarca Raimondo Della Torre sollecitò l’erede a contribuire con generosità all’opera dei Templari, che valorosamente combattevano e difendevano la fede e la Chiesa in Terra Santa3.
La cupidigia di possedere assalì anche la famiglia dei Signori di Villalta-Urusbergo. Matteo di Villalta-Urusbergo nel 1293 derubò molti mercanti provenienti dalla Germania. Tali atti rendevano suoi complici anche la comunità di Gemona, che lo riteneva suo nobile e consorte. Il Patriarca Raimondo Della Torre non esitò a dichiarare ribelle quella terra e a bandire da tutto il Patriarcato coloro che avessero dato aiuto e ospitalità ai Villalta1.
Il fratello Giovanni con il suo comportamento non era da meno. Questi, ad onta dei magistrati, osava oltraggiare gli uomini liberi del Patriarcato, adducendo come scusa che essi appartenevano al ceto dei servi di sua masnada.
Nella vita di ognuno c’è sempre un momento di pentimento per qualche azione disonesta; ciò comporta una riparazione. Forse sarà stato questo il motivo per cui nel 1293 i signori di Villalta-Urusbergo fecero costruire la Chiesetta di San Floriano Martire. La consacrazione risale al 1297. Il fatto che i Villalta-Urusbergo abbiano dedicato la Chiesetta a San Floriano Martire, milite romano di origine germanica, fa pensare che i Signori provenissero dalla stessa zona nella quale San Floriano fu martirizzato sotto l’imperatore Diocleziano nell’anno 304 d.C.
La fede di questi Signori di Villalta-Urusbergo, manifestata sia nella costruzione della Chiesetta di San Floriano Martire in Urusbergo, sia nel far erigere altari nella Chiesa di Santa Maria di Corte in Cividale e abbellire in Villalta il Monastero dei Frati Minori, era piuttosto superficiale e poco sentita, poiché essi non tolleravano niente che ostacolasse le loro idee e i loro progetti; da qui le animosità e la guerra.
Nel 1300, anno del primo Giubileo della storia, Nicola Gerra, nipote del Patriarca Pietro Gerra, cedette Sacile, che aveva avuto in custodia, a Girardo da Camino. Tale atto dispiacque al Patriarca, che percorse tutte le vie possibili per convincere Girardo a restituire quanto gli era stato concesso. Il rifiuto di quest’ultimo, ridestò l’animosità tra i feudatari e scoppiò una guerra. Il Friuli si divise in due fazioni: da una parte le Comunità e alcuni feudatari si schierarono con il Patriarca, dall’altra con Girardo da Camino si schierarono il conte di Gorizia, i Villalta-Caporiacco, i Villalta-Urusbergo ed altri castellani. Il 10 settembre 1300, il Patriarca Gerra, per primo, iniziò le ostilità con l’assedio del castello di Villalta. L’azione dei confederati con il Patriarca non ebbe esito, poiché la difesa del castello, sotto il comando di Giovanni di Villalta-Urusbergo, resistette validamente. Frattanto Girardo da Camino con i suoi militi andava incontro all’esercito del Patriarca. Dopo una accesa battaglia i Patriarcali furono costretti a ritirarsi sulla sponda del Tagliamento. Il Patriarca Gerra, allora, chiese aiuto agli altri feudatari ed al Papa; la guerra venne ripresa con ferocia, determinata soprattutto da uno spirito di vendetta. In questa condizione il conte di Gorizia, preoccupato delle possibili conseguenze, si prodigò con tutti i mezzi per riportare la pace. La città di Sacile fu occupata da Federico di Varmo e da Nicolò di Buttrio. Girardo da Camino consegnò le chiavi della città, dopo di che fu richiesto un arbitrato. Testi di questo atto furono per Girardo da Camino Giovanni di Villalta-Urusbergo, Federico e Mainardo di Villalta e per i Patriarcali Adalpretto e Varnero di Cucagna. La sentenza, in cui si dichiarava che la città di Sacile veniva restituita all’amministrazione patriarcale, fu pronunciata il 7 novembre.
In questo contenzioso si manifestò apertamente lo spirito che animava Giovanni di Villalta-Urusbergo.
Non si erano ancora completamente risolti i problemi causati dal conflitto e la riparazione dei danni conseguenti non era ancora completata, quando, all’alba dell’11 giugno 1301, un fortissimo terremoto scosse il territorio e il cividalese ne fu particolarmente colpito. A tanta devastazione si aggiunsero i danni causati da una violentissima tempesta accompagnata da una grandinata con chicchi grossi come uova di gallina.
Alcune famiglie di Sanguarzo e dei paesi limitrofi, per le privazioni causate da un tale evento e per evitare la miseria che li aspettava, furono costrette ad abbandonare le proprie case.
Superate le prime difficoltà, conseguenza degli avvenimenti dell’anno 1301, sicuro dei suoi possessi e di un buon numero di masnade, Giovanni di Villalta-Urusbergo, con il conte di Gorizia e Nicolò e Randolfo di Duino, assalì Trivignano, commettendo ogni sorta di atrocità. Non solo imprigionò gli abitanti, ma li uccise dopo averli spogliati dei loro averi.
Alcune città del Friuli insorsero per ottenere la caduta dei Villalta. In questa situazione, alcuni castellani, incostanti per natura e soprattutto mossi da spirito di novità, seguirono il mal esempio del Villalta, che dal canto suo, visti i gravissimi danni arrecati dalle sue gesta, si fermò e si ritirò nel castello di Urusbergo. Paolo Boiano, capitano di Tolmino, quando seppe dei torti subiti dalle popolazioni inermi e per difendere l’onore della patria, si mosse contro il Villalta e la sua arroganza. L’11 ottobre 1305 giunse con una mano di soldati in Teizano. Alla vista del nemico, il Boiano bruciò le case, ferendone gli abitanti e uccidendone alcuni con i loro animali. Si può immaginare la reazione di Giovanni. Immediatamente, subito dopo la partenza di Boiano, il Villalta radunò, per quanto gli era possibile, dei militi. Con questi tese un’imboscata al rivale presso il ponte del Natisone, in località Gronumbergo. Riuscì a catturare e imprigionare Everardo, nobile di Cividale, e alcune persone del luogo facenti parte del seguito del Boiano. Non pienamente soddisfatto, percorse i territori vicini per danneggiarli e anche per razziare pecore, capre e montoni, grossi e piccoli. Le scorrerie di Giovanni di Villalta provocarono terrore tra la popolazione delle ville adiacenti alle proprietà del conte, ed anche tra coloro che dovevano transitare nel suo territorio per raggiungere le regioni del nord.
I cittadini cividalesi inviarono dei messaggeri al Villalta per chiedere la libertà dei prigionieri, la restituzione degli animali e il risarcimento dei danni subiti. Ai messi, Giovanni di Villalta-Urusbergo non rispose che con insulti. Federico de Portis e Corraduccio Galuzzi, per pubblico comando della Città, reclutarono dei soldati e si avvicinarono al castello di Urusbergo, che assediavano senza riuscire ad espugnarlo. Convinti che ogni sforzo sarebbe stato vano, i Cividalesi iniziarono a devastare e tagliare tutte le piante fino sotto le mura del castello1.
Il modo di operare di Giovanni di Villalta-Urusbergo, ossia il proclamarsi indipendente dall’autorità del Patriarca, convinse a seguirlo non solo altri castellani, ma anche alcuni nobili. Per essere certo della loro fedeltà di servizio, il signore offriva giurisdizioni e utili, così ad esempio nel 1307, a Giovanni Rosso Fiorentino concesse la potestà di riscuotere dazi su Vernasso, Costa e Mezzana, villette soggette al castello di Urusbergo. In tal modo, manifestava il desiderio di creare un proprio feudo di ispirazione non tanto patriarcale quanto ghibellina. Per procurarsi prestigio, cercò di acquistare, sia coi denari sia con permute di proprietà, i vari siti o locali del castello di Urusbergo. Raggiungere tale intento non gli fu facile, sia per il rifiuto dei parenti di cedere la loro parte, perché ciò li avrebbe privati di un punto di partenza per le loro azioni, sia per la contrarietà della città di Cividale, che lo riteneva un temibile nemico, dedito a tramare contro la propria comunità.
Per una maggiore sicurezza del proprio territorio, il 14 marzo, al suono della campana, come era consueto, vennero convocati nella Casa del Comune il Gastaldione, il Consiglio della Città, il Decano e tre Canonici del Capitolo, il Gastaldione del Monastero di Cividale e Volfrano dei Signori di Zuccola, per concordare unanimemente un ordinamento per la Guardia notturna della Città.
“Guardia notturna della Città di Cividale. – Cioè, che tutti quelli de’ Villaggi da cui è consueto sia fatta la custodia della terra di Cividale, facciano la detta custodia notturna in Schyrawaytis quelli che stanno sul proprio od a livello; in Waytis quelli che stanno su terre d’affitto; e anco quelli che hanno graditia spinas, fossati e altro di terra; né alcuno si esima, o dia a portinaj o altri, oltre il diritto che questi pel loro ufficio devono avere; ma ognuno nelle notti che ordinato sarà, giusto il corso del turno a debito ordine, faccia la guardia.