Esiste un’opera teatrale,” Aspettando Godot”, scritta da Beckett, in cui due individui, Viadimiro ed Estragone, non fanno che parlare aspettando l’arrivo dl un personaggio non ben definito dl nome Godot.
In inglese God significa Dio. Godot sembra esservi associato; quindi essi stanno aspettando qualcuno di molto importante, che però non si sa bene chi sia.
Parlano, fanno piani e progetti, però non si muovono mai, non succede mai nulla. Alla fine uno dei due dice: «Beh, allora andiamo?». L’altro risponde: «Sì, andiamo!».
Il sipario cala e tutti e due rimangono fermi.
Essi rappresentano l’essere umano che ha perso se stesso, che non sa fare scelte: l’uomo senza volontà. E quando non c’è volontà, cioè quando una persona non è capace o ha paura di scegliere, c’è sofferenza, depressione, ansia; perché noi siamo ciò che scegliamo di essere; quindi se abdichiamo alla capacità di decidere, apriamo la porta alla nevrosi.
Forse la capacità di scelta è ciò che più di tutto può definire un essere umano: ecco allora l’importanza fondamentale, anche pratica, di riscoprire e coltivare la nostra volontà, che è la funzione psicologica da cui la scelta ha origine.
È vero, la volontà non ha goduto di molta considerazione nell’ambito della psicologia. Già Freud, sostenendo che noi siamo determinati dall’inconscio, aveva mostrato tutta la superficialità della cosiddetta “volontà vlttoriana”: quella volontà che cerca maldestramente di farla da padrona, reprimendo gli impulsi istintivi, condannando e sopprimendo gli aspetti più naturali del nostro essere, moltiplicando ogni tensione e sforzo inutile.
Per Freud non esiste una libertà libera: per la psicanalisi noi siamo vissuti dall’inconscio, siamo determinati da fattori che, a nostra volta, non possiamo controllare.
Il mio punto di vista e, più in generale, quello della psicologia umanistica è molto diverso. Non soltanto la scoperta della volontà è essenziale per la salute psichica, ma se ignoriamo la volontà tendiamo a reprimere il nostro stesso potere, le nostre facoltà più importanti.
E stata fatta una ricerca su diversi pazienti che avevano fatto un’espe rienza di psicoterapia con varie scuole o indirizzi psicologici, ed è stato loro chiesto quali fossero stati i fattori che li avevano fatti stare meglio.
Uno dei più frequenti era stato il rendersi conto che in qualche misura «erano responsabili della propria vita». Tutti più o meno dicevano: «Se stavo male, in una maniera o nell’altra, era perché lo sceglievo». Quante volte si sentono persone lamentarsi di essere vittima di ingiustizie, malattie, disavventure varie, solitudine, prepotenze…
Nel momento in cui ci sentiamo vittime, siamo completamente impotenti: il male ci assale, non c’è niente da fare, eccetto che subire e lamentarsi. Ma nel momento in cui ci accorgiamo che la situazione di cui ci sentiamo vittime è stata in realtà da noi generata, ci sentiamo liberi perché abbiamo di nuovo a disposizione la nostra capacità di scegliere, insomma la nostra volontà.
Ciò succede quando ci si rende conto che le ingiustizie avvengono, spesso, perché non facciamo nulla per impedirle, ci ammaliamo perché non ci curiamo della nostra salute, siamo soli perché temiamo il contatto con gli altri, le disavventure ci perseguitano perché vediamo solo ciò che è negativo, e cosi via. E allora capiamo: gli eventi sfavorevoli sono in gran parte causati e fomentati dai nostri atteggiamenti.
In psicologia dire “io” vuoi dire “io posso ‘; “io sono ciò che posso”: nel senso che è proprio nell’atto di volontà che una persona può scoprire chi egli è. lo scopro me stesso nel momento in cui voglio qualcosa (voglio, non nel senso di desiderare, ma di decidere).
Occorre però aggiungere che la volontà non può agire direttamente sulle emozioni, così come non può agire direttamente sull’intuizione. Non si può avere un’emozione o un’idea brillante quando vogliamo noi.
Però possiamo usare la volontà indirettamente: per esempio, quando siamo depressi, con un atto di volontà possiamo spostare l’attenzione: fare ginnastica o leggere un libro, porre insomma l’accento su attività fisiche o mentali anziché sulla depressione, la quale viene de-energizzata.
E’ questa una funzione basilare della nostra psiche: la capacità di spostare a piacimento l’attenzione anziché lasciarla in balia del caso o delle nostre ossessioni.
Dare attenzione significa nutrire e coltivare: togliere attenzione vuoi dire lasciar morire. Se seguiamo questo semplice principio scopriamo la capacità di ricreare il nostro mondo interiore.
E a poco a poco possiamo imparare a usare la volontà per accentuare valori, atteggiamenti, comportamenti che, una volta potenziati, assumono un rilievo maggiore rispetto alla depressione nell’economia generale della psiche.
Intendiamoci: non è che i nostri mali possano scomparire semplicemente se li ignoriamo.
Al contrario, essi devono essere visti e capiti. Ma questa operazione molto spesso non ci libera dai nostri problemi, li allevia soltanto. E allora che possiamo decidere di interrompere quel flusso di attenzione ansiosa che il nutre e li ingigantisce.
C’è una differenza sostanziale fra questo tipo di volontà e quella che Freud definisce “vittoriana’; che va a scapito di qualche altra cosa e quindi reprime. Invece la volontà che ha origine dal centro del nostro essere non è a scapito dl nulla; non impone ma coordina; non spinge, non sforza, non condanna nè reprime, semplicemente dirige. Infine ricordiamo che la volontà è neutrale.
Una persona può coltivare la volontà e imparare affinché incida maggiormente sulla realtà e con più efficacia. Ma questo potere non è necessariamente benefico: può anche essere rivolto a scopi malvagi.
Ecco quindi la necessità di creare e sviluppare una “buona volontà” che sia dalla parte delle persone e agisca a beneficio del tutto. La buona volontà è una delle manifestazioni più alte dello spirito umano: in essa avviene una sintesi dell’elemento volitivo con i sentimenti superiori del superconscio.
Una tale volontà è orientata verso fini belll e importanti e chi l’attiva si sente unito e coerente; questa è una azione benefica in cui si investe in maniera deliberata e sistematica, tutto il proprio essere.
(dl Pasquale lonata)