Il borghese è l’uomo spersonalizzato

Qual è la civiltà che va tramontando?
Non è difficile la risposta. Basta esaminare l’uomo che questa civiltà è riuscita a costruire: il borghese.

E’ luogo comune, oggi, in ogni movimento che voglia presentarsi con etichetta rivoluzionaria, innalzare il vessillo della lotta contro il borghese. Prima di usare questo termine bisogna ben chiarirlo e determinarlo, evitando la faciloneria e la grossolanità, per prevenire obiezioni e smantellare illusioni.

Innanzitutto Mounier constata come appena si profili un movimento che dirige la sua critica sul Borghese (e tanto più se lo condanna) tutti si sentano irritati. Ciò avviene – spiega Mounier – perché ciascuno di noi, in proporzione più o meno abbondante, è un borghese il quale solo a sentire questo nome va su tutte le furie come un indemoniato. E’ difficile e costa sacrificio abbandonare la condizione di borghese. Tanto più che essa ha invaso ogni latitudine e ogni ambiente, cosicché la si trova ovunque.

La sua morale, nata un tempo da una classe, oggi si è diffusa negli strati più bassi della società. Sono pochi coloro che le sfuggono: in alto, alcuni grandi capitani o pirati d’industria – che pur rimangono borghesi dal punto di vista sociale -; in basso, i violenti.
Anche se è una verità urtante, non dobbiamo per questo velarla: “Il nostro sguardo sul mondo è troppo affettuoso per negarlo completamente”. Per Mounier rimane allora chiaramente stabilito che “con la parola borghese non si vuole definire una classe, ma uno spirito, e questo spirito risale fino alle alte gerarchie del regime e discende come una cappa pesante sulle masse popolari”.

Sono coloro che non si sono resi conto da quale profondo essere metafisico sia caratterizzato questo tipo che hanno avuto la pretesa di fissare il borghese in una classe. L’unica posizione sana è conoscerne lo spirito e l’essenza per cercarli in tutti noi.

E per sapere se si è colpiti da questo spirito, non occorre calcolare le proprie rendite; basta fare un esame di coscienza davanti al quadro che ce lo delinea: “Un tipo d’uomo nuovo – che sempre resiste, lui fortunato! – privo di ogni follia, d’ogni mistero, del senso dell’essere e del senso dell’amore, della sofferenza e dellla gioia, devoto alla felicità e alla sicurezza; rivestito, nelle più alte sfere, di una vernice di cortesia, di buon umore, di virtù di razza; negli strati più bassi murato fra la lettura sonnolenta del giornale quotidiano, le rivendicazioni professionali, la noia delle domeniche e dei giorni di festa, e – come unica difesa – l’ossessione dell’ultimo pettegolezzo o dell’ultimo scandalo.

Aggiungiamo le soppraciglia lanciate dall’ultima “star”, i piccoli divertimenti tipo yo-yo, le parole incrociate e amenità del genere, ecco completato il quadro della persona borghese cosiddetta spirituale”.

Però troppo superficiale e pericoloso sarebbe il fermarsi sull’aspetto interessante o divertente del borghese. Bisogna approfondire l’entità morale e storica.
“Il borghese è l’uomo che ha perduto il senso dell’Essere”.
Non è più in comunione col mondo sensibile che, per lui, ha perduto ogni attrattiva, avendolo ridotto a un puro ammasso di cose fra cui si muove. La sua vita conosce solo due categorie, di cui solo una gli interessa: gli affari e il tempo perduto. E tempo perduto è l’amore alle cose.
Non s’incontra con nessun mistero perché s’è fatto un mondo a sua misura nel quale non c’è posto per un Dio che venga a turbare la sua sicurezza fisica.

“Il borghese è l’uomo che ha perduto l’Amore”.

Gli basta sentire il bisogno della simpatia per convincersi di amare: l’amore dona, la simpatia chiede; l’amore s’impara solo con Dio, la simpatia la si può comperare senza Dio.
Non amando, il borghese non ha fede. Se si professa “credente” si tratta di una fede distinta, ragionevole, da giorno festivo, che gli permetta di non camminare fianco a fianco col popolo. Se si professa “ateo” si guarda bene dal combattere quel freno che è “la religione per il popolo”.

Staccate dall’amore, le virtù sono diventate dei congegni manovrati per l’acquisto o il consolidamento dei propri interessi.
Il primo valore da conservare ad ogni costo è l’ordine, divenuto sinonimo di tranquillità: tutto va bene se non v’è turbamento. Però all’orizzonte si delinea sempre la paura che incombe su quanto il borghese ancora non possiede: l’imprevedibilità del domani, il volto mutevole degli uomini, il rischio della vita. Per questo si circonda di misure protettive e di isolanti, contrae assicurazioni su assicurazioni, rispetta tutto ciò che garantisca la parvenza esteriore dell’ordine: polizia, esercito, riserbo e discrezione.

“Il Copernico della morale non è Kant, ma lui, il borghese. Tutte le virtù che generalmente fanno capo alla carità, per il borghese volteggiano intorno alla virtù d’ordine. La loro misura non è più l’amore che ha proiettato intorno a sé dei mondi, ma un codice di tranquillità sociale e psicologica”.
Il borghese tende unicamente alla felicità che per lui è sinonimo di benessere e di godimento.

La sua vita è basata sulla proprietà perché il benessere e il godimento rischiano di affievolirsi qualora fossero minacciati dall’instabilità. Se il cristiano si preoccupa di essere qualcuno, lo scopo del borghese è di avere qualcosa. Dei beni che possiede (moglie, automobile, terre) ciò che più gli importa è l’aggettivo “mio” che sta loro davanti. Si circonda di belle e piacevoli cose; si impone dei buoni costumi, si fabbrica una buona coscienza. Vive bene perché si trova a suo agio nella mediocrità che s’è affannosamente costruita ignorando la croce e la rinuncia.

“Il borghese – diceva Péguy – non è buono né per il peccato né per la grazia né per la sventura né per la gioia. E’ un uomo fornito di salute, un uomo felice, e quindi un essere disgraziato”,spersonalizzato.

E.Mounier