dal Messaggero Veneto del 3/10/02

Archiviato un salone della sedia sicuramente positivo, riferendosi ai soli dati sui frequentatori e sulle imprese espositrici, il Triangolo della sedia si prepara a un autunno sicuramente denso di attese, ma con la sensazione diffusa che si stiano modificando alcuni aspetti ritenuti fino a oggi essenziali.

In altri momenti storici quest’area ha assistito o è stata soggetto attivo di profondi cambiamenti nel modo di produrre e di commercializzare il suo prodotto principe: la sedia.
Negli anni 80 si trova a dover affrontare una crisi profonda, che porta per altro al fallimento di alcune imprese storiche, la risposta delle aziende è la ristrutturazione del proprio ciclo produttivo con un forte decentramento produttivo.

Dopo il 1990 il processo ideato al fine di recuperare competitività, che si accompagna alla specializzazione sempre più spinta, è l’utilizzo delle cooperative, garantendo così costi sempre più bassi oltre a una flessibilità produttiva enorme.
Attualmente nuovi problemi si pongono, la concorrenza sembra provenire dall’Est Europa; Croazia, Romania, Polonia sembrano aver risolto i problemi iniziali legati alla qualità del prodotto e anche nel Manzanese si toccano con mano le difficoltà determinate dalla globalizzazione.

Ancora una volta il costo del lavoro pare essere il problema maggiore per le aziende del nostro settore, alcuni imprenditori trasferiscono determinate fasi produttive nei paesi dell’Est fornendo le macchine per le lavorazioni e tecnici specializzati formatisi nel Manzanese, esportando così gran parte di ciò che serve a realizzare in loco il prodotto sedia, il resto ovviamente lo fanno i governi locali, mettendo a disposizione manodopera a basso costo, e la materia prima, il legno, garantendo lo sfruttamento boschivo a costi irrisori. 14.000 addetti, 1.200 aziende, per quanto tempo ancora la nostra regione potrà contare su numeri di questa rilevanza?
E cosa fa la nostra Regione per evitare di chiudere il recinto quando i buoi sono già scappati?

La nostra impressione è che invece si prosegua la strada di favorire questo processo di delocalizzazione, lo prova il fatto che un’importante finanziaria, di cui Regione è azionista, pubblicizza ai nostri imprenditori i minori costi cui vanno incontro, producendo la stessa sedia oggi prodotta a Manzano, nei paesi dell’Est Europa.
Che il capitale si sposti dove trova le condizioni migliori è una regola purtroppo ormai assodata, che lo faccia aiutato da denaro pubblico ci pare eccessivo. A oggi comunque il settore regge, qualche cassa integrazione ordinaria nelle imprese industriali, parecchie sospensioni nell’artigianato con l’ausilio dell’Ebiart, in generale un mancato ripristino del turn-over. Forse tutto avverrà senza drammi sociali, come il Manzanese ci ha abituato, ma la nostra impressione è che i lavoratori dipendenti e i contoterzisti artigiani comincino a pagare il prezzo delle scelte delle grandi fabbriche che determinano le politiche commerciali e produttive in zona.

Qualcuno teorizza che questo è un percorso obbligato, altri paesi ci sono già passati, vedi Germania, che l’importante è che in Italia resti la “testa” delle aziende, o meglio il valore aggiunto, ma credo che ben presto si dovrà spiegare ai 14.000 lavoratori e alle 1.200 imprese che si sta chiudendo un ciclo. Aggiungo, come rappresentante sindacale, che ogni paese che si rispetti deve minimamente pianificare le eventuali ricadute sociali che questi processi comportano e questi ultimi non possono ricadere esclusivamente sulle teste dei soggetti deboli dell’economia.

La Regione e la Provincia hanno ormai assunto compiti notevoli relativamente al mercato del lavoro, se ne facciano carico.
Segretario responsabile della Feneal Uil

(Sindacato lavoratori edili e del legno)
della provincia
di Udine
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