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IL MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE


Fondato dal Conte Michele della Torre Valsassina nel 1817, ebbe sede nel Palazzo già appartenuto ai nobili de Nordis.
Dal 2 giugno 1990 il Museo si è trasferito nel Palazzo dei Provveditori Veneti che chiude come un fondale scenografico il lato orientale di Piazza Duomo.

II progetto del Palazzo è attribuito ad Andrea Palladio e la sua costruzione sarebbe stata realizzata negli anni tra il1581 ed il1596, come risulta dall’iscrizione apposta sulla facciata del Palazzo dal Provveditore Sebastiano Querini.

Con la caduta della Repubblica di Venezia (1797) e I’occupazione austriaca, il Palazzo subì varie traversie fino a divenire la sede della Pretura di Stato e da ultimo, dopo lunghi restauri operati dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali, Archeologici, Architettonici, Artistici e Storici del Friuli- Venezia e Giulia, è divenuto sede del Museo Archeologico Nazionale, specializzato in archeologia longobarda.

Il Museo, infatti, è stato inaugurato solennemente in occasione della apertura della grande Mostra dei Longobardi, rimasta permanente in quanto costituisce il nucleo principale della sezione altomedioevale ed il cui ampliamento è ancora in corso.

Attualmente I’esposizione museale si articola su due piani.
Il piano terreno ospita la parte lapidaria, suddivisa nelle seguenti sezioni:
romana, paleobizantina, altomedioevale, romanica e rinascimentale.
Nella sala d’ingresso sono esposti pregevoli frammenti di mosaici pavimentali romani e paleocristiani, tra quelli romani è famoso quello con la raffigurazione di una divinità marina (Oceano o Natisone divinizzato) del I – II sec. d.C.

Degni di nota sono anche il basamento della statua dedicata all’Imperatore M. Aurelio Antonino (Caracalla) dalla Resp (ubblica) Forum (iulien sium) e I’ara sepolcrale di T. Vertidio che rivestì la carica di pontifex.

In una saletta sul fondo dell’atrio sono ospitate iscrizioni romane per lo più di carattere sepolcrale, rilievi, elementi architettonici, capitelli ed arette votive dedicate a varie divinità. Nell’ingresso al vano scala che conduce al piano superiore è esposta la collezione Cernazai che comprende iscrizioni sepolcrali in greco e latino provenienti dalla Dalmazia, tra cui, vi è un pregevole rilievo che raffigura una porta.

L ‘ala meridionale del piano terreno si articola in tre sale, due delle quali contengono frammenti di cibori, colonnine, plutei, capitelli, pilastrini, cornici dal VI al IX secolo.
L ‘ultima sala ospita dei rilievi di età romanica ( XII – XIII sec. ) il cui repertorio è quello del bestiario medioevale, con animali fantastici, ed inoltre dei pilastrini della stessa epoca.
Nel cortile interno del Palazzo sono esposte le lapidi ebraiche provenienti dal cimitero della giudaica e stemmi di vari periodi.


I Longobardi

II piano nobile del Palazzo ospita la Mostra Longobarda che occupa sette sale.
Il materiale è ordinato cronologicamente, facendo vedere i manufatti del primo insediamento longobardo in Forum Iulii per lo più di importazione, rinvenuti nelle necropoli più antiche di S. Giovanni e Cella (VI -prima metà VI] sec.).
Si prosegue poi con la presentazione degli oggetti successivi all’insediamento che sono la risultante dell ‘arte Longobarda sul suolo italico.

Di grande suggestione è la saletta che ospita il sarcofago romano di reimpiego ed il corredo del c.d. Duca Gisulfo, rinvenuto nel 1874 in Piazza Paolo Diacono (poco dopo la metà del VII sec.).

ALCUNI OGGETTI DI NOTEVOLE INTERESSE

fibula a staffa

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croce di Gisulfo

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guarnizione in lmina d’oro e smalti

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disco del cavaliere

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gioielli femminili

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fibula a disco

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fibula

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Pace del Duca Orso
(capolavoro in avorio dell’orificeria longobarda : si tratta di una copertura di un codice che veniva baciato dai fedeli a Pasqua, con scena della Crocifissione, circondata da una ricca cornice tempestata di gemme.

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fibula rosetta

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croce del cervo (del VII secolo)

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frontale dell’elmo del Trionfo del re Agilulfo (proveniente dal Museo del Bargello di Firenze : rappresenta al centro il re Agilulfo in trono, con la mano destra levata nell’atto di benedire mentre la mano sinistra regge il fodero della spada. E’ affiancato da figure di guerrieri e vittorie alate, mentre all’estremità vediamo due gruppi di persone che si avvicinano al sovrano, alcune delle quali indicano con una mano, e altre reggono la corona.

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Chi sono i Longobardi?

Uomini «dalla lunga barba», biondi e di elevata statura nonché abilissimi guerrieri nonostante la pochezza numerica, i Longobardi provenivano dalla Scandinavia.

Dopo una permanenza di qualche secolo nel territorio dell’attuale città di Amburgo, risalgono il corso dell’Elba, passano in Moravia e in Austria, attraversano intorno al 530-540 il Danubio, occupano la Pannonia (oggi Ungheria occidentale) e, finalmente, con il re Alboino, calano in Italia nel 568, giungendo in qualche anno fino alle lontane terre calabre e beneventane.

Tutta la penisola, salvo i domini di Roma papale e quelli di Ravenna bizantina, è suddivisa in 35 ducati, il primo dei quali si estende nell’Italia orientale con capitale a Cividale del Friuli, già municipio romano col nome di Forum Iulii (da cui Friuli) e, quindi, Civitas Austriae (o città più orientale ed australe d’Italia) sotto i Longobardi. Il primo duca forogiuliense è Gisulfo, nipote del re, che organizza la regione, servendosi per concessione regia delle più forti fare (o gruppi nobiliari) longobarde e delle migliori mandrie di generose cavalle.

I ducati nell’insieme formano il Regnum Langobardorum, con a capo un monarca eletto direttamente dall’assemblea dei liberi guerrieri longobardi. Il primo re è Alboino, la sede reale è, prima, a Verona e, poi, stabilmente a Pavia. Nei primi anni del regno disordini e violenze prevalgono, le terre vengono confiscate e i Longobardi si sostituiscono ai grandi proprietari romani, mentre il trono rimane vacante.�

Con Autari e Agilulfo le cose si assestano, prima l’uno e poi l’altro re sposano Teodolinda, figlia del duca di Baviera, fervente cattolica e animatrice della conversione del popolo longobardo alla religione ortodossa romana. Lentamente i Longobardi si accostano alla civiltà romana e italica, ne assumono forme e tradizioni culturali, tecniche e modi di produzione. Le antiche consuetudini longobarde vengono codificate nell’Editto di re Rotari nel 643, ove civiltà latina e civiltà longobarda si influenzano vicendevolmente. Romani e Longobardi sono ormai più vicini, i loro rapporti vengono regolati dalla legge comune, la lingua della maggioranza del popolo è quella latina, nella quale però si inseriscono molti termini germanici, ancora oggi presenti nel linguaggio di molte regioni italiane, particolarmente in quella friulana.�

Con la pace sociale, anche la popolazione cresce di numero, mentre l’economia e il commercio rifioriscono. Il mezzo di scambio ufficiale è la moneta aurea; dapprima i Longobardi battono moneta imitando quella aurea dell’Impero bizantino, poi a partire dal regno di Rotari coniano una propria moneta d’oro detta tremisse, che in peso rappresenta la terza parte del soldo aureo bizantino.

Una solida tradizione funeraria accompagna i Longobardi nel loro lungo cammino dalle foci dell’Elba sino all’Italia meridionale. Nelle loro vaste necropoli, generalmente sistemate ai margini delle città conquistate, i defunti vengono seppelliti con i piedi e gli occhi rivolti ad Oriente e con un corredo funerario formato da oggetti più o meno ricchi a seconda del ceto sociale dell’inumato.
Ma per lo più l’uomo porta con se le armi che lo distinguono (spada a due tagli, sax a un taglio, lancia di varie forme, frecce, scudo con l’ambone spesso decorato e dorato, ascia di guerra, etc.) e le guarnizioni dell’abbigliamento e della bardatura del cavallo, fedelissimo compagno del libero guerriero. Speroni, fibbie, guarnizioni di cinture e molti oggetti d’uso comune sono fabbricati in ferro, bronzo, argento, oro. Tutte le tecniche ornamentali sono conosciute e applicate, dalla filigrana, alla godronatura, alla damaschinatura, al niello, all’agemina su ferro e così via.

Nelle tombe femminili predominano strumenti della casa, oggetti ornamentali, orecchini, anelli, borse per contenere i piccoli oggetti come accendiesca, forbici, pettini di ogni tipo e forma e, soprattutto, collane variopinte splendenti di pietre colorate, di ambra e cristalli di rocca in funzione apotropaica, e poi le fibule a chiusura delle vesti, ornate di oro, argento e pietre preziose. In molte tombe di ricchi longobardi è anche presente una crocetta aurea, simbolo della cristianità del defunto, o il bacile di bronzo fuso, proveniente dalle officine copte di Alessandria d’Egitto e giunto tra i longobardi col mezzo del commercio ravennate.

L’uomo libero longobardo è nel contempo guerriero e artigiano, cavaliere e orafo abilissimo nella lunga tradizione dei popoli cosiddetti «barbarici»; la sua produzione è ricca di modelli esclusivi e di forme raffinate che continuano per tutto il secolo settimo, fino alla conversione ufficiale dei Longobardi al cattolicesimo nel 696. Da questo momento, in ossequio alle costumanze del cristianesimo ortodosso, i defunti longobardi vengono deposti nella fossa senza accompagnamento di corredo funerario.�

La produzione di oggetti metallici decade fortemente e la storia longobarda non ha più modo di avvalersi delle preziose testimonianze dell’archeologia funera. Non per questo, tuttavia, la documentazione storica scompare. Nel secolo ottavo, infatti, con lo sviluppo della società e dell’economia italiana, rinascono opere e arti prima quasi scomparse. Durante il lungo regno di Liutprando (712-744), si moltiplicano le costruzioni di chiese e monasteri (si pensi a S. Maria in Valle di Cividale o a Sesto al Reghena), di ville e palazzi da parte della famiglia reale, ma anche per opera dei ricchi longobardi o dei duchi stessi; rifioriscono architettura, scultura e pittura, alle quali partecipano in qualche misura anche artefici o artigiani longobardi. Ne sono testimonianza indubitabile a Cividale il Tempietto longobardo, da un lato, e l’Altare di Ratchis, dall’altro, ove architettura e scultura raggiungono livelli elevatissimi, anche se proporzionati ai tempi non facili.�

L’ultimo e sfortunato re dei Longobardi è Desiderio; il suo regno, osteggiato fieramente dal Papato, è vinto (773) e assorbito da Carlo Mango re dei Franchi, ma duchi e grandi funzionari longobardi mantengono in gran parte le loro posizioni, partecipando nei gradi elevati alla direzione del nuovo Regnum Francorum et Langobardorum.

Lentamente, i Longobardi, i quali numericamente rappresentano una modesta minoranza, scompaiono mescolandosi alla popolazione dell’Italia latina e romana, lasciando tracce di sè nella lingua, nella toponomastica, nei costumi e nelle tradizioni popolari. Di molte potenti famiglie il nome è presente lungo tutto il Medioevo, apparendo ogni tanto nei documenti scritti come famiglie ancora viventi ex lege Langobardorum, vale a dire professanti ancora certe regole di vita tipiche dell’antica Langobardia italica.

Per quanto riguarda specificatamente il ducato friulano, esso si distingue per una relativa autonomia amministrativa e politica, che raggiunge i massimi livelli allorché l’ultimo duca longobardo, Rotgaudo, si pone a capo della resistenza friulana contro lo strapotere carolingio.

Ma ben presto Carlo Magno, ormai padrone della situazione italiana e di gran lunga il più forte in armi e in armati, impone la sua autorità eliminando violentemente i ribelli. Il ducato friulano, tuttavia, dimostra con questo tentativo autonomistico di essere, più che una semplice formazione territoriale longobarda, una vera e propria entità etnica, culturale ed economica, dai confini ben delineati sulla base dei vecchi quattro municipi romani (Aquileia, Concordia, Iulium Carnicum, Forum Iulii) e ormai predisposta a ricevere dignità di regione-stato, «quasi indipendente»