Storia
Gemona del Friuli (il cui nome ha probabilmente origini celtiche) è menzionata per la prima volta dallo storico cividalese Paolo Diacono che nella sua “Historia Langobardorum” la cita come Castrum Glemonae a proposito della sua fortificazione da parte dei Longobardi nel 611 d.C.. I ritrovamenti archeologici documentano però che le sue origini sono molto più antiche.
Questa località, per la sua conformazione morfologica, fu fin dall’epoca preistorica uno dei passaggi obbligati più importanti tra l’Italia e i Paesi dell’Europa nord-orientale, nonché luogo di diversi insediamenti. Sulla cima del vicino monte Cumieli si conservano ancor oggi diversi tratti di muraglie di castelliere di tipo carsico che si presume insediato tra il 1300 e 1100 a.C., da popolazioni paleovenete.
Alle suddette popolazioni dovettero seguire, verso il 500 a.C., i Celti, un gruppo dei quali si stabilì probabilmente nell’odierna località Godo. Nel III secolo a.C., ai Celti seguirono i Carni, popolazione anch’essa di stirpe celtica. I Romani, in seguito al loro avanzare verso il Nòrico (Austria occidentale), durante il I secolo a.C., sottrassero al controllo dei Celti quest’importante località strategica, dando origine alle due “statio” di Silans (attuale Godo) e di Ospedaletto, poste ai margini della via “Julia Augusta” che da Aquileia portava al Nòrico.
Dal 166 al 452 si ebbero le invasioni dei Quadi, dei Marcomanni, dei Visigoti e degli Unni. Dal 489 al 553 il Friuli subì l’occupazione degli Ostrogoti di Teodorico, un gruppo dei quali si stanziò nell’odierna località Godo. Tra il 553 ed il 568 ci fu la breve occupazione bizantina alla quale seguì, fino al 776 il lungo periodo del dominio longobardo durante il quale venne costruito un “castrum” (a nord-est dell’attuale Castello) per volontà’ del duca longobardo Gisulfo che lo volle per difendere il confine carnico contro le invasioni degli Avari. Dal 776 al 952, sotto il dominio dei Carolingi, ebbe inizio, lo sviluppo del primo nucleo urbano di Gemona.
PATRIARCATO AQUILEIESE
Dopo le invasioni ungariche, lo sviluppo urbano riprese con l’inizio del dominio degli Ottoni in Friuli e tramite la benefica opera ricostruttrice dei Patriarchi di Aquileia, diventando uno dei maggiori centri del patriarcato. Gemona fu feudo ministeriale nel XI secolo e libera Comunità con statuti propri della metà del XII sec.Il Patriarca mantenne però il diritto di nomina del Capitano e di imposte sulle attività commerciali.
Nel 1184 a Gemona fu istituito il mercato, non si dovevano tenere altri commerci pubblici né a monte, tra Montecroce e Pontebba, né a valle di Gemona per un miglio. L’atto comprova lo sviluppo raggiunto dalla cittadina, in grado di garantire lo svolgersi di regolari contrattazioni, con banchi e botteghe e di una serie di attività esercitate da artigiani, carratori, maniscalchi, albergatori. Verso la metà del sec. XIII il patriarca concede alla stessa il diritto del “Niederlech” dal tedesco Niederlegung (scaricamento),dazio di deposito forzato in virtù del quale le merci provenienti dalla Carinzia per Venezia e viceversa dovevano sostare per un giorno e una notte, essere scaricate, bollate e ricaricate su nuovi carri. Durante il Duecento Gemona iniziò la sua espansione urbanistica, al di fuori della prima cerchia murata.
Nel 1313 il conte Enrico di Gorizia riuscì ad impadronirsi della cittadina. Sotto il patriarcato del Bertrando divenne la capitale di uno dei cinque distretti amministrativi difensivi del Friuli. Il terremoto del 1348 distrusse più di metà delle case assieme al campanile del duomo. Nel 1370 iniziò a cingersi di una terza cerchia difensiva che verrà portata a termine nel 1399. Durante il Trecento Gemona conobbe il massimo del suo splendore, andò arricchendosi di nuove chiese e palazzi, tanto che nel 1337 poté consacrare l’ampliamento del duomo e le nuova chiesa di S. Giovanni.
IL PERIODO DELLA REPUBBLICA VENETA
Nel 1420 Gemona passò a far parte della repubblica veneta, mantenendo intatti i suoi antichi diritti e privilegi. Da questo momento, però, la cittadina iniziò il suo lento decadimento a causa della deviazione dei traffici commerciali per altre vie e del perdurare dello stato di guerra fra la Repubblica Veneta e gli Arciduchi d’Austria.
DAL PERIODO NAPOLEONICO AI GIORNI NOSTRI
�Nel 1797, con l’arrivo dei francesi di Napoleone, Gemona fu annessa alla Repubblica Cisalpina ed in seguito al trattato di Campoformido (17 ottobre 1797) passò nel 1798 sotto l’impero austro-ungarico. Nel 1805, aggregata dai francesi al Regno italico, divenne capoluogo del quarto distretto amministrativo della Provincia del Friuli, comprendente Tarcento ed il Canal del Ferro.Nel 1813 ritornarono gli austriaci e nel 1815 fu annessa al Regno lombardo-vaneto trascorrendo un breve periodo di vita politica autonoma durante i moti insurrezionali del 1848.Nel 1866, con voto plebiscitario, entrò a far parte del Regno d’Italia.
Nel secolo presente la cittadina subì ben due invasioni tedesche: quella del 1917-18 e quella del 1943-45.Nel 1944-45, subì pure l’invasione dei Cosacchi.Nel marzo del 1945 la zona della stazione ferroviaria fu devastata da un massiccio bombardamento aereo anglo-americano. Gemona conta oggi circa 11.000 abitanti ed è capoluogo di mandamento comprendente i Comuni di Venzone, Bordano, Trasaghis, Osoppo, Buia, Artegna e Montenars.
DAI GIORNI DELLA PAURA ALLA RICOSTRUZIONE
I catastrofici terremoti del 6 maggio e del 15 settembre 1976, la rasero quasi del tutto al suolo.
Venticinque anni fa, alle nove della sera circa, arrivò il grande incubo. Per i vecchi era l'”Orcolat”, sintesi di ancestrali paure che la saggezza popolare aveva sintetizzato in una mitica figura che suonava di spettro: per gli scienziati aveva un nome diverso, terremoto. E parlando di Gemona, è quasi inevitabile tornare indietro con la memoria a quel 6 maggio del 1976 che – come ha con acutezza notato qualcuno – ha spezzato la storia della cittadina (e del Friuli in generale) in due: prima del terremoto, dopo il terremoto. Eppure, da sempre la gente di Gemona è costretta a subire la furia della natura, oltre a quella dei numerosi popoli invasori….
BREVE ITINERARIO ARTISTISCO
Attraverso Porta Udine, appartenente alla prima cerchia muraria, si entra nell’antico centro cittadino, dove, su un ampio terrapieno, sorge il Duomo romanico-gotico di Santa Maria Assunta, uno dei monumenti religiosi medioevali più importanti della regione, gravemente danneggiato dal sisma del 1976 e salvato con una attentaopera di restauro.
La precedente chiesa romanica, menzionata per la prima volta in un documento del 1190, fu sottoposta sul finire del XII secolo a lavori di ampliamento ad opera dei maestri Giovanni e Giovanni Griglio. La consacrazione avvenne il giorno di Pentecoste del 1337.
Sul sagrato si trova il campanile, che raggiunge, compresa la guglia in cotto, l’altezza di 50 metri, iniziato nel 1341 e terminato nel 1369 da Nicolò e Domenico figli di Giovanni Griglio, completamente distrutto dal terremoto del 1976 e ricostruito “pietra su pietra”.
Il Duomo presenta una facciata a salienti movimentata da tre rosoni; splendido è quello centrale dovuto all’abilità dello scultore maestro Buzeta (1334-36) e formato da due ordini di colonnine a raggiera e da due giri di archi intrecciantisi, il tutto racchiuso entro un motivo decorativo vitineo.
Sotto la cornice marcapiano, nel corpo centrale, si apre l’originale Galleria dei Re Magi ad archi trilobi nella quale sono collocate nove statue raffiguranti scene dell’Epifania: l’arrivo del corteo dei re magi con l’adorazione, l’offerta dei doni e il sonno dei re e il loro sogno comune, con l’angelo messaggero che li invita a non ripassare da Erode.
A colpire il visitatore è anche la colossale statua di S. Cristoforo, alta sette metri e composta da sei blocchi in pietra arenaria.
L’interno è a pianta basilicale a tre navate, con volta a crociera, divise fra loro da robuste colonne in pietra rossa, delle quali si è mantenuta la leggera inclinazione a ricordo e testimonianza del terremoto, e sulle quali si impostano archi a sesto acuto. Numerose le opere d’arte: tra esse un’ara funeraria romana del I-II secolo d.C., in seguito trasformata in vasca battesimale con bassorilievi del IX-X secolo, ed ora altare della cappella feriale; un Crocifisso ligneo quattrocentesco, estratto dalle macerie irrimediabilmente mutilato, divenuto simbolo della distruzione del terremoto; una bellissima ancona lignea dorata del veneziano Moranzone (1391) raffigurante episodi dell’Antico e Nuovo Testamento, che mostra i segni di un incendio del’600; numerose opere pittoriche e scultoree di artisti italiani, stranieri e friulani di epoche diverse.
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Sul grande piazzale del Duomo si affacciano gli edifici di Casa Gurisatti (sec. XV) in stile gotico fiorito veneziano con trifora ad archi trilobi e stemma nobiliare, ora prestigiosa sede della Cineteca del Friuli; e quello dell’ex Canonica Vecchia, ora in fase di ristrutturazione per essere trasformato nel Museo del Duomo e delle Chiese di Gemona. Questi edifici unitamente a quelli che prospettano su Via Giuseppe Bini, sono stati sottoposti a interventi di restauro conservativo che hanno previsto il mantenimento delle facciate e degli elementi architettonici significativi. La via presenta così tuttora l’antica fisionomia.
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Procedendo lungo Via Bini, la più caratteristica del centro storico, dominata dal colle del Castello ora in fase di ricostruzione e con lo splendido parco con vista panoramica, è possibile scoprire, sulle facciate di antichi edifici, lacerti di affreschi raffiguranti motivi floreali e geometrici, alcune figure umane e riproducenti il rosone del Duomo (sec. XV – XVI), i terrazzini neogotici della Casa dei D’Aronco, le bifore e gli affreschi quattrocenteschi presenti sulla facciata in cotto di Casa Antonelli. Sulla via si affaccia anche il prestigioso Palazzo, che fu dei nobili Elti (sec. XV).
Dopo la sua ultima ristrutturazione, l’edificio è sede nei due piani superiori della Pinacoteca Comunale, mentre il piano terra è stato adibito a spazio espositivo, adatto per mostre di interesse nazionale ed internazionale.
La parte dell’edificio, che si affaccia sulla retrostante Via dei Conti, ospita invece la Biblioteca Comunale.
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Si giunge quindi in Piazza del Municipio, dove sorge il restaurato Palazzo Comunale o Palazzo Botòn, dal soprannome dell’architetto udinese Bartolomeo de Caprileis che lo progettò. Costruito a partire dal 1502 secondo schemi propri dell’architettura della provincia veneta con forti connotazioni lombardesche, esso ospita al primo piano la Sala Consiliare con un soffitto a cassettoni e una trifora ornata da balcone. Nella Loggia è possibile ammirare un soffitto a travature scoperte, decorato con tavolette dipinte a tempera raffiguranti personaggi illustri alternati a stemmi di nobiltà locali e comunità; incastonati in parete sono iscrizioni e bassorilievi di epoca romana.
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Dopo il Palazzo Comunale sulla destra si trovano delle scale che conducono alla piccola piazzetta di Fossale, dove sorge la Chiesa di Santa Maria di Fossale, completamente distrutta dal sisma del 1976 e ricostruita per anastilosi (per quanto è stato possibile) e filologicamente.
La chiesa di origini seicentesche custodisce un affresco riproducente l’immagine della Madonna allattante, ritenuto prodigioso perché nel 1655 dagli occhi della Madonna furono viste sgorgare delle lacrime, e due altari lignei dorati attribuiti agli artisti Comuzzi e Comoretto operanti a Gemona, in Carnia ed in Friuli nel 1600.
Proseguendo lungo Via Patriarca si giunge in Piazza Garibaldi, dove nel centro spicca il mosaico con lo stemma di Gemona.
Si può vedere la ricostruzione dei cinquecenteschi palazzi Gropplero e Pontotti; per il primo è stata riproposta la fisionomia precedente al terremoto, mentre il secondo presenta linee modernissime, che rivelano lo stile inconfondibile dell’architetto veneziano Carlo Scarpa.
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Continuando lungo Via Caneva, si giunge alla distrutta cinquecentesca Chiesa della Beata Vergine delle Grazie, detta “chiesa della Madonna”.
Dell’ampia aula della vecchia chiesa, che misurava dieci metri per trenta, resta solamente i rudere al centro della facciata, che tiene in piedi il bel portale in pietra, tagliato sul finire del quattrocento.
La chiesa, che fu costruita attigua al convento dei Francescani dell’Osservanza, fu consacrata nel 1498 ed ha origine nel 1479 dal lascito testamentario della nobildonna Caterina Dentoni, che fu qui inumata, e il cui sonno è stato violato dal sisma, che ne ha disiggillato il sepolcro.
La chiesa della Madonna era detta anche “la piccola pinacoteca di Gemona”, in quanto ospitava importanti opere pittoriche, alcune delle quali ora esposte nella Pinacoteca Comunale di Palazzo Elti: tra esse opere di Cima da Conegliano, Pellegrino da San Daniele, Pomponio Amalteo, Vincenzo Lugaro, Secante Secanti, Melchiorre Widmar, Giuseppe Buzzi. Quanto superstite dell’importante edificio sarà sottoposto ad intervento di mantenimento.
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Scendendo lungo una gradinata sita di fronte alla chiesa, e percorrendo Via S. Bartolomeo, si giunge alla Chiesa di S. Rocco in Piazza del Ponte, eretta tra il 1499 ed il 1521. E’ stata la prima chiesa ricostruita ad opera di volontari dopo il terremoto del 1976, rispettando i volumi ed i caratteri precedenti, ed ufficialmente riaperta al culto nell’agosto del 1982.
Il portale è in stile barocco datato 1617. All’interno si può ammirare il soffitto con un affresco raffigurante Il Giudizio Universale (Bruno Tuti gemonese 1982).
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Dalla Chiesa di San Rocco, proseguendo a destra lungo Via della Cella si giunge al ricostruito Convento di S. Maria degli Angeli, casa madre e sede della Provincia Veneta delle Suore Francescane Missionarie del Sacro Cuore, dove è visitabile la Chiesa del Convento con la Redenzione dell’umanità e vetrate recenti dell’udinese Arrigo Poz, ispirate al Cantico delle Creature.
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Allontanandosi dal centro storico, imboccando Via Artico di Prampero o Via S. Leonardo, e poi Via Sant’Antonio, si arriva ad uno dei più importanti edifici religiosi della cittadina: il Santuario di S. Antonio, il più antico luogo di culto di tutto il mondo dedicato al Santo.
Andato distrutto nel 1976, è stato ricostruito in linee architettoniche moderne, ma al suo interno conserva ancora alcuni ruderi della chiesetta duecentesca fatta erigere dal Santo stesso in onore della Madonna (1227 circa), e, all’ingresso, la cappella del Rosario del precedente edificio, in cui rimangono parti delle decorazioni a fresco di Melchiorre Widmar (1687), ivi sepolto.
A colpire il visitatore sono senza dubbio le opere dell’artista udinese Arrigo Poz: l’enorme mosaico della parete di fondo raffigurante il Mondo e l’Universo attraversati da una meteora – la luce di Cristo-, la Cappella Penitenziale, la serie delle 13 finestre di un vivace e brillante cromatismo raffiguranti figure di Santi e lo splendido rosone laterale realizzato “a mosaico” utilizzando tessere di alabastro e vetro dove si “legge” il Cantico delle Creature di San Francesco. Molteplici sono le ulteriori opere d’arte che il Santuario conserva e da scoprire con un’attenta visita che conduca anche alla preziosa collezione di ex-voto, alla suggestiva Cella del Santo, e al Museo “Renato Raffaelli”, che ospita interessanti opere del Seicento Veneto.
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Delle altre importanti chiese gemonesi, è andata completamente distrutta quella trecentesca di S. Giovanni, che conservava uno stupendo soffitto a cassettoni dipinti nel 1533 da Pomponio Amalteo, in gran parte salvati ed alcuni dei quali visibili nella Pinacoteca di Palazzo Elti, ed anche la Chiesa di Santa Lucia, in località Piovega (di fronte alla stazione FF.SS. di Gemona), recentemente ricostruita in linee architettoniche moderne su progetto degli architetti Augusto Romano Burelli e Paola Gennaro.
© 2001 PRO LOCO – PRO GLEMONA