La grande pala d’altare centinata (m. 3,15 x 1,45) è oggi posta sull’altare “del Crocifisso” di fronte alla Cappella della Vergine. E’ un dipinto caro alla devozione cittadina anche perché legato al ricordo della Beata Elena Valentinis che pare fosse particolarmente devota a quest’immagine. Al centro della tela s’erge l’alta Croce con il pallido crocifisso che si staglia su un cielo corrusco nel quale volteggiano angio1etti dolenti.
Ai lati della croce, in ginocchio, Maria Maddalena e San Girolamo.
Sul bordo inferiore sinistro, sotto il santo si legge la firma del pittore: Vincentius Lugaro fecit.
La Basilica della Madonna delle Grazie possiede due sue pale: questa del Crocifisso e quel1a di S. Antonio oggi conservata nella sala capito1are, ma proveniente anch’essa dalla chiesa, dove forse ornava l’altare che ancora porta la titolazione a s. Antonio e dove oggi è posta la statua della Madonna Addolorata. Il Santo titolare è raffigurato mentre predica arrampicato su un albero come la leggenda narra avesse fatto in borgo Pracchiuso durante il passaggio ad Udine.
La pala dell’altare dei Sette Santi Fondatori è opera del pittore udinese Giovanni Moro: raffigura i Sette Santi Fondatori dei Servi di Maria in atto di venerare la Vergine (1924). Sopra gli altari dell’ Addolorata, dei Sette Santi Fondatori, di san Pellegrino Laziosi e delle sante Reliquie sono appese quattro tele attribuite a Domenico Tintoretto (1562-1635), figlio del grande pittore veneziano Jacopo Tintoretto (1518-1594).
Esse rappresentano rispettivamente l’ Assunzione della Vergine, la Natività di Gesù, quella di Maria e il martirio di sant’Orsola.
Nelle quattro tele è evidente lo stile del padre anche se in un ambiente di minori proporzioni. Domenico esalta i contrasti di luce infondendo alle persone, poste dentro un virtuosismo prospettico, un forte dinamismo interpretativo.
Così nella splendida Natività di Gesù lo sguardo dei personaggi va diretto al Bambino che la Madre contempla avvolta in una luce di letizia inenarrabile;
nel martirio di sant’Orsola invece il contrasto tra la gentile martire e i suoi carnefici inferociti fa pensare che non manchi qualche tocco della mano di J acopo che fu padre e pedagogo eccellentissimo del figlio.
Nell’intercolumnio tra l’altar maggiore e il coro sono incorniciate due tele. Quella a destra, settecentesca, di autore ignoto, raffigura in alto fra le nubi la Vergine col bambino e
San Gottardo, suI piano, ai due lati, sono dipinti s. Floriano e sant’ Antonio abate.
Quella posta a sinistra è invece di Ellgenio Pini (m. dopo il 1663) e rappresenta san Filippo Benizi, mentre contempla la ss. Trinita insieme con i santi Cassano e Caterina.
Al centro dell’abside, suI fondo, campeggia il capolavoro pittorico del santuario: la tavola dipinta da Luca Monverde (m. 1526), discepolo di Pellegrino da san Daniele.
Essa raffigura la Vergine in trono col bambino e i santi Gervasio, Protasio, Sebastiano e Rocco (gli ultimi due protettori della citta di Udine). Fu eseguita nel1522 su commissione della confraternita laica di san Gervasio “essendo cameraro m.° Clemente et Bernardo Fachin prior”
Essendo dunque quest’opera documentata, datata (sulla Colonna del S. Sebastiano si legge in lettere romane: 1522), notissima e sempre rimasta nel suo luogo di origine, non stupisce che negli ultimi anni si sia piu volte pensato di ristudiarla e restaurarla.
La pala situata molto in alto nell’abside buia, di grandi dimensioni (m. 3,85×2,55), è bloccata dentro un’imponente cornice dorata ottocentesca (1877), difficilmente leggibile o ispezionabile.
La pala soffrì un intervento rovinoso nel settecento. Fu restaurata nell ‘ ottocento, allorché il dipinto venne ‘rigenerato’ con il metodo Pettenkofer. Tra gli anni 1998 e 1999, rilevando un diffuso annerimento, la Comunità religiosa dei Servi di Maria, d ‘ accordo con la Soprintendenza ai Beni Culturali e Artistici di Udine, ritenne necessario commissionare lo studio previo del dipinto ed effettuare il restauro conseguente.
Nulla o quasi nulla di quanto appariva era dovuto al pennello del Monverde: le ridipinture si stendevano su ogni centimetro del dipinto, talora in 4 0 5 strati sovrapposti.
Si approfondì da un lato la ricerca storico-archivistica e dall’altro quella analitico-scientifica per capire l’ entità delle ridipinture e degli eventuali frammenti originali suggiacenti.
I risultati di questa doppia ricerca hanno portato alla decisione di non procedere allo smontaggio dei ritocchi del 700 ed 800, anche in considerazione che il dipinto rappresenta un’icona cittadina, in religiosa venerazione da non sottovalutare.
La cornice in legno dorato con l’imponente cimiero intagliato con il Sacro Cuore ed i putti venne eseguita dall’udinese Francesco Quarini. Fu più innanzi risanata dal falegname Luigi Zuliani, di cui scrive il Beretta: “La tavola poteva sfidare qualunque atmosferica variazione”.