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Foto : Anonimo del sec XVIII : il luogotenente Giovanni Emo

 

Fin dalla sua fondazione la città di Udine tendeva a svilupparsi verso occidente, perché ad oriente, ai piedi del colle, si stendeva un acquitrino, formato dallo scarico delle rogge della città, derivanti dal Torre. Si tratta del famoso lago della leggenda, nel quale sarebbe vissuto un mostro, ucciso da un eroe inviato dalla Vergine.

Una testimonianza, una costola gigantesca che sarebbe appartenuta al mostro stesso, si conserva ancora nella biblioteca del santuario. Il terreno prospiciente l’acquitrino era proprietà del patriarca, che vi teneva probabilmente i propri armenti. Cosl almeno ci suggeriscono e l’antica cappella di sant’Antonio abate (ora adiacente al palazzo Arcivescovile), è ancora una località detta campo del boia o del bove” (dove sorge l’attuale cappella di sant’Antonio di Padova all’incrocio di via Pracchiuso con il Piazzale Oberdan), una via Cassina o delle cascine (una cascina del patriarca e ricordata nel 1292) e il nome stesso del borgo, Pracchiuso ( che puo significare prato chiuso o recintato ).

 In questi paraggi doveva essere tracciata una strada, che serviva per eventuali comunicazioni con Cividale, senza entrare nella città di Udine. Ne farebbe fede l’esistenza, da tempo immemorabile, di un ospizio, con la relativa cappella, dedicato ai santi Gervasio e Protasio.

La piccola chiesa, che nel settembre del 1479 avrebbe accolto la tavola miracolosa, entra nella storia ecclesiastica durante il governo del patriarca Bertrando (1334-1350), quando la cinta muraria si allarga fino a racchiudere anche la villa di Pracchiuso. Viene dotata di cimitero.

Si fanno lavori di restauro e nel 1347 il Comune di Udine contribuisce alle spese per la consacrazione.

Nel 1347 viene affidata ai monaci di san Pietro Celestino (il papa Celestino V; m. 1296), i quali ottengono anche delle casupole e del terreno contiguo, dono del patriarca Bertrando, per la costruzione di un monastero da intitolarsi a san Girolamo.

La piccola chiesa diviene così la principale del borgo e, per mezzo di essa, l’autorità civile e religiosa intende ordinare la vita morale e sociale di una “villa” appena urbanizzata.

Il 19 giugno, solennità dei santi titolari della chiesa, diviene giorno festivo per tutto il borgo; nella seconda metà del secolo XIV si riforma la ‘fraternitas sancti Gervasii”, il gruppo laico legato all’antico “hospitale sancti Gervasii”; inoltre la presenza dei monaci, l’esistenza di un cimitero polarizzano un certo fervore del monastero e del culto liturgico.

All’inizio del secolo XV grosse difficoltà economiche si abbattono sul piccolo monastero al punto che nel 1413 il Comune di Udine ricorre al patriarca affinché intervenga in favore della chiesa e del monastero di san Gervasio, “perché ogni giorno che passa se ne vanno in rovina”.

Dal 1437 la presenza dei Celestini risulta saltuaria. Dapprima furono sostituiti, per un ventennio, da un fra Cristoforo degli Eremitani di sant’ Agostino, che avevano il convento presso la chiesa di santa Lucia: questo frate fece restaurare e ampliare la cappella negli anni a cavallo del 1455.

Successivamente, per breve tempo, ritornarono i Celestini ad officiare la chiesa, ma sempre senza continuità.

Da ultimo, durante le invasioni turche, verso il 1475, troviamo in san Gervasio un fra Nicola da Rimini, che soleva celebrare ogni tanto la messa per le truppe veneziane stanziate lungo l’Isonzo. Giovane e completamente corrivo ai costumi dei soldati, Nicola prese a condurre una vita mondana e dissoluta. La cosa non poteva durare a lungo. Egli stesso se ne rese conto e, prima ancora di essere cacciato, fece l’inventario delle suppellettili di san Gervasio, le consegnò a due rappresentanti del Comune e se ne andò spontaneamente.