dal settimanale “Il Friuli” del 25/11/02

La storia contemporanea della tradizione del pellegrinaggio religioso friulano è in evoluzione. Lo testimonia il movimento di fedeli a uno dei più amati luoghi di fede della provincia di Udine: il santuario di Castelmonte, sopra le alture del Cividalese. Sulla cifra costante di quasi 300 mila presenze all’anno calano i pellegrinaggi di gruppo, cioè quelli organizzati dalle parrocchie.
All’origine del fenomeno, che non si è mai verificato dai tempi della fondazione del santuario, una crisi di vocazioni in seno alla chiesa. “Il numero dei sacerdoti attivi nei paesi friulani è sempre più basso – spiegano infatti i frati cappuccini che reggono il luogo religioso dal 1913 -.

Molti sono anziani e non ce la fanno a organizzare pellegrinaggi parrocchiali. Poi, al giorno d’oggi, noleggiare una corriera per il viaggio comporta un costo oneroso, non sostenibile da tutti. Che fare poi se il mezzo non è poi completamente riempito? Ci sono perdite di denaro, così i pellegrinaggi di gruppo si fanno sempre meno”.

Aumentano di contro i singoli fedeli che fanno tappa a Castelmonte in famiglia o insieme con amici in piccole unità. “Non si tratta in questo caso – dicono i frati – di una spinta religiosa che nasce dal profondo, ma piuttosto di una sorta di turismo domenicale fuori porta. Si viene qui certamente per visitare il santuario, ma anche per mangiarsi il gelato seduti al bar, per fare un po’ di shopping, guardare il panorama e fare una passeggiata nel verde”.

Anche la tradizione degli ex-voto, dei ringraziamenti cioè per aver beneficiato di una grazia, è emblematica. Il santuario trabocca di quadretti antichi a ricordo di incidenti senza gravi conseguenze, malattie guarite miracolosamente e maternità attese a lungo. Oggi questo gesto popolare mai caduto nel dimenticatoio, ha assunto forme nuove, “un po’ legate alla pigrizia” a detta dei cappuccini.

Non c’è più il gusto di commissionare un quadro decorativo con la rappresentazione della grazia. Si porta la foto dell’incidente, si compera un cuore in velluto rosso già preconfezionato e incastonato in un reticolo filigranato e lo si fa appendere dagli addetti. Le stesse grazie sono di tipo diverso rispetto al passato; oggi vanno per esempio il fatto di aver trovato il fidanzato o la fidanzata, oppure il lavoro desiderato, l’essere diventati finalmente nonni dopo anni di attesa.

Non mancano gli incidenti stradali da cui si è usciti miracolosamente illesi con tanto di caschi da moto e ingessature. I picchi più alti di presenze in santuario si registrano d’estate con il ritorno nella terra d’origine degli emigrati. La domenica si contano più di 3000 persone, stando soltanto ai dati relativi ai ceri votivi che i fedeli portano a casa. Gli orari di punta vanno dalle 9 alle 10 e dalle 15 alle 16 quando sono tanti coloro che vogliono confessarsi, attirati anche dall’anonimato e da una sorta di tradizione che contraddistingue questo luogo religioso. Indubbia la difficoltà dei cappuccini a soddisfare tutte le richieste: per il sacramento infatti sono a disposizione “soltanto” 8-10 frati.

Ma il massimo di presenze si registra in assoluto l’8 settembre, data del grande pellegrinaggio a piedi voluto dal vescovo in ricordo del sisma, ma anche antichissima scadenza votiva la cui causa si perde nei tempi.

Qual è l’origine invece di questa affluenza numericamente costante nel castello santo friulano? “Non è mai stata ben chiara”, dicono i frati che proprio in questi giorni hanno presentato un libro sulla storia del santuario dopo un lavoro di ricerca certosino durato più di due anni in archivi e parrocchie. Sembra che le alture di Prepotto fossero sede un tempo di una guarnigione romana e che la prima immagine devozionale fosse stata portata in sito proprio da un soldato.

Non si trattava inizialmente della Vergine adorata oggi, ma della fede in San Michele arcangelo con chiaro collegamento ad Aquileia e al concilio di Efeso. Traccia di questa prima venerazione si trova nel piano interrato del castello con la statua dell’arcangelo che calpesta il demonio, simbolo del male. Siamo nel V secolo dopo Cristo ma sarà necessario attendere il 1200 per avere la prima documentazione scritta che attesta già l’assidua frequentazione del luogo di fede da parte di pellegrini, anche stranieri. Nel 1962, a riprova delle fonti orali, si rinviene infatti un pavimento in cocciopesto di chiara ispirazione romana. Fonte di curiosità, come peraltro quella suscitata dalla Madre di Loreto, è poi la caratteristica “scura” della Vergine di Castelmonte, una Madonna cioè dalla pelle nera come altre 450 nel mondo, se si esclude l’Africa.

Una peculiarità che ha origini lontane ed è ancora oggetto di discussione. Molti studiosi sono concordi nell’individuare un collegamento ininterrotto tra Madonne nere e divinità pagane femminili, di cui spesso si sono conservati alcuni attributi iconografici. Si potrebbe inoltre ipotizzare il reimpiego cristiano da parte di gruppi egizi, di modelli originali in legno di ebano di Iside e Horus poi trasportati nella nostra Penisola attraverso i luoghi della fede di Gerusalemme.
Il santuario si è sviluppato anche a livello tecnologico con l’apertura di un sito internet che è possibile visitare digitando http://www.santuariocastelmonte.it.

All’interno eventi e informazioni utili. Per i fedeli anche un bollettino su abbonamento.