dal Messaggero Veneto del 16/04/2002

Le mostre dello spilimberghese Ivanoe Zavagno e dei residenti nella capitale Pittin e Bertossi
Fogolâr di Roma, tre artisti friulani alla ribalta

di LICIO DAMIANI

Ha esposto recentemente a Roma, nella sede del Fogolâr Furlan, l’artista spilimberghese Ivanoe Zavagno. Una trentina le opere, fra mosaici e dipinti. La sua produzione non segue un percorso lineare. Ha bagliori, fughe, ritorni istintivi dettati dagli impulsi forti del sentimento. Il tessuto connettivo muove dall’esperienza musiva, dalla quale ha preso avvio tutta l’avventura creativa dell’artista, erede di una tradizione gloriosa e antichissima.

I mosaici di Zavagno, nei quali la tecnica artigiana approda a una multiforme estrosità pittorica, sono irraggiamenti di forme desunte per sintesi dalla natura oppure scaturite da astrazioni mentali. Incastri, compenetrazioni, sovrapposizioni di lacerti goduti nella loro “cantante” tattilità compongono ampie sinfonie visive. La cultura musicale dell’autore, con le leggi dell’armonia, della melodia, del contrappunto, si traduce figurativamente in ritmiche scansioni di segni e di cromatismi, in vortici di dinamiche tensioni, in gorghi di scintillii smaglianti.

Sull’humus nativo del mosaico l’artista ha innestato l’attenzione per le vicende della pittura contemporanea – dal futurismo al cubismo, dall’informale al gestualismo espressionista –, articolate in un mai interrotto rapporto con la tradizione. Nelle opere più recenti il tessellato è percorso da un fluire di forme cangianti e indefinite. Quasi che il ricordo delle decorazioni di Bisanzio si dilati in un’onirica atmosfera fiabesca e fastosa che avvolge lo spazio.

Nei dipinti le impressioni di paesaggi e di nature morte – ma più che di impressioni potremmo parlare di echi, di pulsioni ambientali – vengono riportate sulla tela con impetuose scansioni dinamiche fitte di intarsi, di intrecci, di segmenti retti e curvilinei. I Caleidoscopi musivi e pittorici – secondo il titolo della mostra – rifrangono, deformano e moltiplicano spunti di ascendenza verista, irreggimentati nei segni della geometria o travolti dal vento impetuoso della passione figurale.

Nelle composizioni della fine degli anni Sessanta e Settanta il pigmento ruvido, sontuoso, fermentante, era rafforzato da inserti materici, quasi che tracce remote, frammenti di reperti archeologici, acciottolati radi, emergessero dalle vene di una terrestrità cupa e fastosa, umida di erbe, arida di sabbie. Poi la figurazione è tornata a ricomporsi in sospese atmosfere oniriche. Favole sceniche vengono elevate a emblemi esistenziali fitti di ombre, di presenze fantasmatiche, di movimenti coreografici, nei quali la danza della vita diviene apparizione incantata. Oppure si aprono afferranti scorci visionari. In altre opere – tra le più significative Esodo da Kossovo – l’artista trasfigura una tragedia della storia recente in risonanza sconvolta dello spirito.

Prima della personale di Zavagno, sempre con il patrocinio del Fogolâr, avevano esposto due pittori della numerosa e vivace colonia friulana nella capitale, Luigi Pittin e Giuliano Bertossi. Anche l’antologica di Pittin è stata ospitata nella sede sociale di via Principessa Clotilde. Il sodalizio è infatti molto attento a valorizzare queste presenze, come ha rilevato il presidente, Adriano Degano, annunciando per il prossimo aprile una grande retrospettiva degli artisti vissuti a Roma nel Novecento.
Pittin, sebbene ottantenne, affronta con entusiasmo e stimolante curiosità una ricerca di tipo sperimentale.

Nato a Socchieve, si è diplomato all’Istituto d’arte di Venezia e all’Accademia di Roma, dove si è stabilito nel 1950. La prima parte dell’antologica comprendeva il periodo figurativo: ritrattistica e paesaggi. Pittura di solido impianto, volumi sostenuti corposamente da un colore ricco di aperture liriche. L’Autoritratto, i ritratti Mia madre, Margherita, Giovanna si impongono per il realismo teso a evidenziare venature intimiste con affettuosa pacatezza.

Tra i paesaggi, del Friuli e della campagna romana, spiccano alcune vedute dei borghi laziali, risolte in una successione di piani sinteticamente delineati da soffuse vibrazioni tenute su toni cromatici bassi, discreti, diretti, più che a descrivere, a suggerire sensazioni e atmosfere. Vengono poi i Cimiteri di macchine: un percorso attraverso le periferie devastate della metropoli, un aggrumarsi drammatico di elementi figurali dissolti, dove a prevalere è la forza comunicativa della materia.

All’inizio degli anni Ottanta quando l’artista, sempre all’Accademia romana, si è diplomato in scultura, la svolta radicale verso un linguaggio astratto. Pittin guarda ai maestri dell’informale. La tela si ispessisce in strati terrosi alla Fautrier o alla Dubuffet percorsi da sprazzi, accensioni, materici turgori, o si dissolve in misteriose fluorescenze aprendosi a insondabili profondità emotive.

Nei Vortici cosmici elementi curvilinei, nervoso intrecciarsi e intersecarsi di traiettorie suggeriscono una spazialità totale; coniugano le aeree suggestioni ricevute da Fontana con una concretezza e una ruvidità rocciosa in cui par di intravedere l’ascendenza friulana dell’artista. A contaminare il colore sono i magmatici turbinii di una sofferta coscienza esistenziale. Artisticamente, Pittin è entrato in una seconda giovinezza.
Bertossi ha presentato al Centro culturale Quasar, in via Ajaccio, una serie di tele ispirate ai fiori e ai parchi della capitale. Nato nel 1943 a Roma da genitori friulani, ha mantenuto i contatti con la terra di origine. Laureato in architettura, nel 1962 è entrato al Poligrafico e Zecca di Stato.

Per l’Istituto ha realizzato, fra l’altro, i francobolli celebrativi dell’Ariosto, del Boccaccio, del Progetto San Marco, bozzetti per titoli di Stato. Ha in corso una monumentale opera volta a catalogare e a far rivivere attraverso l’interpretazione figurale le fontane storiche di Roma, oltre un migliaio. Bertossi è, soprattutto, un incisore; si esprime attraverso un segno sottile, elegante, condensato in fitti tratteggi di poetica limpidezza.

Anche nella pittura emerge la sua formazione di grafico. Elemento portante è infatti la linea, che tende a risolvere su un unico piano le partiture compositive e a chiudere le stesure del colore in zone ben definite. I Fiori, le Aiole fiorite, i d’arazzo in cui, soprattutto quando alla ribalta viene portato il dettaglio, si semplificano ricordi klimtiani.
————————————————————————