dal Messaggero Veneto del 13/06/2002

A colloquio con il collezionista Alessandro Traine: «Fu Guttuso a mandarmi a Cervignano»


Quello tra collezionista e artista è un rapporto che spesso ha attratto gli studi di storia e critica d’arte, non solo per quanto il collezionismo ha sostenuto e preservato degli antichi maestri (e meno antichi) ma anche per la personalità delle figure coinvolte.

È vero che il collezionismo ha subito un’evoluzione dalla committenza rinascimentale, per esempio, al mecenatismo più o meno rispettoso e di per sé critico del Novecento, tuttavia rimane sempre curioso immaginare come nasca una collezione, una relazione a margine di un’artista forte e “isolato” come Giuseppe Zigaina – di cui sono attualmente esposti dipinti e disegni nel castello nella chiesa di San Francesco a Udine.

La curiosità è sciolta da Alessandro Traine, collezionista, appunto, del maestro di Cervignano: «Zigaina non ha mai avuto un mercante, è stato lui stesso che ha imposto valori», per cui a noi non resta che la possibilità di riconoscerli. È successo così a Traine, suggerito nel 1963 da Guttuso di visitare lo studio del pittore friulano: «Vedendo un suo quadro ebbi la folgorazione di trovarmi al cospetto di un artista con un temperamento superiore al Guttuso, che allora era punto di riferimento.

Frequentai assiduamente lo studio di Zigaina, e per molti anni, d’estate, ogni domenica ero da lui». Fascino artistico quindi come lasciapassare, anche, per l’amicizia: Zigaina si è sempre distinto per un isolamento che è anche modalità costitutiva del suo fare artistico, figurativo dal segno forte; non è possibile sottrarsi al suo volere, ci si può avvicinare, pare, solo come innamorati sempre in timore di essere respinti. Rivela Traine, innamorato del personaggio-Zigaina: «È una persona timida e riservata e i rapporti si mantengono, come nella gran parte dei casi, se entrambe le parti si comportano correttamente.

Con Zigaina ancora oggi ci diamo del lei, come fece Juker con Morandi. Eppure con il maestro, il pifferaio magico come è stato da lei definito simapticamente, non è facile immaginarsi un rapporto pienamente au pair. Zigaina sa di essere un personaggio e come carattere impone spesso il suo volere; è la questione eterna se l’intellettuale possa permettersi tutto. Negli anni tra il 1964 e il 1975 ho acquistato molte opere da Zigaina, avendo sempre avuto, come ancora oggi, la facoltà di vedere tutta la sua produzione pittorica ridottasi negli ultimi anni. Avrei voluto acquistare di più tanto che per assurdo molte opere importanti degli anni Sessanta-Ottanta le ho acquistate da privati e gallerie che sapevano del mio interesse per questo artista e mi sottoponevano le opere. Ciussi, il pittore, quindici anni fa mi presentò alcuni suoi collezionisti amici e acquistai, per una cifra importante, Cavallo e cavaliere (1948)».

Una passione dunque che resiste a Zigaina stesso, senza distrazioni? «Ho collezioni che raccolgono Afro, Fontana, Manzoni, Burri, Morandi. Mi piacciono molto Capogrossi, Paladino, Clemente, De Maria, insomma tutta l’avanguardia citata da Bonito Oliva, eppure Zigaina è a mio parere il più grande. Le dirò di più: le opere di Zigaina costano “pochissimo”, il valore reale dovrebbe essere almeno quattro volte superiore! Il collezionista sostiene l’artista, si sente egli stesso un artista, dal momento che trenta-quaranta anni fa eravamo in pochi a collezionare quadri moderni e pochissimi acquistavano Zigaina in Friuli, molti di più in Lombardia e Piemonte. Ho comprato varie opere del maestro in molte aste in tutta Europa».

Certamente suscita invidia il rapporto privilegiato che il collezionista instaura non solo con l’uomo-artista ma con le sue opere, la possibilità di osservarle, di restare colpiti e capire il perché. «In realtà – dice Traine – c’è un aspetto dolente dell’essere collezionista: gran parte della mia collezione è in caveau di istituti bancari; nella mia abitazione ho appeso solo quattro-cinque quadri di notevoli dimensioni. Mia moglie tiene un archivio di tutte le opere; ho pensato anche a una fondazione, forse ne parlerò con Zigaina. Intanto mi gratifico con il fatto che i miei quadri siano esposti nella mia città. C’è anche Ceppaia bianca e Il sogno di Alessandra (1964), che io considero tra le opere più belle del maestro, assieme a Verso la laguna (1964)».

Traine parla sempre con gioiosa ammirazione e simpatia, e non può che esserci rispetto verso un artista che non è sceso mai a patti con le debolezze umane, né sue né altrui: dopo essersi affermato negli anni Cinquanta, con spontaneità provinciale (nel senso alto e pieno del termine), rappresentando l’alternativa epica al realismo di impegno sociale, Zigaina – affinando la tecnica incisoria a partire dagli anni Sessanta – si è progressivamente ritratto e concentrato in una dimensione evocativa, dimensione che ha accettato come condanna e destino d’elezione scavando nel proprio personale immaginario.

È riuscito a non disperdersi salvandosi insieme dal vuoto solipsismo che caratterizza tanta arte contemporanea; nella sua terra, nella sua natura e nella storia, personale e no, il maestro scava e incide le sue opere: «Se in Guttuso era sempre presente il contadino – osserva Traine –, in Zigaina ci sono state le biciclette e lo sguardo sfocato e quasi spettrale di suo padre, “l’ariete”. In lui, semmai, è mancata l’esplosione di colore. Nel panorama Zigaina è l’unico artista che ha saputo cambiare rimanendo coerente nella sua arte.

Si è isolato coscientemente perché la sua pittura ha bisogno di fluidi ragionati insomma, non potrebbe vivere in un appartamento di una grande città. La provincia è la potenza del maestro, la sua forza rigenerante, quella del ciclo dagli anni Novanta a oggi che io, forse controcorrente trovo maggiormente affascinante». Ma, allora, le opere citate prima degli anni Sessanta-Settanta? C’è una contraddizione? «No, non può esserci, Zigaina ora ha lasciato quei temi per concentrarsi sul paesaggio friulano, simbolico ma perfettamente leggibile»: è l’evoluzione necessaria di un’artista che scava fino all’osso nel vivo del proprio immaginario, sempre più lacerato eppure composto. Non può darsi contraddizione con una individualità precisa e forte.

Alvise Rampini