dal Messaggero Veneto del 15/05/2002
Sabato l’inaugurazione nelle due sedi del castello di Udine e dell’ex chiesa di San Francesco
Il pittore si racconta a pochi giorni dalla mostra antologica a lui dedicata
Il castello di Udine ospiterà sabato, alle 11, l’inaugurazione di una straordinaria mostra dedicata a Giuseppe Zigaina, un’antologica di grande rilievo che raccoglierà dipinti, disegni e incisioni dal 1944 al 2002.
La mostra è suddivisa in due parti: i disegni e le incisioni sono raccolte nell’ex chiesa di San Francesco e sono già state esposte al Museo statale di Monaco e a Bologna nella Galleria d’arte moderna, e dopo Udine passeranno a Salisburgo al Museum Rupertinum; gli olii, una ventina di grandi dimensioni, troveranno invece collocazione in Castello, nel Salone del Parlamento.
Alla presentazione della mostra, che si è tenuta nella Casa della Contadinanza lo scorso giovedì era presente un pubblico estremamente etereogeneo. Non solo addetti ai lavori – giornalisti, critici, artisti, collezionisti, cultori della materia – ma anche molte, moltissime persone che nutrono un grande affetto nei confronti del maestro.
Giuseppe Bergamini, direttore dei Civici Musei e curatore della mostra, ha tracciato una sintesi dell’opera di Giuseppe Zigaina. Temi portanti della duplice mostra sono la potenza del segno come direttrice di fondo della visione creativa, la capacità di assimilare i simboli e lo spirito in una emozione pittorica. Non a caso si è voluto definire il disegno in Zigaina come «arte dell’anima, una sintesi quanto mai perfetta soprattutto se comparata alla citazione di Pasolini che definì Zigaina come «segnato dal delirio dell’ispirazione grafica». Ottima l’organizzazione dell’evento anche grazie a un generoso contributo della Banca Popolare di Vicenza e di altissimo livello i due cataloghi editi dalla Marsilio.
Raccontare cinquantotto anni di attività dell’artista cervignanese è un’impresa ardua. Zigaina – è già stato scritto – non è solo un pittore ma una figura poliedrica: scrittore e pittore. La sua curiosità è una “forma mentis” che lo contraddistingue, che lo porta a studiare ogni materia spaziando dal latino alla teologia (lui stesso afferma di invidiare chi ha un vero credo religioso motivato), a scoprire la tecnologia utilizzando il computer, navigando in internet e inviando messaggi attraverso la posta elettronica.
Intervistare Giuseppe Zigaina, per natura poco socievole, solitario e talvolta persino scontroso non è cosa facile, ma è anche vero che dopo oltre un decennio di frequentazione quasi frenetica, le porte della sua splendida casa di Cervignano del Friuli si sono aperte. Non si può parlare di una vera e propria intervista in quanto Zigaina – è cosa nota – parla, disquisisce solo degli argomenti che più gli interessano. L’intervista, dunque, comincia e si conclude con una sola domanda e una sola risposta piuttosto articolata.
La domanda è un po’ articolata. Nessuno alla conferenza stampa ha nominato Pasolini, come se questo straordinario poeta-regista non avesse relazione alcuna – anche oscura, di fondo – con la sua storia di pittore e di scrittore. Non hanno usato questo nome per sovvertire la sua tradizionale biografia, o per preservare la personalità di Zigaina pittore? Non le sembra un po’ strana questa cautela quasi universitaria nel voler distinguere, e forse anche ignorare, la decodificazione da lei operata dell’opera di Pasolini? Il mensile Du di Zurigo, la rivista in lingua tedesca che si occupa ad alto livello di cultura europea, le ha commissionato recentemente un saggio dedicato a due misteriose personalità del XX secolo: Feltrinelli e Pasolini.
Non può essere un caso perché nessuno ha conosciuto meglio di lei questi due personaggi. Giangiacomo Feltrinelli, all’interno di questa rivista, viene definito, nei titoli, «l’editore guerrigliero», Pasolini, invece, uno «gnostico moderno». È altrettanto noto che lei ha rovesciato brutalmente tutto ciò che è stato scritto sul suo amico regista per presentarlo non più come uno «scrittore omosessuale provocatorio e osceno», ma come un intellettuale segnato da una grande religiosità, un intellettuale gnostico, appunto: il che è come dire un «cristiano delle origini». Quindi, a cosa è finalizzata la sua curiosità nei confronti di Pasolini?
Forse a dare risposta a sue urgenze interiori che ai più restano sconosciute? E se non è così ci può spiegare il suo studio sul poeta-regista in relazione con la sua ricerca specifica di pittore?
Preciso subito – risponde Zigaina – che quando si parla di “ricerca” sarebbe giusto alludere, in questo caso, alla ricerca di un “modello di descrizione”: dell’opera vita di Pasolini, da una parte, e della mia storia di pittore, dall’altra. L’anomalia sarebbe che queste “descrizioni” io le ho fatte anche verbalmente in ben otto libri, se non sbaglio.
Ma diciamo pure che la mia è stata una folgorazione. Come si sa, è anche in campo culturale che succedono queste cose, e non solo sulla strada di Tarso. Kafka, a proposito di questi colpi di luce, scriveva a un suo amico che bisognerebbe occuparsi solo dei libri che «mordono e pungono>». Se il libro che leggiamo «non ci sveglia come un pugno sul cranio», a che serve leggere? Un libro dev’essere la scure per il mare gelato dentro di noi.
Comunque sia, questa è la domanda più diretta e coraggiosa che mi sia stata rivolta da molti anni a questa parte. Cercherò dunque di rispondere, per evitare un comune dispendio di energie psichiche, nel modo più conciso possibile. Dirò, intanto, che “curiositas”, per Cicerone, significava “desiderio di conoscere”. Dunque il mio è un desiderio di chiarire ciò che mi è, o mi era, oscuro. Ebbene la mia curiosità unita alla testardaggine di un “ariete” quale io sono, in effetti mi hanno portato a decifrare il linguaggio criptico usato da Pasolini nella seconda metà della sua vita.
E sto parlando di quel linguaggio ambiguo, riconoscibile come tale solo dopo la sua morte violenta, che gli ha consentito di irridere la “critica universitaria”, di rispondere al disprezzo delle avanguardie, e di vendicarsi dantescamente, come lui diceva, «dei nemici e dei falsi amici». Se invece la domanda volesse esortarmi a dedicare le mie energie psichiche solo al mio specifico lavoro di pittore, dovrei rispondere che in una pericolosa epoca di transizione come la nostra ogni forma di specialismo disciplinare, ogni tipo diciamo di ricerca eccessivamente frazionata, porta fatalmente a un irreversibile impoverimento culturale. Nell’immediato dopoguerra, per esempio, era esplosa la polemica su ciò che è definibile “pittura di idee” e ciò che invece è “pittura di gomito”.
Per affermare (sia pure in termini semplicistici a proposito di quest’ultima definizione) che il lavoro di un artista pittore non può essere solo pura manualità ma deve portare il soggetto a quella forma espressiva che prima illumina la realtà e poi consente agli uomini di trasformarla. Sto parlando dell’intuizione, ossia di quella capacità di coordinare fulmineamente tra loro sintomi difficilmente riconoscibili per mostrarli poi, relogificati, in una forma che apre nuove possibilità conoscitive. Ed è proprio questo che distinge e qualifica l’artista, così come qualifica e distingue lo scienziato.
La «conoscenza della conoscenza», direbbe Edgar Morin, va sempre amplificata lungo la strada della ominizzazione, altrimenti, nel prossimo futuro, andremo incontro al buio e alla catastrofe finale. Ebbene, se mi si consente di restare a livello di queste iperboli, o di renderle ancor più terroristiche, ricorderò che a proposito della distruzione delle due torri di New York, si è parlato da parte di artisti universalmente riconosciuti, come di una «mostruosa performance», di un «atto creativo (dopo tutto) mai prima immaginato dall’uomo». Ora, se l’uomo è oggi in grado di distruggere la vita sulla terra con l’atomica o con un mostruoso gesto autosacrificale, potrebbe anche sognare (perché no?) di pronunciare quel biblico fiat lux che avrebbe determinato il miracoloso passaggio dal caos al cosmo, ossia dal disordine all’ordine.
Ma tornando a una più modesta e umile “cosmogonia”, dirò che creare un qualcosa dal nulla, o anche evocare solo un qualcosa che ci commuove, non è cosa da poco e soprattutto non è una cosa miseramente e solamente manuale, (anche perché la nostra mano, poverina! – quella destra generalmente – è in rapporto dialettico con il centro del nostro emisfero sinistro deputato alla percezione delle cose del mondo, e dunque alla sintesi e alla fatale verbalità). Ti diro ancora che Edgar Morin, indicato giustamente come erede diretto del grande enciclopedismo illuminista, ha riaffermato recentemente nella siciliana Messina (dove ha celebrato il suo ottantesimo compleanno) che per «pensare localmente» e padroneggiare attività espressive particolari bisogna «pensare globalmente» e avere perciò la più alta padronanza possibile del contesto generale.
Altrimenti succede (ignorando appunto il contesto) che gli ormai famosi Treni di Pasolini (che sono i Lamenti funebri del poeta che ha organizzato ritualmente la sua morte) vengano ancora tradotti dai suoi esegeti come treni intercity.
Ma da cosa è motivato il grande silenzio che incombe sui Treni di Pasolini? Aggiungerò allora, in questa mia quasi socratica risposta, che se l’ampliamento degli orizzonti culturali non può non arricchire la forma espressiva, può essere talvolta esaltante sul piano esistenziale e fantasmatico. E non solo per un letterato ma anche per un pittore. Si dice sempre che un artista deve esprimersi. D’accordo.
Ma se dentro di sé non ha idee da tirar fuori che altro può fare se non gesticolare o guardarti negli occhi come un afasico? Pasolini ha scritto, recensendo Mito e realtà di Mircea Eliade, che letture nei campi più disparati e trasversali – storia delle religioni, antropologia, etnologia, storia del mito, linguistica, semiologia (quella “temeraria” invocata da Roland Barthes), storia dell’alchimia (quella studiata segretamente da Goethe e da Newton), gli sono state di enorme giovamento nell’affrontare i problemi del fas e del nefas, del dicibile e dell’indicibile.
E allora, io aggiungo, perché non riuscire a comprendere che l’evocazione scritto-verbale della realtà da parte di un poeta può essere talvolta più forte della realtà stessa? o possa almeno divinamente integrare il territorio dell’anima di un pittore (e questa volta parlo di me) che per una sorta di oscura “necessarietà” ha deciso di non separarsene? Se poi questo pittore è segnato dagli stessi traumi infantili del poeta di cui si parla, perché non condividere un’avventura intellettuale che è un “thriller dell’intelligibilità” mai apparso nella storia della letteratura? Essere naufraghi in un mare che nessuno raggiunge ha fatto dire a Pasolini (adesso lo si capisce): «Beata la pula e maledetto il grano!».
Alvise Rampini
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Dove & come
La mostra Giuseppe Zigaina – Dipinti, disegni, incisioni 1944-2002, avrà sede nel Salone del Parlamento del Castello di Udine e nell’ex chiesa di San Francesco da sabato al 30 giugno. Sarà aperta da martedì a domenica 9.30-12.30 e 15-18.
Questi i prezzi. Intero: 6 euro, ridotto: 3 euro, scuole: 1.5 euro
I cataloghi sono editi da Marsilio. Uno è a cura di Michael Semff e Peter Weiermair, mentre l’altro è stato realizzato a cura di Giuseppe Bergamini.
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