Si è spenta, da poco, la Face, I’associazione culturale udinese Famiglia Artisti Cattolici “Ellero” nata nel 1944 con lo scopo di “promuovere I’evoluzione spirituale e morale degli artisti e degli amici dell’arte”. Tra i suoi più attivi soci, annoverava Arrigo Poz, che proprio nelle pagine dei “Quaderni della Face” aveva trovato uno dei primi significativi riconoscimenti al suo talento pittorico: il numero 5, del gennaio-marzo 1955, portava infatti in copertina un suo dipinto bellissimo, La trappola (poi indicato anche con il titolo Cacciatore di talpe) emblematico per la comprensione delle scelte di un artista appena venticinquenne, che trovava nel mondo agreste i motivi ispiratori della sua poetica.
Il contadino accovacciato, che affonda le robuste nervose mani nella terra, e protagonista assoluto del dipinto: non se ne vede I’espressione, che si intuisce forte, però, come forti sono i colori, e i segni di uno scarno paesaggio invernale appena accennato, robusto il tratto, corposo e massiccio il corpo.
E’ I’adesione personale e convinta al movimento del neorealismo che da tempo aveva trovato in Friuli il suo più geniale interprete in Giuseppe Zigaina, pittore di Cervignano il cui studio Poz aveva assiduamente frequentato per ben cinque anni.
All’epoca in cui conobbi Poz, un altro suo dipinto diventava copertina dei “Quaderni della Face”, precisamente del numero 31 del gennaio giugno 1967: una “composizione” che già preludeva ai “nidi” che avrebbero caratterizzato la sua produzione pittorica per qualche anno. Il primo articolo della rivista, a firma Karl Rehner, era un brano tratto dal saggio Das Wort der Dichtung und der Christ (“La parola della poesia e il cristiano”) e portava il titolo: “La poesia è necessaria “.
Scriveva Rehner: “In tempi nei quali I’umano e il poetico sembrano deperire, sepolti sotto le opere dell’ingegno tecnico e soffocati dalle chiacchiere delle masse, il Cristianesimo deve difendere I’umano e il poetico”. Io non so se Poz abbia letto o meditato quelle o simili – parole, certo è che il suo cammino di uomo e di artista è stato ad esse improntato, fin da quando bambino trascurava i giochi consueti per trascorrere il tempo libero con Ameglio Paviotti, il pittore di Bicinicco che gli fu primo maestro trasmettendogli I’amore per I’arte e lasciandogli in eredità validi principi di vita.
Curioso per natura, alIa ricerca continua di nuovi strumenti espressivi e di tecniche innovative che al meglio potessero esprimere I’urgenza interiore, Poz ha trattato il dipinto a olio, I’affresco, il mosaico e la vetrata, ha illustrato libri e ideato manifesti, sorretto sempre da una eccezionale abilità manuale, dall’inesauribile desiderio di operare, di dar forma a pensieri e sensazioni.
E’ interessante seguire attraverso le opere esposte in questa mostra antologica la duplice tematica da lui trattata: da una parte I’amato mondo friulano popolato di campi, di cortili, di alberi e di contadini, dall’altra I’universo religioso che a partire dagli anni della piena maturità, e dal terremoto del 1976 segnatamente, ha finito per prevalere nella sua produzione.
I dipinti giovanili risentono inizialmente della poetica forte e carica di istanze sociali di Giuseppe Zigaina, da cui Poz trae il gusto per il colore pieno e costruttivo, per il segno largo e deciso (naturale antefatto alIa futura produzione di vetrate), per il solido impianto delle figure umane, peraltro ricondotte a una personale visione, che vuole l’uomo e il suo difficile esistere sostenuto dal sogno e sublimato dalla speranza, che stempera sia il dramma che quell’aspra rabbia che sono i connotati primi della pittura e della fotografia del neorealismo.
La terragna materialità degli anni cinquanta trapassa in una dimensione morale e sociale, ispirata ai valori della cristianità ma anche attenta alle inquietudini e alle problematiche spirituali del nostro tempo. Si evidenzia soprattutto la capacità di penetrare nell’animo dell’uomo, per carpirne i più segreti sentimenti e riproporli in composizioni di forte carica vitale.
Le opere di carattere sacro, che lo rendono nel genere il maggior artista friulano contemporaneo e lo fanno erede della grande tradizione del passato, espressa nel Novecento dai gemonesi Giovanni Fantoni, Felice e Giuseppe Barazzutti, dal carnico Giovanni Moro, da Fred Pittino di Dogna o dal codroipese Renzo Tubaro, pur se datano fin dalla prima attività (appena diciottenne affresca un Battesimo di Cristo nella parrocchiale di Bicinicco) si avvalgono di un linguaggio personale e innovativo a partire dal 1979, allorché con la grande composizione plurimaterica (bronzo, ferro, legno) dell’atrio della basilica della Madonna delle Grazie in Udine in memoria del terremoto del 1976, Poz si impone alIa critica e al largo pubblico come il “nuovo” interprete della cristianità nell’arte.
Negli anni seguenti contenuti e forme si affinano in una ininterrotta sequenza di pale d’altare, di vetrate, di mosaici, di suppellettile sacra, di affreschi devozionali, opere talora eclatanti per ideazione, contenuto e dimensione (il grande ex voto della basilica delle Grazie misura ben nove metri per sei), talaltra di più intima, raccolta e domestica spiritualità, come la Madone del Batifiar, la “Madonna del Battiferro” eseguita a mosaico nell’ingresso della sua casa di campagna, esemplata sugli antichi segni devozionali della terra friulana.
La vena apparentemente facile della sua narrazione pittorica sottintende in realtà una tormentata e meditata elaborazione alIa ricerca della perfetta rispondenza tra pensiero e immagine. Una ricerca interiore che lo ha portato a rifiutare coscientemente tematiche più attuali, meglio ancora “alla moda “, e certo più remunerative. Ciò che piace in Arrigo Poz, lo ha scritto Sgorlon nel 1974, “è il fatto che egli si è maturato in piena libertà e indipendenza”: non rimanendo fuori dal mondo, tuttavia, anzi portando in esso una sua personale e poetica visione dell’arte, convinto, come Kart Rehner, che anche in un mondo malato come quello di oggi, che del freddo tecnicismo fa il suo credo, ” la . , . ” poesia e necessaria “.
tratto dal libro “Poz – Cinquant’anni d’arte” – ed. Electa